L’eresia liberale (Rizzoli 2025) di Alessandro Sallusti raccoglie una serie di episodi, tra politica e vita personale dell’autore, sull’Italia di oggi e di ieri. Talvolta con attenzione nei confronti dell’estero. Spicca il tentativo di vedere tutto tramite gli occhi della politica e pesa il tono polemico con le accuse nei confronti della “sinistra”. Il che oggi suona come qualcosa di già detto e ridetto. In effetti, è stato detto e ridetto che Giorgio Napolitano era attivista nei GUF. Che Dario Fo era volontario nella RSI. Che Eugenio Scalfari era convintamente fascista. E che Gaetano Azzariti ruotava nel Dopoguerra in orbita comunista … Una polemica sterile. Serve a nobilitare una certa destra di governo? No – sebbene Sallusti elogi Giorgia Meloni e parli di un filo rosso, che vede solo lui, tra lei, Margaret Thatcher e Angela Merkel – le quali hanno governato il paese lasciando un’impronta e riforme.
Ma la più grande critica che si può muovere al libro di Sallusti è che l’autore usa “conservatore” e “liberale” in maniera intercambiabile. Qua e là compare anche “conservatore liberale” – diverso dai primi due e da “liberale conservatore”. Non sussiste alcun apparato teorico di definizione di Sallusti di queste quattro figure concettualmente distinte. «Contro la cancel culture e il senso di colpa della sinistra globalista, un liberal-conservatore difende le libertà che costituiscono l’orgoglio dell’Occidente e il suo più grande apporto alla storia del mondo». Certo, l’autore esordisce parlando di quattro punti chiave del pensiero conservatore – il punto di vista, la libertà, il modo di comunicare, il ruolo della minoranza – e l’associa a Winston Churchill, Gustave Thibon, Charles De Gaulle e Ayn Rand. Ma poi non approfondisce, definendoli eretici come sarebbero oggi i conservatori in Italia. L’aspetto biografico più discusso nel volume riguarda il suo arresto avvenuto in redazione.
Alle 11:30 del 1° dicembre 2012, dalla sede del Giornale a Milano, Sallusti fu condotto in carcere per scontare una pena di un anno e due mesi. Secondo quanto dichiarato da Sallusti, si trattò di un evento senza precedenti nel giornalismo italiano. Mai prima di allora un direttore era stato arrestato. E per di più all’interno della sede del quotidiano. Sallusti dice che «perdere la libertà è un’esperienza comunque traumatica». «Non mi stavano arrestando per un fatto specifico […] ma per un’idea, la mia idea. Ero colpevole, da liberal-conservatore […] perché criticavo apertamente e con forza l’uso spregiudicato della giustizia per fini politici». Dopo qualche settimana di arresti domiciliari il Presidente della Repubblica (quel Giorgio Napolitano) lo graziò. Sallusti non lo ricorda nel volume, ma il conservatore Giovannino Guareschi invece la grazia l’aveva rifiutata e si fece la sua galera, peraltro per fatti – oggi si sa – inventati.
Silvio Berlusconi, per anni editore di fatto del Giornale, compare spesso nel libro. «È innegabile e documentato, quindi vero, che Silvio Berlusconi sia stato uno dei più grandi e illuminati imprenditori del Novecento, che sia stato a lungo in testa alla classifica dei pagatori di tasse, un ottimo padre e un generoso filantropo, un importante leader politico del suo Paese; è altresì innegabile e documentato, quindi vero, che Silvio Berlusconi ha subito una condanna per evasione fiscale, che ha avuto una vita privata sentimentale dissennata, che non sempre si è circondato di persone al di sopra di ogni sospetto». Discorso sobrio, che tuttavia non tiene conto di migliaia di elementi, i qual però qui non ha molto senso discutere. Ma per Sallusti basta, perché «la verità, nella vita reale, non può essere imposta per legge, nessuno può rivendicarla come assoluta, ognuno deve essere libero di scegliere da che parte stare».
Gustosi gli aneddoti attorno al mondo conservatore, che Sallusti ben conosce. Ad esempio, nel 1976, Renzo De Felice aderì a un appello di Indro Montanelli e pubblicato sul Giornale, in cui si invitava gli italiani a votare partiti compresi tra il Psi a sinistra e il Pli a destra. «Ho firmato perché ho l’impressione», sostenne allora De Felice, «che tanti intellettuali votino il Partito comunista nel timore di perdere la qualifica di uomini di cultura. Di Montanelli poi Sallusti fu redattore al Giornale e dice che era «incapace di vivere a favore di corrente, quale che fosse. Prima regola montanelliana: stare fuori dal coro». Inoltre: «Il montanellismo ha creato nella destra diversi mostri e un grande equivoco. I mostri sono coloro che scimmiottando il maestro pensano che per essere di destra basti spararla grossa, essere originali su qualsiasi tema, giocare con le parole più che ragionare sui fatti». Vero.
Con un certo equilibrio intellettuale, Sallusti riconosce l’importanza del saggio Destra e sinistra di Norberto Bobbio, tra i pochi intellettuali di sinistra ad aver affrontato in modo oggettivo e non ideologico il confronto tra le due visioni. Per Bobbio, infatti, la sinistra tende all’uguaglianza, la destra accetta le disuguaglianze come motore della competizione. Un raro esempio, secondo l’autore, di rispetto per entrambe le posizioni senza rinnegare le proprie idee. Poche, ma buone, le parole su Benedetto Croce, che però viene un po’ strumentalizzato per avvalorare alcune tesi dell’autore, giacché in merito all’onestà politica, Croce rispose: «L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze».
Conclude Sallusti: «Se sei un politico […]: io pretendo che tu venga incontro, e possibilmente risolva, i miei problemi di cittadino, tutto il resto attiene a una sfera giudiziaria alla quale la società ha delegato il controllo del rispetto delle leggi». Qualche riflessione sulla cancel culture – «in nome della libertà bisogna o no accettare anche le sue conseguenze che sono spesso disastrose? I liberali puristi non hanno dubbi: sì, si deve». Giusto. Ma ecco ancora la sovrapposizione e l’intercambiabilità fallace tra liberale e conservatore. Per poi concludere, con un conservatore liberale, Ronald Reagan. Che disse: «La differenza tra una democrazia liberale e una democrazia socialista è la stessa che passa tra una camicia e una camicia di forza». Di nuovo, poco approfondimento sull’attacco nei confronti di un certo conservatorismo bigotto, fanatico, nazionalista e reazionario nei confronti del liberalismo, della libertà, della democrazia liberale.
Amedeo Gasparini
L’eresia liberale (Rizzoli 2025) di Alessandro Sallusti raccoglie una serie di episodi, tra politica e vita personale dell’autore, sull’Italia di oggi e di ieri. Talvolta con attenzione nei confronti dell’estero. Spicca il tentativo di vedere tutto tramite gli occhi della politica e pesa il tono polemico con le accuse nei confronti della “sinistra”. Il che oggi suona come qualcosa di già detto e ridetto. In effetti, è stato detto e ridetto che Giorgio Napolitano era attivista nei GUF. Che Dario Fo era volontario nella RSI. Che Eugenio Scalfari era convintamente fascista. E che Gaetano Azzariti ruotava nel Dopoguerra in orbita comunista … Una polemica sterile. Serve a nobilitare una certa destra di governo? No – sebbene Sallusti elogi Giorgia Meloni e parli di un filo rosso, che vede solo lui, tra lei, Margaret Thatcher e Angela Merkel – le quali hanno governato il paese lasciando un’impronta e riforme.
Ma la più grande critica che si può muovere al libro di Sallusti è che l’autore usa “conservatore” e “liberale” in maniera intercambiabile. Qua e là compare anche “conservatore liberale” – diverso dai primi due e da “liberale conservatore”. Non sussiste alcun apparato teorico di definizione di Sallusti di queste quattro figure concettualmente distinte. «Contro la cancel culture e il senso di colpa della sinistra globalista, un liberal-conservatore difende le libertà che costituiscono l’orgoglio dell’Occidente e il suo più grande apporto alla storia del mondo». Certo, l’autore esordisce parlando di quattro punti chiave del pensiero conservatore – il punto di vista, la libertà, il modo di comunicare, il ruolo della minoranza – e l’associa a Winston Churchill, Gustave Thibon, Charles De Gaulle e Ayn Rand. Ma poi non approfondisce, definendoli eretici come sarebbero oggi i conservatori in Italia. L’aspetto biografico più discusso nel volume riguarda il suo arresto avvenuto in redazione.
Alle 11:30 del 1° dicembre 2012, dalla sede del Giornale a Milano, Sallusti fu condotto in carcere per scontare una pena di un anno e due mesi. Secondo quanto dichiarato da Sallusti, si trattò di un evento senza precedenti nel giornalismo italiano. Mai prima di allora un direttore era stato arrestato. E per di più all’interno della sede del quotidiano. Sallusti dice che «perdere la libertà è un’esperienza comunque traumatica». «Non mi stavano arrestando per un fatto specifico […] ma per un’idea, la mia idea. Ero colpevole, da liberal-conservatore […] perché criticavo apertamente e con forza l’uso spregiudicato della giustizia per fini politici». Dopo qualche settimana di arresti domiciliari il Presidente della Repubblica (quel Giorgio Napolitano) lo graziò. Sallusti non lo ricorda nel volume, ma il conservatore Giovannino Guareschi invece la grazia l’aveva rifiutata e si fece la sua galera, peraltro per fatti – oggi si sa – inventati.
Silvio Berlusconi, per anni editore di fatto del Giornale, compare spesso nel libro. «È innegabile e documentato, quindi vero, che Silvio Berlusconi sia stato uno dei più grandi e illuminati imprenditori del Novecento, che sia stato a lungo in testa alla classifica dei pagatori di tasse, un ottimo padre e un generoso filantropo, un importante leader politico del suo Paese; è altresì innegabile e documentato, quindi vero, che Silvio Berlusconi ha subito una condanna per evasione fiscale, che ha avuto una vita privata sentimentale dissennata, che non sempre si è circondato di persone al di sopra di ogni sospetto». Discorso sobrio, che tuttavia non tiene conto di migliaia di elementi, i qual però qui non ha molto senso discutere. Ma per Sallusti basta, perché «la verità, nella vita reale, non può essere imposta per legge, nessuno può rivendicarla come assoluta, ognuno deve essere libero di scegliere da che parte stare».
Gustosi gli aneddoti attorno al mondo conservatore, che Sallusti ben conosce. Ad esempio, nel 1976, Renzo De Felice aderì a un appello di Indro Montanelli e pubblicato sul Giornale, in cui si invitava gli italiani a votare partiti compresi tra il Psi a sinistra e il Pli a destra. «Ho firmato perché ho l’impressione», sostenne allora De Felice, «che tanti intellettuali votino il Partito comunista nel timore di perdere la qualifica di uomini di cultura. Di Montanelli poi Sallusti fu redattore al Giornale e dice che era «incapace di vivere a favore di corrente, quale che fosse. Prima regola montanelliana: stare fuori dal coro». Inoltre: «Il montanellismo ha creato nella destra diversi mostri e un grande equivoco. I mostri sono coloro che scimmiottando il maestro pensano che per essere di destra basti spararla grossa, essere originali su qualsiasi tema, giocare con le parole più che ragionare sui fatti». Vero.
Con un certo equilibrio intellettuale, Sallusti riconosce l’importanza del saggio Destra e sinistra di Norberto Bobbio, tra i pochi intellettuali di sinistra ad aver affrontato in modo oggettivo e non ideologico il confronto tra le due visioni. Per Bobbio, infatti, la sinistra tende all’uguaglianza, la destra accetta le disuguaglianze come motore della competizione. Un raro esempio, secondo l’autore, di rispetto per entrambe le posizioni senza rinnegare le proprie idee. Poche, ma buone, le parole su Benedetto Croce, che però viene un po’ strumentalizzato per avvalorare alcune tesi dell’autore, giacché in merito all’onestà politica, Croce rispose: «L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze».
Conclude Sallusti: «Se sei un politico […]: io pretendo che tu venga incontro, e possibilmente risolva, i miei problemi di cittadino, tutto il resto attiene a una sfera giudiziaria alla quale la società ha delegato il controllo del rispetto delle leggi». Qualche riflessione sulla cancel culture – «in nome della libertà bisogna o no accettare anche le sue conseguenze che sono spesso disastrose? I liberali puristi non hanno dubbi: sì, si deve». Giusto. Ma ecco ancora la sovrapposizione e l’intercambiabilità fallace tra liberale e conservatore. Per poi concludere, con un conservatore liberale, Ronald Reagan. Che disse: «La differenza tra una democrazia liberale e una democrazia socialista è la stessa che passa tra una camicia e una camicia di forza». Di nuovo, poco approfondimento sull’attacco nei confronti di un certo conservatorismo bigotto, fanatico, nazionalista e reazionario nei confronti del liberalismo, della libertà, della democrazia liberale.
Amedeo Gasparini