Riflessione

Aspettando Pietro, cioè Giovanni Paolo III

Cardinali che entrano in conclave

S’io fossi un cardinale, lo sceglierei così. Non vorrei una copia di Francesco. Non uno col suo stile, e neppure uno che si chiami come lui. Di Francesco però vorrei che proseguisse su quei sentieri che lui ha segnato, togliendo ostacoli e mettendo cartelli indicatori. In alcuni casi – per esempio sul coinvolgimento delle donne nelle decisioni – magari addirittura asfaltando il terreno per renderlo più praticabile.

Non abiterà in Casa Santa Marta, e tornerà a risiedere nei Sacri Palazzi. Anche se a me piacerebbe che andasse ad abitare, con un gesto ancor più significativo di quello del suo predecessore, in casa sua, quella del vescovo di Roma dove ha sede la sua cattedrale, cioè in San Giovanni in Laterano. Lasciamogli San Pietro per le visite ufficiali e per le grandi cerimonie, anche se piazza San Giovanni oggi è diventata un gioiello.

Vorrei un papa che però confermi le scelte di Francesco perché da Francesco non si potrà più tornare indietro. Troppe le aperture che non potranno essere ignorate ma semmai completate e risolte. Accennavo alle donne: in realtà, a differenza di ciò che pensano alcuni, le donne non vogliono occupare posti di potere nella Chiesa, ma chiedono piuttosto che siano gli uomini ad averne meno. Una Chiesa che diventi luogo di dialogo e confronto tra pari, perché tutti battezzati all’unica fonte. Restituendo alla gerarchia – preti, vescovi e cardinali – la sua missione originaria: servire.

Compito difficilissimo. Ma dopo Francesco, tutto è possibile. Era la sua idea di sinodalità. Cioè tutti intorno a un tavolo, uomini e donne, vescovi e religiosi, papa e suore, a discutere di ciò che avrebbero trovato là fuori, una volta usciti: conflitti e guerre, genocidi e stragi, un’economia che uccide, un creato sfruttato fino alla distruzione, una migrazione violentata e criminalizzata anziché garantita, gestita e governata.

Là fuori, ma guardando prima in casa propria. Dove divorziati e risposati vorrebbero mangiare del pane che nutre; i minori e le suore non venire abusati da rappresentanti del clero; chi va a messa non debba subire liturgie che sanno di muffa, imposte da preti che si sentono padroni del patrimonio di tutti; dove chi ha fede e si sente amato da Gesù, possa sentirsi accolto e amato anche dal resto della comunità, indipendentemente dal suo orientamento sessuale o dal delitto che ha commesso.

S’io fossi un cardinale, sceglierei un fine diplomatico, tra quelli che Francesco ha voluto avere più vicino, che conosca la Chiesa ovunque si trovi perché l’ha incontrata e l’ha ascoltata. Un diplomatico discreto, capace di mediare i conflitti, e proporre soluzioni. Un po’ come colui che è riuscito a far sedere due avversari in chiesa, l’uno di fronte all’altro, semplicemente porgendo loro due sedie.

Cardinali che entrano in conclave

Non convocherà un nuovo Sinodo, e forse neppure un Concilio. Ma realizzerà, nel 2028, quella strana Assemblea ecclesiale convocata a sorpresa da Francesco poco prima di morire, senza che nessuno ne abbia compresa la portata. Un’assemblea non prevista da nessun Codice di diritto canonico, che segnerà un punto di svolta verso una maggiore condivisione di donne e uomini nel governo della Chiesa.

S’io fossi un cardinale, sceglierei un papa capace di affrontare le questioni economiche e finanziarie del Vaticano secondo lo spirito di Francesco, e riformare la Curia ripartendo da dove Francesco aveva iniziato, senza rimanere come lui invischiato nei giochi di potere dei cardinali più ostili.

Proseguirà il cammino – inarrestabile – dell’ecumenismo. Lascerà che i teologi continuino a discutere e litigare per conto loro, ma permetterà alle comunità delle diverse confessioni cristiane di vivere un’esperienza di comunione sul campo.

Aprirà le porte all’Islam, completando quel cammino iniziato da Francesco d’Assisi che andò in Terrasanta a incontrare il Sultano per parlargli di Gesù senza farsi tagliare la testa. Un cammino proseguito da Charles de Foucauld, oggi santo: lui sì che invece si fece ammazzare per il Vangelo. Un cammino che ha trovato in padre Paolo Dall’Oglio, rapito da fondamentalisti e scomparso, il profeta che parlava a nome di Gesù dell’armonia islamico-cristiana fatta di ascolto, dialogo e accoglienza reciproca.

S’io fossi un cardinale, in Conclave mi lascerei guidare dallo Spirito Santo, cosciente che saranno però gli uomini a scrivere il nome sul foglio. Magari anche il nome sbagliato. Ma continuerei a confidare nello Spirito Santo affinché sia lui poi a rimediare agli errori commessi. È il suo ruolo: raddrizzare la barca quando fa acqua. A Napoleone che minacciò di distruggere la Chiesa, l’allora cardinale Segretario di Stato, Ercole Consalvi, rispose: «Maestà, non siamo riusciti noi, noi preti, noi cristiani in venti secoli a distruggere la Chiesa e vorreste riuscirci voi?».

Il vescovo Alain De Raemy racconta che il cardinale svizzero Henry Schwery, di Sion, considerava l’unico Conclave al quale aveva partecipato (quello che avrebbe eletto papa Benedetto XVI) come l’esperienza di esercizi spirituali più intensa di tutta la sua vita. Ecco, s’io fossi un cardinale mi piacerebbe vivere un Conclave così, e non quello mostrato sui giornali o nei film, luogo di tresche e giochi di potere, scandali e alleanze segrete. Anche perché alla fine, sotto lo sguardo del Giudizio universale di Michelangelo, preferirei stare nella parte superiore piuttosto che in quella inferiore.

Chiunque sia quello che sceglierei s’io fossi un cardinale, sarà lui il vescovo di Roma. Non si chiamerà Francesco. Si chiama Pietro. Anche se, dovendo prendere un nome “da papa”, ne sceglierà uno già collaudato. Si chiamerà quindi Giovanni Paolo terzo. Con questo nome potrà inviare un segnale rassicurante ai conservatori, senza dispiacere ai progressisti: non sarà un rivoluzionario (come Francesco, un nome che nessuno aveva mai osato prendere…), ma nello stesso farà come vorrà. Si chiamerà Giovanni Paolo: per mostrare che si può esser dolci e sorridenti come il primo; decisi e santi come il secondo; rivoluzionari e poveri come Francesco.

Luigi Maffezzoli

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