Cultura

1. Agosto, cade il centenario dalla nascita di Alberto Vigevani

In occasione della riedizione per i tipi di Endemunde del romanzo di Alberto Vigevani I compagni di settembre, cinque anni fa non pochi critici e letterati riassunsero il percorso editoriale del libro, uscito in prima edizione a Lugano nel 1944. Un’altra ricorrenza merita oggi qualche riga: il centenario della nascita di Vigevani, autore amabile e raffinato a cui si devono pagine di soave lirismo.

Uno pseudonimo per scrivere: Tullio Righi

Un giovane Vigevani sul set del film “I ragazzi di via Pál”. Cineteca di Bologna.

Si conoscono non pochi saggi sulla figura, l’opera e l’intensa attività culturale di quel distinto intellettuale che fu Alberto Vigevani. Ad eccezione degli amici e degli estimatori che ne conservano una memoria viva e presente, la ricorrenza della sua nascita, un secolo fa, potrebbe passare in subordine rispetto a quella della scomparsa, avvenuta a Milano nel febbraio 1999. Tuttavia quel 1° agosto 1918, tre mesi prima dell’armistizio di Compiegne che pose fine alla Guerra Mondiale, ha una valenza significativa nella memoria di quanti – e sono molti – hanno approfondito temi, genesi e generi della produzione di Alberto Vigevani. Perché nascere ebreo ebbe un’incidenza non lieve nell’esistenza di quell’autore che Lalla Romana volle definire in un affettuoso ricordo il tenero Vigevani, ripensando al suo amore per la pagina scritta, sia come libraio antiquario ed editore, sia come narratore e verseggiatore; passione confluita nel tempo in una scrittura caratterizzata da una compostezza stilistica squisitamente evocativa. Rifugiatosi in Svizzera dopo l’8 settembre del Quarantatré, Vigevani svolse una fervida attività intellettuale prendendo parte alla vita culturale ticinese. Autore del romanzo I compagni di settembre, considerato il primo romanzo sulla Resistenza, utilizzò per l’occasione lo pseudonimo di Tullio Righi per non incorrere nei pericoli derivanti dalle inique leggi razziali del 1938, che proibivano agli israeliti di pubblicare libri. Così fu anche per Giorgio Bassani, che nel 1940 nascose la propria identità dietro il nome fittizio di Giacomo Marchi per poter dare alle stampe Una città di pianura con l’editrice milanese Ceschina. Vigevani pubblicò I compagni di settembre a Lugano nel 1944 con la Ghilda del Libro, e nello stesso anno vinse il Premio Ghilda, con Ignazio Silone come Presidente della Commissione Giudicatrice e ispiratore dell’istituzione dello stesso Premio.

Le ambientazioni svizzere di Vigevani

Ciò che invece è sottotono nelle valutazioni della critica è la bipartizione fra il tema civile affrontato da Vigevani nelle sue opere giovanili e la levità poetica – pur sempre contornata da passione in cui il sociale costituisce lo sfondo essenziale dei sentimenti – che contrassegna altre opere di narrativa di cui fu autore. Si pensi al delizioso racconto intitolato Estate al lago del 1958, ambientato in luoghi di confine tra Baragiola, Porlezza, Senaga, Cadenabbia, Acquaseria e Gravedona, che fungono da spartiacque – anche ideologico – fra modi differenti di concepire il vivere civile. O Ad un certo Ramondès del 1966, che ottenne il Premio Veillon, dove un giovane intellettuale viene incaricato di compiere un viaggio esplorativo dalla Francia all’Italia attraverso la Svizzera per sondare il clima sociale e politico che grava sui milanesi nel 1940 (anno di cambiamenti epocali per l’entrata in guerra del Paese) e le posizioni assunte dalla Chiesa. Si pensi ancora a La reputazione del 1961, storia d’amore ambientata in Svizzera, consumata tra un emigrante italiano e una ragazza che incarna le fattezze e i costumi morali delle giovani donne svizzere nel periodo della grande emigrazione. Con quel che all’epoca comportava progettare un futuro insieme: lui pieno di propositi e lei osteggiata dalla famiglia, giungono ad una drammatica conclusione, sfociata nell’interruzione del loro rapporto dopo la perdita accidentale di un figlio in arrivo.

Lo scrittore e il suo traduttore. Adolf Saager di Massagno

C’è poi un altro aspetto su cui è necessario soffermarsi: I compagni di settembre di Alberto Vigevani fu pubblicato anche in lingua tedesca a Zurigo dall’editrice Büchergilde Gutenberg nello stesso 1944 con il titolo Fünf Partisanen, con traduzione di Adolf Saager, scrittore indipendente originario di Stoccarda, dove nacque nel 1879, ma trasferitosi a Massagno nel 1914. Traduttore di Vino e pane di Ignazio Silone (secondo romanzo dello scrittore abruzzese edito in lingua tedesca nel 1936 e per la prima volta in italiano nel 1937 a Lugano dalle Nuove Edizioni di Capolago), Saager si spense a Massagno nel 1949, dopo avervi soggiornato per 35 anni. Benevolo e lusinghiero ci appare il giudizio di Adolf Saager sul romanzo di Vigevani, che distintamente coglie, nella partecipazione all’esperienza partigiana del protagonista, una puntuale rappresentazione della multiforme società italiana dell’epoca, costretta a fare i conti con l’esilio oltre confine di quanti subirono le nefaste conseguenze degli orientamenti razziali e politici di un regime dispotico. Scriverà a questo proposito lo stesso Saager nella presentazione de I compagni di settembre, pubblicata nel bollettino mensile «Ghilda del libro», edito a Lugano nel novembre 1944: L’unità della lotta per la liberazione diventa visibile nello sforzo reciproco compiuto da questi rappresentanti delle diverse classi per umanamente avvicinarsi. Ma non costituiscono una massa omogenea: nonostante il loro ideale comune e la speranza e la disperazione che li tengono legati insieme, individualmente sono nettamente differenziati. Ed è questo che rende «vero» e convincente il racconto. La stessa veste grafica dell’edizione zurighese rende «vero» e convincente il romanzo. Alla pennellata descrittiva di Tullio Righi corrisponde, nello schizzo sulla legatura in tela, l’intenzione editoriale della Büchergilde Gutenberg di riconvocare visivamente per i lettori di lingua tedesca profili di case in lontananza. Tratti semplici per delineare terre di confine, con tetti ravvicinati e campanili a punta, declivi collinari sullo sfondo, gole e rilievi anche imponenti. Insomma, il paesaggio della Val d’Intelvi, i cui profili dolci e incantevoli paiono in stridente contrasto con la ferocia degli eventi a cui il protagonista del romanzo partecipa. Non dissimile peraltro dai panorami di Arogno lungo la Strada Valmara, nei percorsi impervi del luogo di confine attraverso il quale avvenne l’ingresso in Svizzera di Alberto Vigevani nel settembre 1943, in compagnia della moglie Anna Maria Camerini e del figlio. Un’ospitalità, quella ticinese, che Vigevani seppe degnamente onorare. Ottenuta la residenza a Lugano, fu alla direzione della rubrica Arte, Letteratura e Lavoro del quotidiano «Libera Stampa», scegliendo come pseudonimo ora Berto Viani, ora Il Bibliofilo e ora Tullio Righi per la collaborazione con altri periodici, dal «Corriere del Ticino» all’«Almanacco letterario» della Collana di Lugano, dal «Bollettino della Ghilda del libro» all’«Almanacco delle Arti» e «Belle Lettere» della stessa Collana di Lugano.

A cento anni dalla nascita, piace qui ricordarlo in posa garbata e con la sobrietà che gli apparteneva per natura, come volle ritrarlo Carlo Levi nel 1941. Dello scrittore ventitreenne abbiamo così una dipintura poco iconica, ma adatta alla rappresentazione di sé. Due anni più tardi metterà piede sul suolo svizzero

Giuseppe Muscardini

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