Nel Libro dei gatti tuttofare, T.S. Eliot sostiene che ogni gatto deve avere tre nomi: un nome sensato, “a scopo familiare”, un nome più dignitoso che gli permetta di “mettere in mostra i baffi” e “mantenere la coda perpendicolare”, e infine “il Nome”, che solo il gatto può conoscere. Anche in quella famiglia capitava, ma in modo diverso, che un gatto ricevesse più nomi (lo abbiamo visto con Codina, poi Patan). Il primo, piuttosto banale, gli veniva dato alla nascita, in base a qualche caratteristica fisica; il secondo poteva essere un’attribuzione dovuta a particolarità che emergevano successivamente; in seguito poteva persino essercene un terzo legato a qualche evento. Così è capitato a quella gattina di pelo nero (colore non molto diffuso e inadatto ai superstiziosi). Venne dunque chiamata Nerina… Ma poi la famiglia si accorse che in effetti non era completamente nera, aveva una macchia bianca che, crescendo, si manifestò nella forma di un triangolo posizionato sul basso ventre, assomigliava proprio ad uno slip, ed ecco dunque Slippy, Slippina, per tutti. Minuta e nervosa, non una grande bellezza, ma dotata di una vivace intelligenza. La ragazzina ricordava che quando ebbe una specie di dermatite e il pelo a chiazze, il veterinario consigliò di spalmarla con una polvere speciale, dopo la prima volta, lei capì che era qualcosa che l’avrebbe fatta stare meglio; si stendeva spontaneamente sul tavolo e se la lasciava mettere senza protestare.

Nerina
Un giorno tornò a casa zoppicante, sembrava si fosse lussata un’anca, forse un piccolo scontro di striscio con un’auto e se l’era già cavata a buon mercato. Gli animali sanno sempre come curarsi senza bisogno di un terapeuta. Era cosciente che per guarire doveva stare più ferma possibile. Lei allora le preparò una cuccia nel luogo più tranquillo della casa, in bagno, lontano da altri felini. Andava a tenerle compagnia, le si sedeva accanto portandosi i libri di scuola. Guarì quasi del tutto, non zoppicava più, però una cosa non riusciva a fare: grattarsi l’orecchio sollevando la zampa posteriore che era stata malata, quando tentava di farlo tutto quello che otteneva era battere sul tappeto, a lei ricordava il coniglietto tamburino di Bambi e da quel momento la gattina già Nerina, già Slippy, divenne: “Tap Tap”!
Se qualcuno pensa che non abbiano memoria o riconoscenza ecco come proseguì la storia. Evidentemente grata di essere stata accudita e della compagnia umana avuta, si era affezionata alla ragazza e appena la vedeva seduta in poltrona si avvicinava e dato che era un personaggino molto educato, la fissava dal basso per chiederle il permesso. Lei rispondeva con un cenno della testa, quello del sì, la gattina allora, senza indugiare oltre, le saltava in grembo e si accoccolava soddisfatta, avviando il ritmico ron ron, gratificante per entrambe.

Jolly
La madre raccontava che quando dovette per un certo periodo trasferirsi nella villetta a fianco, gli altri gatti restavano davanti alla porta della casetta vuota aspettando che qualcuno aprisse loro, non Tap Tap che aveva compreso al volo e quindi l’aveva seguita nella casa temporanea.

Nerina e Jolly
Non ricordano il nome originale, ma sanno perché ad un certo punto quella gattina con un’armoniosa livrea sulle sfumature del grigio sia diventata Jolly! Da cucciola amava fare gli scherzi e uno di questi era nascondersi nei cestini della carta o nei contenitori che trovava, acquattarsi e poi, al passaggio di qualcuno, saltare fuori con le zampe anteriori spalancate, sembrava proprio uno di quegli antichi pupazzi a molla che scattavano appena si apriva il coperchio della scatola che li conteneva. Faceva venire un accidente a chi non se l’aspettava e nella famiglia aveva creato la sindrome del cestino, quando dovevano passare vicino ad un contenitore rallentavano e guardavano dentro per assicurarsi che non saltasse fuori la piccola peste felina.
Manuela Camponovo
(13. Continua)