È un’indagine ben documentata sull’estrema destra in Germania, La peste (Feltrinelli 2025) di Tonia Mastrobuoni. Oggi ci troviamo in una grave recessione democratica. Le destre estreme avanzano rapidamente in tutto l’Occidente. E risulta importante ricordare l’avvertimento di Hannah Arendt: «È completamente errato derivare il nazismo da una predisposizione caratteriale specificamente tedesca o dalla tradizione tedesca». Thomas Mann sapeva che l’unica salvezza per la Germania, per allontanare i suoi demoni e le sue tentazioni irrazionaliste e antimoderne, consisteva nell’integrarsi in un’Europa democratica e unita. Oggi la Germania rimane una delle democrazie più solide al mondo. È governata da partiti storici, quasi scomparsi nel resto dell’Occidente. È regolata da meccanismi di pesi e contrappesi che funzionano in pochi altri Paesi. Ma nelle campagne della Bassa Sassonia, del Meclemburgo-Pomerania o della Turingia si nascondono comunità di bio-nazisti, neo-Artamani, seguaci del culto di Anastasia.
Essi portano avanti un’ideologia sovversiva, antidemocratica, razzista e antisemita che discende dai movimenti völkisch, proto-nazisti di fine Ottocento. I Völkischen appaiono come innocui amanti della natura, si vestono in modo tradizionale, si confondono con le comunità locali. Ma si considerano l’avanguardia di una nuova élite che si prepara a governare una Germania del Quarto Reich. In questo contesto, la radicalizzazione dell’AfD è stata pianificata deliberatamente. Non è casuale. Il partito ha appreso tecniche di guerriglia urbana e di disobbedienza tipiche dei movimenti di sinistra. Mentre dai nazisti hanno imparato il linguaggio e il capovolgimento della realtà. L’AfD, scrive Mastrobuoni, è un’inquietante galassia di movimenti, pensatori e pubblicazioni che coltivano un’idea autoritaria e razzista dello Stato. E mirano a sovvertire la democrazia. Tra Amburgo e Hannover, le zone intorno a Lüneburg sono diventate l’epicentro di un fenomeno assillante.
Lì si nascondono insediamenti di famiglie che vivono secondo il credo völkisch, l’ideologia tardo-ottocentesca che plasmò il nazismo. Stirpi brune che mirano a colonizzare la Germania eliminando tutti gli elementi che considerano impuri: stranieri, ebrei, diversi. La peste bruna, così la chiama l’autrice, rappresenta un contagio che sta avvenendo più velocemente nell’ex Germania Est. Qui i Völkischen hanno individuato un’opportunità maggiore di insediarsi senza troppo clamore per infettare tutto ciò che li circonda. Il pensiero völkisch, nella definizione dello storico George L. Mosse, fu una componente specificatamente tedesca dei fascismi europei del primo Novecento, che sin dall’inizio rese l’antisemitismo «un elemento essenziale della sua ideologia». Esso rifiutava la modernità e idealizzava la figura del contadino come prototipo del tedesco ideale: buono, operoso, leale, forte, a tratti crudele. Nel Mein Kampf Adolf Hitler scrisse che «le idee fondamentali del movimento nazionalsocialista sono völkisch e le idee völkisch sono nazionalsocialiste».
L’intento era quello di farli scomparire, di assorbirli nel nascente partito nazista. Soltanto il pensiero tedesco poteva superare l’individualismo fallimentare e liberare la Germania dall’Illuminismo e dalle idee della Rivoluzione francese, visti come il male assoluto. In questo contesto, gli ebrei dovevano essere cacciati dalla Germania perché ritenuti i principali responsabili della modernizzazione industriale. Già Johann Gottlieb Fichte aveva sentito l’urgenza di invocare la creazione di uno Stato tedesco che doveva essere costruito intorno alla lingua tedesca, che il filosofo riteneva superiore alle altre. I Völkischen coltivano ossessivamente quella distinzione tra un “noi” e un “loro”. Tra tedeschi e non tedeschi. Carl Schmitt, critico del liberalismo e dell’individualismo, nel 1932 scrisse che l’essenza della politica è la distinzione tra amico e nemico. È, appunto, l’altro, l’estraneo. E questo è sufficiente. Per i Völkischen il loro è un fanatismo distante dagli skinhead. Le famiglie völkisch sembrano innocue e fanno numerosi figli.
All’antisemitismo aggiungono anche loro l’odio feroce per i migranti, i diversi e i disabili. I Völkischen sono diffusi ormai in tutta la Germania. Appaiono innocui e legati alla terra. Il Verfassungsschutz, ricorda Mastrobuoni, ha riportato che nel 2024 c’erano oltre 50mila Völkischen, pronti ad azioni violente. Björn Höcke, il leader dell’AfD in Turingia, proviene da quella cultura e ha permeato il partito di slogan che derivano dall’ideologia bruna. Uno degli obiettivi dichiarati dell’AfD è quello di ampliare i confini del dicibile, come ha dichiarato Alexander Gauland. Nella Piana di Lüneburg, i nazionalisti bio trovano terreno fertile perché quella era stata una delle aree dove il NS aveva attecchito precocemente. Possono espandersi, moltiplicarsi, diffondere il loro veleno tra le comunità rurali. Dopo la caduta di Hitler arrivò lì un uomo che i contadini cominciarono a chiamare affettuosamente zio Adolf. Molti sapevano chi fosse e nessuno lo denunciò.
Nel 1950 fuggì in Sudamerica e sparì per un decennio. Si chiamava Adolf Eichmann. Per quattro lunghi anni nella Piana, visse indisturbato. Ancora oggi, lì ed altrove, alcune famiglie sono rimaste fedeli a Hitler. Sono naziste da generazioni. I bambini crescono in un mondo reazionario e autoritario. Non possono indossare jeans, il computer è vietato, devono usare solo termini tedeschi – gli anglicismi sono proibiti. Le bambine diventano iper-addomesticate con comportamenti molto aggressivi. L’obiettivo è essere pronti per il momento della presa del potere. Ci credono. I campeggi nazisti sono un addestramento paramilitare per bambini. I Völkischen non sono rozzi. Anzi, si considerano un’élite. Suonano tutti almeno uno strumento, sono i primi della classe, studiano all’università per essere i migliori. E pensano non in termini di mesi o anni, ma di generazioni. Si preparano al “Giorno X” in cui riconquisteranno la “loro” Germania.
I Völkischen hanno una strategia di reclutamento. Quando arrivano nei villaggi, cercano subito di rendersi utili, si iscrivono nelle associazioni locali infettandole con le loro idee. Mastrobuoni ricorda che per tanti Völkischen, la medicina tradizionale è una diavoleria degli ebrei. Si basano quindi sulla Nuova medicina germanica. Da quando l’estrema destra AfD è riuscita a entrare nel Bundestag i Völkischen sentono di avere il vento in poppa. Ci sono cellule dormienti di un culto bruno che vogliono garantirsi il Lebensraum del vecchio social-darwinismo hitleriano. Mastrobuoni racconta di Güstrow, in Meclemburgo. I nazisti fondarono negli anni Venti il movimento degli Artamani. Willibald Hentschel, politico, scrittore, antisemita e sostenitore della purezza della razza, immaginò una comunità rurale di combattenti che richiamassero la cavalleria medievale e li battezzò Artam. L’obiettivo era creare un’élite in piena campagna, isolarsi dalla Repubblica di Weimar rendendosi autosufficienti, costruire un’élite völkisch, germanica e antisemita, cacciare i lavoratori polacchi.
Ne facevano parte Heinrich Himmler e Rudolf Höss. Quest’ultimo nella sua autobiografia, prima di essere impiccato nel 1947 ad Auschwitz, svela che «per me esisteva un solo obiettivo per cui valesse la pena lavorare e combattere: una fattoria costruita con le mie mani e una sana, grande famiglia. Era questo lo scopo della mia vita». I neo-Artamani odiano gli stranieri, la sinistra e la democrazia. Spesso nelle loro case-fattoria c’è un segno della nuova avanguardia hitleriana: l’Irminsul, una colonna alata, simbolo germanico e pagano che Artamani ed eco-nazisti mettono all’ingresso delle loro case per riconoscersi reciprocamente. Anche gli Artamani iscrivono i figli tutti insieme e in scuole steineriane o evangeliche private dove i genitori hanno molta più influenza sui programmi. L’ondata di violenze contro sindaci e amministratori locali è aumentata esponenzialmente durante le proteste no-vax, contribuendo all’imbarbarimento generale del clima politico.
L’abitudine di terrorizzare gli obiettivi politici fino alla porta di casa è tipica dei neonazisti ed è antica. Lo scopo finale è quello di «scoraggiare le persone che vogliono impegnarsi in attività democratiche». Nel Nord del Meclemburgo c’è il più famigerato insediamento völkisch. Un cartello indica la distanza da Braunau am Inn. Nella fattoria di neonazisti sono dipinti un’inquietante famiglia “ariana”. I Völkischen sono riusciti negli anni a cacciare quasi tutti. Esistono veri e propri villaggi-fortezza con ruoli rigidissimi tra i sessi. Racconta Mastrobuoni: quando un neonazista fa riferimento all’etnopluralismo, non immagina una società in cui tante culture convivano … Ma intende che la cultura tedesca debba prevalere! “Etnopluralismo” è un termine ipocrita. Lo coniò nel 1968 lo storico revisionista Henning Eichberg, uno dei padri della Nuova destra tedesca. L’antisemitismo e il razzismo sono profondamente correlati all’etnopluralismo. Poi c’è la “remigrazione”, il piano di deportazioni di massa di profughi e migranti.
Höcke è stato il primo a menzionare l’obiettivo di un piano di remigrazione e a adottare la crudeltà ben temperata. Le deportazioni di massa erano l’unica soluzione per garantire la sopravvivenza del popolo tedesco. Nascondersi, negare tutto, è parte della filosofia dei Völkischen. Definita dai servizi segreti tedeschi di estrema destra, si fonda sui dieci libri di un oscuro affarista russo, Vladimir Megre. Che sostiene di aver incontrato una bambina con poteri paranormali in un bosco, Anastasia. E di aver assorbito le sue teorie. Megre fa confusione sul termine “democrazia” e lo fa derivare da “daimon”, invece che da “demos”. La democrazia come progetto satanico … Questo il messaggio dei libri di Anastasia, che propaga la purezza della razza. E Megre si scaglia spesso contro gli ebrei, delirando su una presunta élite di sacerdoti, leviti, che di nascosto governerebbero il mondo. I suoi seguaci sono in rapido aumento in Germania.
Poi Mastrobuoni ricorda la vicenda dei Reichsbürger, propagatori di un regime autoritario alternativo alla repubblica federale. E in Turingia sono cresciuti esponenzialmente negli anni del Covid-19. Mastrobuoni racconta che i Reichsbürger sono i seguaci di una delirante teoria secondo la quale la Repubblica Federale Tedesca non si sarebbe mai liberata dall’occupazione degli Alleati del 1945 e sarebbe una menzogna giuridica. Nel dicembre 2022 una cellula terroristica di negazionisti della Repubblica battezzata Unione patriottica e capitanata da un aristocratico, Heinrich Prinz Reuss (Enrico XIII), da una ex giudice ed ex parlamentare dell’AfD, Birgit Malsack-Winkemann, dagli ex membri della Bundeswehr Maximilian Eder e Rüdiger von Pescatore, stava preparando un colpo di Stato a suon di mitragliatrici. Obiettivo del golpe: abolire la democrazia, ripristinare il Reich del 1871, incoronare Enrico XIII a capo della monarchia tedesca.
«La peste si sta diffondendo. Si nasconde nelle campagne e nei villaggi, si insinua nelle comunità e nelle associazioni di volontariato, si infiltra nella polizia, nei servizi segreti, nell’esercito e negli apparati dello Stato. Infesta la repubblica come un cancro, la contagia con le sue idee antidemocratiche ed eversive che si diffondono come metastasi, in gran parte alimentate da crisi contingenti come l’emergenza dei migranti, il Covid o la guerra in Ucraina. E […] il morbo bruno ha trovato il modo di contaminare anche il Bundestag attraverso un partito che ne ha assorbito le istanze più radicali e ne sdogana […] linguaggio e […] obiettivi: l’AfD». Tra i bersagli dell’AfD, i richiedenti asilo, stranieri col permesso di soggiorno, cittadini tedeschi non assimilati, milioni di turchi, greci, italiani, siriani. Oltre venti milioni di cittadini.
Il termine remigrazione, dopo mesi di clandestinità, torna alla ribalta nei comizi elettorali dell’AfD. Che punta a una Germania monoetnica. La “Bevölkerungsaustausch” è diventata parte integrante del bagaglio programmatico dell’AfD, la «lenta sostituzione dei tedeschi attraverso migranti musulmani». L’idea che la sostituzione etnica sia orchestrata da presunte élite globaliste ebree. L’AfD non è solo il partito che si ribella alle politiche europee. Ma pure il partito della libertà di parola senza limiti. Dresda ha continuato a covare un revanscismo di destra che neanche i regimi comunisti erano riusciti a eliminare. Un odio cui si aggiunse, dopo la caduta del Muro, un senso di umiliazione per una Riunificazione che fu percepita come un’annessione, una colonizzazione che spazzò via l’identità di un Paese. I Länder della DDR siano stati il laboratorio della destra.
Cresciuto con i racconti nostalgici dei nonni che favoleggiano della vecchia patria, Königsberg, il pifferaio magico Höcke è un uomo pericoloso, che coltiva un’idea messianica di sé stesso. E chiede una svolta nella politica della memoria di centottanta gradi, contro il culto della colpa e l’ipocrita solidarietà mostrata dal partito verso Israele, in funzione antislamica. Un guanto di sfida ai centristi. In ambito istituzionale, Peter Sloterdijk è citato come modello. Egli ha criticato Angela Merkel per la sua solidarietà verso i profughi con parole orribili: nessuna società ha l’obbligo di autodistruggersi. Ha definito la Germania una “letargocrazia”, diventando un idolo dell’estrema destra. Poi emerge Alice Weidel, ex economista di Goldman Sachs, considerata il volto moderato di un partito radicalizzato, sopravvissuta della prima fase liberale e rigorista del partito dei professori. Un’opportunista, con faccia angelica dai modi borghesi che ha pacificato il partito.
Amedeo Gasparini
È un’indagine ben documentata sull’estrema destra in Germania, La peste (Feltrinelli 2025) di Tonia Mastrobuoni. Oggi ci troviamo in una grave recessione democratica. Le destre estreme avanzano rapidamente in tutto l’Occidente. E risulta importante ricordare l’avvertimento di Hannah Arendt: «È completamente errato derivare il nazismo da una predisposizione caratteriale specificamente tedesca o dalla tradizione tedesca». Thomas Mann sapeva che l’unica salvezza per la Germania, per allontanare i suoi demoni e le sue tentazioni irrazionaliste e antimoderne, consisteva nell’integrarsi in un’Europa democratica e unita. Oggi la Germania rimane una delle democrazie più solide al mondo. È governata da partiti storici, quasi scomparsi nel resto dell’Occidente. È regolata da meccanismi di pesi e contrappesi che funzionano in pochi altri Paesi. Ma nelle campagne della Bassa Sassonia, del Meclemburgo-Pomerania o della Turingia si nascondono comunità di bio-nazisti, neo-Artamani, seguaci del culto di Anastasia.
Essi portano avanti un’ideologia sovversiva, antidemocratica, razzista e antisemita che discende dai movimenti völkisch, proto-nazisti di fine Ottocento. I Völkischen appaiono come innocui amanti della natura, si vestono in modo tradizionale, si confondono con le comunità locali. Ma si considerano l’avanguardia di una nuova élite che si prepara a governare una Germania del Quarto Reich. In questo contesto, la radicalizzazione dell’AfD è stata pianificata deliberatamente. Non è casuale. Il partito ha appreso tecniche di guerriglia urbana e di disobbedienza tipiche dei movimenti di sinistra. Mentre dai nazisti hanno imparato il linguaggio e il capovolgimento della realtà. L’AfD, scrive Mastrobuoni, è un’inquietante galassia di movimenti, pensatori e pubblicazioni che coltivano un’idea autoritaria e razzista dello Stato. E mirano a sovvertire la democrazia. Tra Amburgo e Hannover, le zone intorno a Lüneburg sono diventate l’epicentro di un fenomeno assillante.
Lì si nascondono insediamenti di famiglie che vivono secondo il credo völkisch, l’ideologia tardo-ottocentesca che plasmò il nazismo. Stirpi brune che mirano a colonizzare la Germania eliminando tutti gli elementi che considerano impuri: stranieri, ebrei, diversi. La peste bruna, così la chiama l’autrice, rappresenta un contagio che sta avvenendo più velocemente nell’ex Germania Est. Qui i Völkischen hanno individuato un’opportunità maggiore di insediarsi senza troppo clamore per infettare tutto ciò che li circonda. Il pensiero völkisch, nella definizione dello storico George L. Mosse, fu una componente specificatamente tedesca dei fascismi europei del primo Novecento, che sin dall’inizio rese l’antisemitismo «un elemento essenziale della sua ideologia». Esso rifiutava la modernità e idealizzava la figura del contadino come prototipo del tedesco ideale: buono, operoso, leale, forte, a tratti crudele. Nel Mein Kampf Adolf Hitler scrisse che «le idee fondamentali del movimento nazionalsocialista sono völkisch e le idee völkisch sono nazionalsocialiste».
L’intento era quello di farli scomparire, di assorbirli nel nascente partito nazista. Soltanto il pensiero tedesco poteva superare l’individualismo fallimentare e liberare la Germania dall’Illuminismo e dalle idee della Rivoluzione francese, visti come il male assoluto. In questo contesto, gli ebrei dovevano essere cacciati dalla Germania perché ritenuti i principali responsabili della modernizzazione industriale. Già Johann Gottlieb Fichte aveva sentito l’urgenza di invocare la creazione di uno Stato tedesco che doveva essere costruito intorno alla lingua tedesca, che il filosofo riteneva superiore alle altre. I Völkischen coltivano ossessivamente quella distinzione tra un “noi” e un “loro”. Tra tedeschi e non tedeschi. Carl Schmitt, critico del liberalismo e dell’individualismo, nel 1932 scrisse che l’essenza della politica è la distinzione tra amico e nemico. È, appunto, l’altro, l’estraneo. E questo è sufficiente. Per i Völkischen il loro è un fanatismo distante dagli skinhead. Le famiglie völkisch sembrano innocue e fanno numerosi figli.
All’antisemitismo aggiungono anche loro l’odio feroce per i migranti, i diversi e i disabili. I Völkischen sono diffusi ormai in tutta la Germania. Appaiono innocui e legati alla terra. Il Verfassungsschutz, ricorda Mastrobuoni, ha riportato che nel 2024 c’erano oltre 50mila Völkischen, pronti ad azioni violente. Björn Höcke, il leader dell’AfD in Turingia, proviene da quella cultura e ha permeato il partito di slogan che derivano dall’ideologia bruna. Uno degli obiettivi dichiarati dell’AfD è quello di ampliare i confini del dicibile, come ha dichiarato Alexander Gauland. Nella Piana di Lüneburg, i nazionalisti bio trovano terreno fertile perché quella era stata una delle aree dove il NS aveva attecchito precocemente. Possono espandersi, moltiplicarsi, diffondere il loro veleno tra le comunità rurali. Dopo la caduta di Hitler arrivò lì un uomo che i contadini cominciarono a chiamare affettuosamente zio Adolf. Molti sapevano chi fosse e nessuno lo denunciò.
Nel 1950 fuggì in Sudamerica e sparì per un decennio. Si chiamava Adolf Eichmann. Per quattro lunghi anni nella Piana, visse indisturbato. Ancora oggi, lì ed altrove, alcune famiglie sono rimaste fedeli a Hitler. Sono naziste da generazioni. I bambini crescono in un mondo reazionario e autoritario. Non possono indossare jeans, il computer è vietato, devono usare solo termini tedeschi – gli anglicismi sono proibiti. Le bambine diventano iper-addomesticate con comportamenti molto aggressivi. L’obiettivo è essere pronti per il momento della presa del potere. Ci credono. I campeggi nazisti sono un addestramento paramilitare per bambini. I Völkischen non sono rozzi. Anzi, si considerano un’élite. Suonano tutti almeno uno strumento, sono i primi della classe, studiano all’università per essere i migliori. E pensano non in termini di mesi o anni, ma di generazioni. Si preparano al “Giorno X” in cui riconquisteranno la “loro” Germania.
I Völkischen hanno una strategia di reclutamento. Quando arrivano nei villaggi, cercano subito di rendersi utili, si iscrivono nelle associazioni locali infettandole con le loro idee. Mastrobuoni ricorda che per tanti Völkischen, la medicina tradizionale è una diavoleria degli ebrei. Si basano quindi sulla Nuova medicina germanica. Da quando l’estrema destra AfD è riuscita a entrare nel Bundestag i Völkischen sentono di avere il vento in poppa. Ci sono cellule dormienti di un culto bruno che vogliono garantirsi il Lebensraum del vecchio social-darwinismo hitleriano. Mastrobuoni racconta di Güstrow, in Meclemburgo. I nazisti fondarono negli anni Venti il movimento degli Artamani. Willibald Hentschel, politico, scrittore, antisemita e sostenitore della purezza della razza, immaginò una comunità rurale di combattenti che richiamassero la cavalleria medievale e li battezzò Artam. L’obiettivo era creare un’élite in piena campagna, isolarsi dalla Repubblica di Weimar rendendosi autosufficienti, costruire un’élite völkisch, germanica e antisemita, cacciare i lavoratori polacchi.
Ne facevano parte Heinrich Himmler e Rudolf Höss. Quest’ultimo nella sua autobiografia, prima di essere impiccato nel 1947 ad Auschwitz, svela che «per me esisteva un solo obiettivo per cui valesse la pena lavorare e combattere: una fattoria costruita con le mie mani e una sana, grande famiglia. Era questo lo scopo della mia vita». I neo-Artamani odiano gli stranieri, la sinistra e la democrazia. Spesso nelle loro case-fattoria c’è un segno della nuova avanguardia hitleriana: l’Irminsul, una colonna alata, simbolo germanico e pagano che Artamani ed eco-nazisti mettono all’ingresso delle loro case per riconoscersi reciprocamente. Anche gli Artamani iscrivono i figli tutti insieme e in scuole steineriane o evangeliche private dove i genitori hanno molta più influenza sui programmi. L’ondata di violenze contro sindaci e amministratori locali è aumentata esponenzialmente durante le proteste no-vax, contribuendo all’imbarbarimento generale del clima politico.
L’abitudine di terrorizzare gli obiettivi politici fino alla porta di casa è tipica dei neonazisti ed è antica. Lo scopo finale è quello di «scoraggiare le persone che vogliono impegnarsi in attività democratiche». Nel Nord del Meclemburgo c’è il più famigerato insediamento völkisch. Un cartello indica la distanza da Braunau am Inn. Nella fattoria di neonazisti sono dipinti un’inquietante famiglia “ariana”. I Völkischen sono riusciti negli anni a cacciare quasi tutti. Esistono veri e propri villaggi-fortezza con ruoli rigidissimi tra i sessi. Racconta Mastrobuoni: quando un neonazista fa riferimento all’etnopluralismo, non immagina una società in cui tante culture convivano … Ma intende che la cultura tedesca debba prevalere! “Etnopluralismo” è un termine ipocrita. Lo coniò nel 1968 lo storico revisionista Henning Eichberg, uno dei padri della Nuova destra tedesca. L’antisemitismo e il razzismo sono profondamente correlati all’etnopluralismo. Poi c’è la “remigrazione”, il piano di deportazioni di massa di profughi e migranti.
Höcke è stato il primo a menzionare l’obiettivo di un piano di remigrazione e a adottare la crudeltà ben temperata. Le deportazioni di massa erano l’unica soluzione per garantire la sopravvivenza del popolo tedesco. Nascondersi, negare tutto, è parte della filosofia dei Völkischen. Definita dai servizi segreti tedeschi di estrema destra, si fonda sui dieci libri di un oscuro affarista russo, Vladimir Megre. Che sostiene di aver incontrato una bambina con poteri paranormali in un bosco, Anastasia. E di aver assorbito le sue teorie. Megre fa confusione sul termine “democrazia” e lo fa derivare da “daimon”, invece che da “demos”. La democrazia come progetto satanico … Questo il messaggio dei libri di Anastasia, che propaga la purezza della razza. E Megre si scaglia spesso contro gli ebrei, delirando su una presunta élite di sacerdoti, leviti, che di nascosto governerebbero il mondo. I suoi seguaci sono in rapido aumento in Germania.
Poi Mastrobuoni ricorda la vicenda dei Reichsbürger, propagatori di un regime autoritario alternativo alla repubblica federale. E in Turingia sono cresciuti esponenzialmente negli anni del Covid-19. Mastrobuoni racconta che i Reichsbürger sono i seguaci di una delirante teoria secondo la quale la Repubblica Federale Tedesca non si sarebbe mai liberata dall’occupazione degli Alleati del 1945 e sarebbe una menzogna giuridica. Nel dicembre 2022 una cellula terroristica di negazionisti della Repubblica battezzata Unione patriottica e capitanata da un aristocratico, Heinrich Prinz Reuss (Enrico XIII), da una ex giudice ed ex parlamentare dell’AfD, Birgit Malsack-Winkemann, dagli ex membri della Bundeswehr Maximilian Eder e Rüdiger von Pescatore, stava preparando un colpo di Stato a suon di mitragliatrici. Obiettivo del golpe: abolire la democrazia, ripristinare il Reich del 1871, incoronare Enrico XIII a capo della monarchia tedesca.
«La peste si sta diffondendo. Si nasconde nelle campagne e nei villaggi, si insinua nelle comunità e nelle associazioni di volontariato, si infiltra nella polizia, nei servizi segreti, nell’esercito e negli apparati dello Stato. Infesta la repubblica come un cancro, la contagia con le sue idee antidemocratiche ed eversive che si diffondono come metastasi, in gran parte alimentate da crisi contingenti come l’emergenza dei migranti, il Covid o la guerra in Ucraina. E […] il morbo bruno ha trovato il modo di contaminare anche il Bundestag attraverso un partito che ne ha assorbito le istanze più radicali e ne sdogana […] linguaggio e […] obiettivi: l’AfD». Tra i bersagli dell’AfD, i richiedenti asilo, stranieri col permesso di soggiorno, cittadini tedeschi non assimilati, milioni di turchi, greci, italiani, siriani. Oltre venti milioni di cittadini.
Il termine remigrazione, dopo mesi di clandestinità, torna alla ribalta nei comizi elettorali dell’AfD. Che punta a una Germania monoetnica. La “Bevölkerungsaustausch” è diventata parte integrante del bagaglio programmatico dell’AfD, la «lenta sostituzione dei tedeschi attraverso migranti musulmani». L’idea che la sostituzione etnica sia orchestrata da presunte élite globaliste ebree. L’AfD non è solo il partito che si ribella alle politiche europee. Ma pure il partito della libertà di parola senza limiti. Dresda ha continuato a covare un revanscismo di destra che neanche i regimi comunisti erano riusciti a eliminare. Un odio cui si aggiunse, dopo la caduta del Muro, un senso di umiliazione per una Riunificazione che fu percepita come un’annessione, una colonizzazione che spazzò via l’identità di un Paese. I Länder della DDR siano stati il laboratorio della destra.
Cresciuto con i racconti nostalgici dei nonni che favoleggiano della vecchia patria, Königsberg, il pifferaio magico Höcke è un uomo pericoloso, che coltiva un’idea messianica di sé stesso. E chiede una svolta nella politica della memoria di centottanta gradi, contro il culto della colpa e l’ipocrita solidarietà mostrata dal partito verso Israele, in funzione antislamica. Un guanto di sfida ai centristi. In ambito istituzionale, Peter Sloterdijk è citato come modello. Egli ha criticato Angela Merkel per la sua solidarietà verso i profughi con parole orribili: nessuna società ha l’obbligo di autodistruggersi. Ha definito la Germania una “letargocrazia”, diventando un idolo dell’estrema destra. Poi emerge Alice Weidel, ex economista di Goldman Sachs, considerata il volto moderato di un partito radicalizzato, sopravvissuta della prima fase liberale e rigorista del partito dei professori. Un’opportunista, con faccia angelica dai modi borghesi che ha pacificato il partito.
Amedeo Gasparini