Commento

Antonio Scurati sui discendenti del “Mussolini populista”

L’allarme per un ipotetico ritorno del Fascismo in Italia e in Europa guarda nella direzione sbagliata: è la tesi del saggio di Antonio Scurati Fascismo e populismo (Bompiani 2023). Un appello non convenzionale in un paese abituato a vedere Fascismo ovunque – senza mai averci fatto i conti. L’autore non è mai appartenuto a quella schiera di “intellettuali” che lanciano ogni due per tre l’allarme su un presunto ritorno del Fascismo. Scurati ha dedicato a Benito Mussolini una tetralogia di libri e conosce bene l’argomento. Gli si riconosca dunque che, proprio in veste di studioso del soggetto, non indica a casaccio un pericolo per la sopravvivenza della democrazia nelle recenti vittorie delle destre in Europa e in Italia. Sebbene condanni associazioni, gruppi, movimenti neofascisti e naziskin, Antonio Scurati spiega di non aver mai ritenuto che il vero pericolo per la democrazia provenisse da loro.

Essi, «non marciano alla testa di processi storici in cammino verso un prossimo futuro sono al contrario, ancora e sempre una retroguardia». La sfida per la democrazia è esistenziale, ma non è causata dal Fascismo di primo Novecento. Che non si ripresenterà della medesima forma, ma rappresenta comunque un pericolo. Lo scrittore sostiene che i partiti e i leader di destra oggi non discendono dal “Mussolini fascista”, ma dal “Mussolini populista”. Mussolini fu l’inventore del Fascismo, ma anche l’ideatore di una prassi di comunicazione e di leadership politica che oggi è riconducibile al populismo sovranista. «Questo fa sì che la discendenza dal Mussolini populista non debba essere necessariamente una discendenza consapevole, biografica, […] dichiarata o rivendicata». La cifra fondamentale del Fascismo è la violenza che lo ha accompagnato dal 1919 in poi. Per dirla con Scurati, la violenza è l’alfa e l’omega del Fascismo.

Come molti leader populisti odierni, Mussolini ha predicato il disprezzo per la democrazia elettorale e ha promosso l’antiparlamentarismo. Ci si è spesso domandati come un uomo rozzo, ignorante, giovane per quei tempi – arrivò a Palazzo Chigi a trentanove anni diventando il più giovane capo di governo d’Europa – espulso dal Partito Socialista e ritenuto da tutti un politico fallito, divenne il fondatore di un fenomeno che ancora oggi analizzato. La risposta è la violenza. Una violenza ideologicamente orientata e omicida. Ma, sostiene Scurati, non dobbiamo guardare soltanto al “Mussolini stupratore” dell’Italia, quanto pure al “Mussolini seduttore”, il “Mussolini populista”. Nella tesi di Scurati, il Duce ha svolto un ruolo di tecnico e di precettore di procedimenti populisti specialmente a livello retorico. «Io sono il popolo» è una delle prime regole del populismo mussoliniano. Un io onnivoro. Che si basa su frasi brevi ed elementari.

Ogni frase di Mussolini era uno slogan, un detto memorabile. Non si preoccupava dell’aderenza alla realtà. Tutto ruotava attorno all’io. Io dico, io faccio, io minaccio. Scurati lo chiama il personalismo linguistico del leader carismatico. L’io si mette in contrapposizione rispetto al noi. Non a caso, il Duce ingaggiò sin da subito una polemica contro il parlamentarismo. Il Parlamento rappresenta la diversità, la molteplicità, la differenza di pensiero. «Ma, se io sono il popolo, e il popolo sono io, il Parlamento diventa, allora, una perdita di tempo, un luogo di corruzione, di degenerazione patologica, di inadeguatezza, ruberie, privilegi di casta, il centro di un inutile caos cronico». Sin dal 1919 Mussolini dichiarò i suoi Fasci di combattimento un antipartito. Mussolini fu anche tra i primi a intuire l’era delle masse dopo la Grande Guerra. Ma soprattutto il ruolo del leader nel coinvolgerle e indirizzarle.

Di sé Mussolini diceva: «Io sono l’uomo del dopo». Come il leader populista, secondo Scurati, il condottiero non deve avere delle idee vere e proprie, non ha convinzioni irrinunciabili. Nella sua scalata al potere e nel volgere di pochi anni Mussolini tradì tutti: pacifisti, repubblicani, socialisti, monarchici, liberali. Anche i camerati che gli spianarono la strada verso il potere a suon di manganello. E alla fine, ricorda Antonio Scurati, tradì anche se stesso. E diventò l’uomo che odiava da ragazzo. L’arruffapopolo, il boss clanico che usa la politica della paura, fondamentale per l’affermazione del potere. Un leader populista si appella sempre alla paura. Quasi mai alla speranza. Nel 1919 moltissimi speravano in un futuro migliore. Ma molti erano anche intimoriti dal ritorno della guerra e dell’arrivo del Socialismo. D’altronde, la piccola borghesia aveva appena faticosamente guadagnato qualcosa e la grande borghesia aveva molto da perdere.

Dunque, Mussolini scommise tutto quello che aveva contro la speranza socialista e contro la speranza della rivoluzione socialista del tempo a favore del contrario. Soffiò sulla paura. L’alimentò e ingigantì contro i partiti democratici. Il Fascismo fu una strategia di paura integrale e totale. Come i leader populisti dell’oggi, Mussolini esacerbò i sentimenti di ansia, le passioni tristi, il senso di delusione e di tradimento. Del risentimento generalizzato e latente. È vero che quando odi ti senti vivo, osserva Scurati. Mussolini lo capì benissimo. La semplificazione della vita moderna fu un ultimo elemento che consentì a Mussolini un vasto successo. Scurati ne identifica le tappe. 1) Tutto riconducibile a un unico problema. 2) L’unico problema è riconducibile ad un nemico. 3) Quel nemico va individuato in uno straniero. 4) Lo straniero è da uccidere. 5) Il problema è risolto.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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