Commento

Francesco Raschi e il liberalismo introvabile nelle relazioni internazionali

In Un liberalismo (quasi) introvabile (Le Monnier università 2025) Francesco Raschi nota una discrepanza tra la dottrina liberale e il liberalismo nelle relazioni internazionali. Gli assunti del liberalismo internazionale includono un ottimismo sulla natura umana, una fede nel progresso e la convinzione che la democrazia possa svolgere un ruolo pacificatore nelle relazioni tra Stati. Tuttavia, questa definizione di liberalismo rischia di essere superficiale. Esistono tantissimi liberalismi e tanti pensatori liberali. La dottrina è sfuggente per sua natura. Compare in versione moderna tra il Settecento e l’Ottocento e mette al centro l’individuo e i suoi diritti, nonché la ricerca delle garanzie necessarie per difenderli dagli abusi di potere. Anche la difesa delle libertà civili e politiche è importante, perché le libertà politiche sono una garanzia per preservare la libertà. Un’altra caratteristica del liberalismo è la difesa delle libertà economiche e della proprietà privata.

Il liberalismo classico ha un rapporto controverso con la dottrina democratica e il principio di uguaglianza. Sussiste infatti una diffidenza nei confronti del governo popolare. Francesco Raschi analizza quattro autori alla luce della sua domanda sul liberalismo e il liberalismo nelle relazioni internazionali. Immanuel Kant e Benjamin Constant riservano i diritti politici a chi possiede determinati requisiti economici. Mentre l’altra coppia, Alexis de Tocqueville e Gustave de Molinari, teme nuove forme di dispotismo democratico. La domanda però rimane la stessa: chi deve governare? Il liberalismo è una dottrina che limita il potere. E nelle relazioni internazionali esso è contrapposto al realismo politico. Tuttavia, questa distinzione è fallace. Il liberalismo ha una visione progressista che si evolve e migliora continuamente. E i suoi sostenitori credono nel libero mercato e nell’interdipendenza economica che ha l’effetto di pacificare le relazioni internazionali.

Non per forza sussiste una relazione tra il liberalismo classico e il liberalismo delle relazioni internazionali. Il liberalismo, infatti, ha delle connotazioni che nelle relazioni internazionali lo avvicinerebbero più al realismo. Francesco Raschi parte dal filosofo di Königsberg. Secondo cui l’uomo può maturare per la libertà solo esercitandola. Kant si esprime per l’uguaglianza e l’indipendenza del cittadino. Gli individui non possono ribellarsi al potere costituito, perché resistere equivarrebbe ad anteporre la felicità privata alla pubblica sicurezza. Kant, dunque, formula una sorta di patto di sottomissione totale degli individui. Si è parlato di pacifismo kantiano, alla base del liberalismo nelle relazioni internazionali e del raggiungimento di un’eventuale pace perpetua. Questa prospettiva prevede anche una graduale trasformazione della società statale. Secondo Kant occorrerebbe agire come se la pace fosse qualcosa di realizzabile. Per Thomas Hobbes, John Locke e Kant, lo stato di natura è uno stato di guerra ed è pericoloso.

Anche se comunque la prospettiva di un Leviatano mondiale sembra abbastanza irrealizzabile, Kant auspica che gli Stati si indirizzino verso una Costituzione repubblicana. La democrazia secondo il filosofo tedesco è solo quella diretta e non quella rappresentativa. Kant sembra affidare maggiori speranze di pacificazione delle relazioni internazionali al modello di governo della Repubblica. Il presupposto di questa tradizione liberale è che le democrazie sono più pacifiche e più rispettose del diritto internazionale rispetto agli Stati non democratici. Il filosofo è riconosciuto come uno dei padri del progressismo. E la sua visione di progresso non si fonda però sulla fiducia ingenua nel miglioramento inevitabile dell’umanità, quanto sull’analisi razionale che individua nella moralità e nella ragione i principi guida per orientare l’azione umana. Kant insiste sul fatto che una Costituzione repubblicana deve garantire condizioni tali da rendere la guerra sempre più lontana.

Il secondo pensatore che Francesco Raschi analizza nel libro è Benjamin Constant. Famoso per la distinzione tra libertà degli antichi, ovvero l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità della collettività e libertà dei moderni, ovvero dove l’individuo è sottoposto alle leggi e vede garantita la propria proprietà, la libertà di movimento, di opinione, di culto e di associazione. La libertà antica rischia di trascurare i diritti individuali mentre quella moderna porta a un disinteresse per le sorti della comunità. Per Constant la libertà politica è il mezzo più possente di perfezionamento che è stato dato all’uomo. Si esprime per la limitazione del potere statale e afferma che esiste una sfera dell’esistenza individuale che riguarda l’individuo e che deve rimanere al di fuori della portata dello Stato. Tuttavia, si pone la questione del pacifismo fondato sul libero mercato. Il liberalismo progressista di Constant è in netta opposizione al realismo, ricorda Francesco Raschi.

Per il filosofo di Losanna, il potere non limitato è un potere arbitrario e Constant ritiene insufficiente il solo equilibrio montesquieuiano dei poteri. È necessario una costituzione concepita come un atto di fiducia nei confronti della natura umana. Constant rivolge alla teoria della volontà generale di Jean-Jacques Rousseau diverse critiche e non è contrario alla guerra in senso assoluto ma ritiene che la guerra giusta sia solo quella di legittima difesa. La guerra è dannosa in quanto interrompe le relazioni commerciali, economiche e culturali radicate. È negativa e distrugge ogni garanzia sociale senza alcuna compensazione. Constant propone una visione equilibrata; una in cui la forza armata è contenuta entro limiti che salvaguardino la libertà e la legalità. Egli considera, secondo Francesco Raschi, il pluralismo politico e culturale come imprescindibile. E denuncia l’ipocrisia con cui quelle guerre rivoluzionarie sono state condotte in nome di una presunta libertà.

De Tocqueville propone un liberalismo che tenta di conciliare libertà ed uguaglianza, qualcosa che rimane ancora al centro dei dibattiti odierni. Per il pensatore francese il processo di democratizzazione è un fenomeno inevitabile. La tirannia della maggioranza può rivelarsi più oppressiva di altre forme di dominio tradizionale perché è più pervasiva, arrivando persino nella sfera morale. Francesco Raschi ricorda i dubbi di Tocqueville sui rischi della democrazia. Libertà e uguaglianza possono entrare in conflitto e possono anche rafforzarsi a vicenda. I popoli democratici, nota lo scrittore francese, dimostrano spesso un amore più ardente per l’uguaglianza che per la libertà. Il che è pericoloso. Tocqueville analizza l’individualismo come un fenomeno recente legato alla democrazia. È un sentimento ponderato e tranquillo che spinge ogni singolo cittadino a isolarsi dalla massa dei suoi simili, a tenersi in disparte con la sua famiglia e i suoi amici.

In Democrazia in America Tocqueville argomenta che la pace democratica è quella delle democrazie per cui esse non sono inclini a cominciare delle guerre. La democrazia, infatti, favorisce l’accrescimento delle risorse dello Stato, non la sua distruzione sanguinosa. Ancora, si colloca in una tradizione di liberalismo aristocratico che rifugge sia l’autorità monocratica del re che è arbitraria sia il potere democratico che è spesso impulsivo. Tocqueville argomenta che la democrazia rende l’individuo più isolato e più debole. Nelle società democratiche il timore di perdere la propria proprietà durante una guerra è una motivazione significativa per evitare ogni conflitto, ricorda Francesco Raschi. Secondo il quale i liberali interpretano la dimensione internazionale del liberalismo come una proiezione globale della filosofia illuministica che enfatizza il primato dell’individuo razionale, l’uguaglianza tra gli esseri umani e la fiducia nel progresso.

De Molinari è l’ultimo analizzato da Francesco Raschi. E anche il meno conosciuto. Era nato a Liegi, aveva rapporti con Frédéric Bastiat ed era esponente del liberalismo economico ottocentesco. Considerava la libertà privata un diritto inalienabile e ogni forma di protezionismo danneggiava non solo i consumatori, ma anche i lavoratori, ostacolandone la produttività e portando a una perdita di competitività del paese. De Molinari era molto più radicale di Bastiat, tanto da mettere in discussione anche il concetto di Stato minimo. Che secondo lui deve intervenire nell’ordine della sicurezza, nella giustizia, nei servizi pubblici devono essere gestiti da compagnie private e regolati dalla libera concorrenza. Per de Molinari la società non è un prodotto della legislazione o della modellazione governativa, ma nasce spontaneamente dall’istinto di socievolezza degli individui. Seguendo Adam Smith, quindi, de Molinari anticipa l’ordine spontaneo di Friedrich von Hayek.

Per Molinari l’interesse del consumatore è che il lavoro e lo scambio rimangano liberi perché il risultato è sempre l’abbassamento dei prezzi. Egli critica il monopolio di Stato ed è a favore di tutte le privatizzazioni. Per lui la società e la politica sono evolutive. Col passare degli anni, tuttavia, egli avrebbe attenuato le sue posizioni verso il liberismo economico puro, vedendo nello Stato minimo non solo la garanzia della concorrenza, ma anche la tutela dei diritti individuali. Forse è stato il primo anarco-capitalista della Storia. Secondo lui la pace può essere tenuta politicamente. Ma la pacificazione richiede un intervento politico razionale, intenzionale e calcolato degli Stati. Il che lo fa sembrare più realista che liberale nelle relazioni internazionali. La spirale protezionista secondo de Molinari aumenta i rischi di conflitti e favorisce un ruolo economico attivo dello Stato secondo una tendenza statalista che era già presente all’epoca.

Francesco Raschi giunge alla conclusione che il liberalismo come tradizione di ricerca nelle relazioni internazionali non è del tutto sovrapponibile al liberalismo economico. E il liberalismo classico non è un’ideologia politica opposta al realismo come dottrina internazionale. Non esiste nemmeno per i liberali una garanzia naturale sul fatto che gli esseri umani obbediscano alle leggi o che gli Stati non facciano la guerra. In altri termini, spiega l’autore, i liberali sono consapevoli tanto quanto lo sono i realisti. Il pessimismo serve anche ai liberali per costruire una dottrina politica che persegue un preciso progetto politico, quello di costruire un sistema in cui nessuna delle parti diventi dominante rispetto alle altre. Constant e Tocqueville non negano l’anarchia internazionale, ma non ne immaginano neanche un superamento. Mentre Kant spera in un superamento e Molinari auspica che una lega di neutrali si faccia promotrice del superamento dell’anarchia.

Amedeo Gasparini

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