Commento

Al di là dei meriti e dei demeriti del CEO Meyer

Andreas Meyer, CEO delle FFS

Andreas Meyer, CEO delle FFS (Foto: Christine Strub)

Dopo dodici anni dalla sua chiamata alla presidente della Direzione generale delle FFS, Andreas Meyer, 58 anni, ha formalizzato ieri le sue dimissioni per fine 2020. Basilese e figlio di ferroviere, avvocato e poi manager ha avuto la sua precedente carriera in Germania, in particolare presso le ferrovie tedesche. Questo tratto marcante gli ha fatto sottovalutare le sensibilità del regionalismo e dell’ancoraggio sociale del sistema ferroviario svizzero. Lui stesso lo ha ammesso, per esempio, nella prima fase della crisi per le Officine FFS di Bellinzona, mentre i sindacati non risparmiano le critiche per le continue riforme e i guadagni di produttività messi sulle spalle dei lavoratori. Nel medesimo tempo, il suo percorso manageriale gli ha permesso quel distacco e quella necessaria determinazione per affrontare le sfide che si presentano anche in Svizzera per il mantenimento e l’avvenire di un’offerta e di un’infrastruttura ferroviaria al limite delle sue capacità.

Al di là dei meriti e dei demeriti del CEO Meyer, messi in risalto nelle reazioni a caldo dei media, direi che al compito di trovare un valido successore, di competenza del CdA delle FFS, andrebbe aggiunta una profonda riflessione politica per ridefinire i termini i termini e le risorse all’altezza di nuova cultura della mobilità e dello sviluppo sostenibile.

Abbiamo una rete ferroviaria tra le più fitte, ben integrata con le offerte degli altri mezzi di trasporto e, soprattutto, gestita in termini di offerta cadenzata (ogni ora, mezz’ora o quarto d’ora) con un sistema integrato da vero paese di perfezionisti e. A che condizioni ce lo possiamo permettere? Sono evidenti i limiti di una politica che vent’anni fa, quando ha deciso in una fase di liberalizzazione/aziendalizzazione delle sue regie di servizio pubblico, ha creduto che si potesse continuare a far sognare i propri elettori in termini di mobilità lasciando poi le responsabilità alle aziende nell’ambito di mandati di prestazioni pluriennali e al mercato.

Le dimissioni di Meyer non corrispondono solo a un suo legittimo desiderio di affrontare una nuova fase della sua vita; devono essere un segnale d’allarme politico. Non tanto nel senso di passare all’ennesima proposta di ristrutturazione/riforma gestionale, ma in quello di una riconsiderazione delle nostre capacità e alternative di finanziamento a medio e lungo termine della nostra offerta di mobilità, del nostro sistema e delle nostre infrastrutture. Gli scenari sono aperti: si va dal degrado e dal ridimensionamento, al riassetto tecnocratico fino al rinnovo, consistente in un nuovo ciclo di vita dei trasporti.

Remigio Ratti

In cima