
Contiene piccoli episodi inediti, il Verranno a chiederti di Fabrizio De André (PaperFIRST 2025) di Andrea Scanzi, ancora oggi appassionato del grande cantautore genovese. Un “ritratto d’amore di un poeta eterno”, sottotitolo pienamente calzante della breve opera, impreziosita in coda dalle interviste a Dori Ghezzi e Cristiano De André, poi da una galleria di personaggi – Beppe Grillo, Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Antonello Venditti, Francesco Guccini, Giorgio Gaber, Pierangelo Bertoli, Franco Battiato, Vasco Rossi, Roberto Vecchioni – che lo hanno conosciuto e poi interpretato in diverse occasioni. Il filo rosso del volume è il tono scherzoso, intimo e personale di Scanzi. Che ha dedicato diversi volumi ai suoi miti di gioventù nel campo della musica. La formulazione non è originalissima: si riprende a tratti la vita del cantautore e della sua opera musicale. Quello che fa la differenza è il tono e la schiettezza piuttosto nota dell’autore.
Il libro è diviso in primo e secondo tempo, come se fossero il lato A e B di un LP. Si parte dagli esordi. Fabrizio De André nasce a Genova il 18 febbraio 1940. Giuseppe De André era un uomo molto noto e potente. Conosceva tutti. Una volta, al ristorante, presentò Charlie Chaplin a suo nipote, Cristiano, all’epoca piccolissimo. Un’anima deliberatamente inquieta e dannata: così definisce l’autore sin dagli inizi. De André si innamora delle opere di Errico Malatesta, Michail Bakunin e di altri libertari. Il libro L’Unico e la sua proprietà di Max Stirner gli cambia la vita. L’avvicinamento alle idee anarchiche è anche frutto dell’ammirazione per Georges Brassens, che non volle mai conoscere perché gli avevano detto che aveva un carattere pessimo. Il De André degli anni Cinquanta è un demone irrequieto anche per ammissione dell’amico di una vita, Paolo Villaggio.
Il comico racconta che lui e De André si trovarono a suonare sulle navi con Silvio Berlusconi. De André non ha mai confermato né smentito. E Villaggio era uno che si divertiva a sparare grosse. «Mi chiamavano le petit connard, il coglioncino», ricorda. Sono gli anni in cui le canzoni circolano quasi clandestinamente tra il pubblico, e delineano sin dall’inizio la figura del cantautore degli emarginati. De André però sta cambiando per sempre la musica italiana. “La canzone di Marinella” è il brano più noto di De André e, come quasi sempre capita nella musica, non è la sua canzone migliore. Però è un brano importante perché viene lanciato da Mina. Solo che le canzoni si distinguono in fortunate e sfortunate. Il fatto che Marinella facesse rima con parole come “bella” o “stella” l’ha resa più fortunata di altre. La svolta di Marinella, per Fabrizio, non è artistica, bensì commerciale.
“Preghiera in gennaio” De André la compose di getto, dopo aver partecipato al funerale di Luigi Tenco. Tutti morimmo a stento, con testi di Riccardo Mannerini, poeta anarchico semi-cieco, molti lo ritengono addirittura il primo concept album italiano. De André ha ritenuto il disco barocco – lo è innegabilmente. E come arrangiamenti andava proprio riscritto da capo o quasi. Quando era in crisi, Fabrizio prendeva tempo e faceva uscire un disco-antologia. Nel 1974 lo fa con Canzoni, dopo Tutti morimmo a stento lo fa con Volume 3°. Un disco interlocutorio, cerniera, lo definisce Andrea Scanzi. Ma il disco perfetto è La buona novella. I Vangeli apocrifi saranno anche alla base, nel 1991, de Il Vangelo secondo Gesù Cristo di José Saramago. La buona novella è un disco inaudito e illegale: bellissimo. Con il quinto volume basato sull’Antologia Spoon River di Edgar Lee Masters entra Nicola Piovani.
Storia di un impiegato è rivalutato tardivamente. La stroncatura più famosa la diede Gaber: «[De André ha usato] un linguaggio da liceale, non si riesce a capire se sia liberale o extraparlamentare». In Canzoni, del 1974, la presenza di Francesco De Gregori non è casuale e non sarà l’unica. Vol. 8 è un buon disco, ma non è un capolavoro. De André dovuto appoggiarsi mani e piedi al più giovane e ispirato De Gregori. Andrea Scanzi ripercorre anche l’alcolismo evidente di De André e la lotta contro questo demone. Da cui però uscì anche “Amico fragile”. Sono gli anni in cui si avvicina anche Cristiano Malgioglio, molto amico di De André, che a De André per sua ammissione deve tantissimo. E arrivano anche Dori, la Sardegna di Tempio Pausania, quindi Massimo Bubola. Dell’Agnata De André andava fierissimo. Si intestardì anche per creare nella tenuta un grande lago artificiale.
Il mondo musicale di Fabrizio, in Rimini, diventa molto più americano che europeo. La condanna della guerra, l’elogio degli sconfitti e dei dimenticati, i tossicodipendenti, l’aborto, il rimando all’attualità. Il tour con la PFM fu pazzesco, con foto memorabili di Guido Harari, scontri guerreggianti tra De André e contestatori. Il rapimento dell’agosto 1979 (Dori e Fabrizio sarebbero stati rilasciati dopo quattro mesi) fu un grave periodo per il cantautore e la compagna. Ma al processo, De André confermò il perdono per i suoi carcerieri. Ricorda Andrea Scanzi che per sua eccessiva benevolenza, firme come Sergio Ricossa e Domenico Bartoli lo definirono snob viziato. Ma De André ipotizzò anche di suicidarsi. Scanzi scrive che L’Indiano è un disco di altissimo livello, esplora il parallelismo tra nativi americani e popolo sardo, entrambi privati della loro libertà da una realtà più grande di loro. Canzone perfetta è “Hotel Supramonte”.
Ricorda l’autore in maniera controversa e controcorrente: Fabrizio De André ha scritto pochissime canzoni da solo. Si è sempre fatto accompagnare, aiutare e completare. Senza Bubola non avremmo avuto Rimini e L’indiano, senza Mauro Pagani non avremmo avuto Crêuza de mä, senza Ivano Fossati non avremmo avuto Anime salve. Poi forse De André ha cannibalizzato tutto e tutti, siamo d’accordo. Crêuza de mä è il disco più straordinario, poi Le nuvole del 1990. “La domenica delle salme” è un brano torrenziale che termina con il suono delle cicale, a simboleggiare la natura spenta e donabbondesca dell’italiano. E Anime Salve è la degna conclusione dell’opera di un artista eccezionale, dotato, controverso, amatissimo oggi, forse più che in vita. Anticonformista fino alla fine, disse: «L’artista non deve integrarsi! L’artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere! Se si integrano gli artisti ce l’abbiamo nel culo, cazzo!»
Amedeo Gasparini
Andrea Scanzi racconta l’anima inquieta e dannata di De André
Contiene piccoli episodi inediti, il Verranno a chiederti di Fabrizio De André (PaperFIRST 2025) di Andrea Scanzi, ancora oggi appassionato del grande cantautore genovese. Un “ritratto d’amore di un poeta eterno”, sottotitolo pienamente calzante della breve opera, impreziosita in coda dalle interviste a Dori Ghezzi e Cristiano De André, poi da una galleria di personaggi – Beppe Grillo, Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Antonello Venditti, Francesco Guccini, Giorgio Gaber, Pierangelo Bertoli, Franco Battiato, Vasco Rossi, Roberto Vecchioni – che lo hanno conosciuto e poi interpretato in diverse occasioni. Il filo rosso del volume è il tono scherzoso, intimo e personale di Scanzi. Che ha dedicato diversi volumi ai suoi miti di gioventù nel campo della musica. La formulazione non è originalissima: si riprende a tratti la vita del cantautore e della sua opera musicale. Quello che fa la differenza è il tono e la schiettezza piuttosto nota dell’autore.
Il libro è diviso in primo e secondo tempo, come se fossero il lato A e B di un LP. Si parte dagli esordi. Fabrizio De André nasce a Genova il 18 febbraio 1940. Giuseppe De André era un uomo molto noto e potente. Conosceva tutti. Una volta, al ristorante, presentò Charlie Chaplin a suo nipote, Cristiano, all’epoca piccolissimo. Un’anima deliberatamente inquieta e dannata: così definisce l’autore sin dagli inizi. De André si innamora delle opere di Errico Malatesta, Michail Bakunin e di altri libertari. Il libro L’Unico e la sua proprietà di Max Stirner gli cambia la vita. L’avvicinamento alle idee anarchiche è anche frutto dell’ammirazione per Georges Brassens, che non volle mai conoscere perché gli avevano detto che aveva un carattere pessimo. Il De André degli anni Cinquanta è un demone irrequieto anche per ammissione dell’amico di una vita, Paolo Villaggio.
Il comico racconta che lui e De André si trovarono a suonare sulle navi con Silvio Berlusconi. De André non ha mai confermato né smentito. E Villaggio era uno che si divertiva a sparare grosse. «Mi chiamavano le petit connard, il coglioncino», ricorda. Sono gli anni in cui le canzoni circolano quasi clandestinamente tra il pubblico, e delineano sin dall’inizio la figura del cantautore degli emarginati. De André però sta cambiando per sempre la musica italiana. “La canzone di Marinella” è il brano più noto di De André e, come quasi sempre capita nella musica, non è la sua canzone migliore. Però è un brano importante perché viene lanciato da Mina. Solo che le canzoni si distinguono in fortunate e sfortunate. Il fatto che Marinella facesse rima con parole come “bella” o “stella” l’ha resa più fortunata di altre. La svolta di Marinella, per Fabrizio, non è artistica, bensì commerciale.
“Preghiera in gennaio” De André la compose di getto, dopo aver partecipato al funerale di Luigi Tenco. Tutti morimmo a stento, con testi di Riccardo Mannerini, poeta anarchico semi-cieco, molti lo ritengono addirittura il primo concept album italiano. De André ha ritenuto il disco barocco – lo è innegabilmente. E come arrangiamenti andava proprio riscritto da capo o quasi. Quando era in crisi, Fabrizio prendeva tempo e faceva uscire un disco-antologia. Nel 1974 lo fa con Canzoni, dopo Tutti morimmo a stento lo fa con Volume 3°. Un disco interlocutorio, cerniera, lo definisce Andrea Scanzi. Ma il disco perfetto è La buona novella. I Vangeli apocrifi saranno anche alla base, nel 1991, de Il Vangelo secondo Gesù Cristo di José Saramago. La buona novella è un disco inaudito e illegale: bellissimo. Con il quinto volume basato sull’Antologia Spoon River di Edgar Lee Masters entra Nicola Piovani.
Storia di un impiegato è rivalutato tardivamente. La stroncatura più famosa la diede Gaber: «[De André ha usato] un linguaggio da liceale, non si riesce a capire se sia liberale o extraparlamentare». In Canzoni, del 1974, la presenza di Francesco De Gregori non è casuale e non sarà l’unica. Vol. 8 è un buon disco, ma non è un capolavoro. De André dovuto appoggiarsi mani e piedi al più giovane e ispirato De Gregori. Andrea Scanzi ripercorre anche l’alcolismo evidente di De André e la lotta contro questo demone. Da cui però uscì anche “Amico fragile”. Sono gli anni in cui si avvicina anche Cristiano Malgioglio, molto amico di De André, che a De André per sua ammissione deve tantissimo. E arrivano anche Dori, la Sardegna di Tempio Pausania, quindi Massimo Bubola. Dell’Agnata De André andava fierissimo. Si intestardì anche per creare nella tenuta un grande lago artificiale.
Il mondo musicale di Fabrizio, in Rimini, diventa molto più americano che europeo. La condanna della guerra, l’elogio degli sconfitti e dei dimenticati, i tossicodipendenti, l’aborto, il rimando all’attualità. Il tour con la PFM fu pazzesco, con foto memorabili di Guido Harari, scontri guerreggianti tra De André e contestatori. Il rapimento dell’agosto 1979 (Dori e Fabrizio sarebbero stati rilasciati dopo quattro mesi) fu un grave periodo per il cantautore e la compagna. Ma al processo, De André confermò il perdono per i suoi carcerieri. Ricorda Andrea Scanzi che per sua eccessiva benevolenza, firme come Sergio Ricossa e Domenico Bartoli lo definirono snob viziato. Ma De André ipotizzò anche di suicidarsi. Scanzi scrive che L’Indiano è un disco di altissimo livello, esplora il parallelismo tra nativi americani e popolo sardo, entrambi privati della loro libertà da una realtà più grande di loro. Canzone perfetta è “Hotel Supramonte”.
Ricorda l’autore in maniera controversa e controcorrente: Fabrizio De André ha scritto pochissime canzoni da solo. Si è sempre fatto accompagnare, aiutare e completare. Senza Bubola non avremmo avuto Rimini e L’indiano, senza Mauro Pagani non avremmo avuto Crêuza de mä, senza Ivano Fossati non avremmo avuto Anime salve. Poi forse De André ha cannibalizzato tutto e tutti, siamo d’accordo. Crêuza de mä è il disco più straordinario, poi Le nuvole del 1990. “La domenica delle salme” è un brano torrenziale che termina con il suono delle cicale, a simboleggiare la natura spenta e donabbondesca dell’italiano. E Anime Salve è la degna conclusione dell’opera di un artista eccezionale, dotato, controverso, amatissimo oggi, forse più che in vita. Anticonformista fino alla fine, disse: «L’artista non deve integrarsi! L’artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere! Se si integrano gli artisti ce l’abbiamo nel culo, cazzo!»
Amedeo Gasparini