Musica

Applausi interminabili per la titanica inaugurazione di Lugano Musica

Nelson Freire al piano

Applausi interminabili e scroscianti salutavano, dopo quasi due ore di musica, i formidabili musicisti della Filarmonica di San Pietroburgo e Ion Marin, direttore rumeno ma ticinese d’adozione, risiedendo da anni a Massagno. Non più un enfant, ma certamente du pays, non solo sulla sponda del Ceresio ma anche con i professori russi, di cui è direttore ospite dal 2014: un sodalizio artistico che è emerso evidente lunedì sera nel concerto inaugurale di Lugano Musica, che partiva dal quarto concerto di Beethoven per concludersi con la prima sinfonia di Mahler, autore che Marin sta esplorando a San Pietroburgo assieme a Bruckner e Richard Strauss. In Beethoven ha convinto il brasiliano Nelson Freire, capace di sciorinare un tocco agilissimo ed elegante, dalle mille sfumature tra il piano e il mezzo forte, tinte difficilissime quanto a bilanciamento con un’orchestra ampia e potente come la Filarmonica, ma realizzate con tinte madreperlacee dove il classicismo non è ancora un lontano ricordo ma una cifra anche spirituale che avvolge intimità già pienamente romantiche. Il brano più atteso era però, e non poteva essere altrimenti, il “Titano” di Mahler: una pagina immensa, quasi un’ora di musica di un’intensità assoluta, ad iniziare da quel “suono di natura” che gli archi realizzano replicando un La su ben sette ottave. Un gesto dirompente, rivoluzionario, il primo ma già consapevole e personalissimo passo sulla via della sinfonia compiuto dal giovane compositore boemo; gli archi di San Pietroburgo sono noti e osannati per la loro compattezza e i loro timbri densi, ma qui hanno saputo ottenere una trasparenza e una lucidità davvero stupefacenti. Marin ama poi la libertà del fraseggio, l’eleganza dei gesti: saggio esemplare è stata la melodia klezmer che risuona sorprendente nel terzo movimento, l’allucinata marcia funebre che trasfigura in minore la semplice melodia di “Fra Martino campanaro”. Come nel valzer viennese, che nei Wiener non è mai scandito in modo rigoroso ma sempre con rubati, sfumature, respiri, anticipi, così la melodia si sviluppava con una varietà sorprendente di attacchi e fraseggi. Esplosivo il finale, dove anche gli ottoni rilucevano in tutta la loro potenza sonora, oltre che nella perfetta pastosità timbrica (quanto è difficile l’intonazione di sette corni, quattro trombe, tromboni e bassotuba!); ancor più travolgente il bis, con una Danza ungherese di Brahms proposta nella rutilante orchestrazione di Dvorak. Un altro boemo che come Mahler sapeva creare magie con i colori di un’orchestra.

Enrico Parola

 

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