Commento

Caporale e Merlo, sinistra e destra, errori e prospettive

Sinistra e destra, tra errori e prospettive: sono questi i temi del “doppio libro” di Antonello Caporale e Salvatore Merlo, Destra, sinistra e viceversa (Marsilio 2024). Un dialogo a distanza e vivace, in cui s’intrecciano passione e moderazione, pragmatismo e ideali, critiche e proposte. Gli autori analizzano i problemi attuali della sinistra, seguiti da un’indagine sulle prospettive della destra italiana. Il volume esplora le battaglie politiche che entrambe le fazioni dovrebbero condurre nel paese e il rancore che caratterizza il dibattito politico italiano contemporaneo, in un momento in cui una democrazia europea moderna ha bisogno di una sinistra progressista e riformista ed una destra liberale e conservatrice. Caporale, giornalista de il Fatto Quotidiano, invoca un campo progressista capace, proprio perché all’opposizione, di recuperare il rapporto con le persone. «Le battaglie sono popolari quando sono avvertite come necessarie da una parte rilevante della società».

Merlo, giornalista de Il Foglio, vede nell’attuale governo l’opportunità per sviluppare in Italia una destra moderna. «Che non sia vittima del proprio passato, né destinata a perpetuare gli schemi berlusconiani». Parte Caporale, che sottolinea il fatto che da tempo la sinistra non si occupa più degli ultimi, l’abbandono delle aree del disagio sociale, l’astenia cronica a indicare una soluzione, la rinuncia a prospettare un orizzonte. La sinistra si concentra su ciò che Albert O. Hirschman chiamava “petites idées”, osservazioni dettagliate piuttosto che sui grandi quadri teorici. Sottolinea l’attenzione rivolta a dettagli come doppiopetti e cravatte. «La sinistra ha perduto persino il sorriso, la voglia e il piacere. Tra meno di trent’anni, il paese perderà circa quattro milioni e mezzo di residenti: la sinistra sta affrontando questa sfida? No. Né si occupa delle crisi sistemiche, affitti elevati, tagli al welfare, carenza di asili, investimenti insufficienti nelle scuole.

Oggi «la sinistra è senza popolo, ma allo stesso tempo non ingaggia le battaglie che avrebbero potuto farla avvicinare alla sua gente che oggi neanche la riconosce più». Sembra che la sinistra presti poca attenzione al clientelismo, che contribuisce alla disuguaglianza sociale. Oggi, numerose giovani promesse lasciano il paese e l’emigrazione di competenze rappresenta un segno tangibile del declino. Gli elettori storici si sentono traditi e molti di loro hanno smesso di votare, ampliando così il campo dell’astensione. Il PD sembra ritenere la lotta alle disuguaglianze fosse un obiettivo superato. Avanza, ma senza chiare direzioni. È a favore della Palestina, ma senza rompere con Israele. Presta scarsa attenzione all’evasione fiscale, un fenomeno che priva il gettito fiscale di oltre ottanta miliardi di euro all’anno.

Questo si traduce in una riduzione delle risorse destinate al welfare, minore protezione per i più vulnerabili, minori finanziamenti per gli ospedali e sostegno per l’istruzione pubblica. Non solo a sinistra, ma specialmente a sinistra, è essenziale rispondere alla richiesta di cambiamento e riconquistare la fiducia di coloro che l’hanno persa. «La mia parte politica dovrebbe spiegarci bene cos’è il progressismo e riprendere il filo da dove lo avevamo lasciato. Abbandonare la televisione, tornare in campagna, nelle città e nei paesi. Imboccare convintamente la strada dell’opposizione, raccogliere le domande che non interessano più, affrontare i problemi che restano insoluti, le questioni irrisolte. Tentare di stare veramente accanto agli ultimi, promuovere il merito, dare ascolto ai talenti, dare riscontro alle necessità. Invertire il sistema, capovolgere la piramide, trovare il coraggio di impoverirsi. E tornare a ripetere, come ai vecchi tempi: siamo tutti uguali».

Nella seconda sezione del volume, Merlo parte dal celebre e meno compreso Manifesto dei conservatori. Giuseppe Prezzolini spiegò che «prima di tutto il vero conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché il vero conservatore intende “continuare mantenendo”, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite». Oggi, Giorgia Meloni potrebbe avere l’opportunità di realizzare ciò che Gianfranco Fini non è riuscito a fare. Cioè sviluppare in Italia una destra conservatrice moderna. Una destra liberale – con meno burocrazia, meno tasse e giustizia equa – in Italia non è mai stata realizzata. Il conservatorismo di Fini fu inghiottito dal Berlusconismo, ma Meloni ha a disposizione uno spazio reale per costruire un partito conservatore moderno – difatti non ha polemizzato con l’EU più di tanto; una buona notizia. L’ipotesi che Meloni si sganci dal sovranismo per fondare un nuovo partito di carattere conservatore classico è plausibile.

«Essere o stare a destra non significa fare la voce grossa, tifare per la detenzione dei neri, spararla grossa dalla mattina alla sera, evocare speronamenti e chiusure di porti, odiare gli islamici e mettere socialmente al bando stranieri e immigrati». È ovvio che in materia di immigrazione non è sostenibile accogliere tutti per spirito di carità. «La democrazia ha il compito di preservare la libertà di ciascun individuo, ma non si può chiederle di sacrificare se stessa […] La risposta non può essere nemmeno quella del populismo spacciato per destra, che si limita a giocare sulla paura e a invocare un’impossibile chiusura delle frontiere o, peggio, espulsioni di massa». Occorre trovare una via di mezzo. Il conservatorismo in senso strettamente filosofico, scrive Merlo, «si gioca soprattutto sul tema dell’umana libertà e dei suoi limiti, mentre in senso politico significa soprattutto realismo, da non confondere con il cinismo».

Difatti, «lo scopo della politica, per un conservatore, non è il conseguimento della perfezione, bensì la minimizzazione del male possibile […]. Il conservatore borghese non pensa che esista una palingenesi sociale che consiste nella repressione dell’individuo; al contrario, crede che il mondo sia sempre da cambiare, da migliorare: non si contenta mai, non si rassegna». Attualmente, l’Italia mostra una scarsa competitività e una produttività stagnante, non a causa dei settori manifatturieri, del commercio o del turismo. Ma principalmente per via del peso eccessivo della PA e delle leggi autoimposte che agiscono come un freno. Il sistema burocratico italiano, con i suoi 3,3 milioni di addetti, rappresenta la metà del PIL lordo. «La destra dovrebbe sapersi opporre al populismo giudiziario dal sapore sudamericano, e non può certo rifugiarsi nell’idea sbagliata […] che il carcere sia lo strumento principale di repressione e di prevenzione dei reati».

Già Friedrich Nietzsche (Frammenti postumi), presentiva quanto il carcere fosse intimamente perverso, «perché capace solo di peggiorare la tenuta morale del soggetto recluso. Per una destra che voglia legarsi al paradigma della libertà, intesa come assunzione di responsabilità […], la galera e il profluvio di leggi e di inutili (e non rispettati) divieti non fanno che produrre una spirale viziosa di insicurezza». Oggi, «il mondo culturale antiprogressista è assai ampio: dal conservatorismo rivoluzionario, passando per il misticismo estetizzante para-fascista, per il libertarismo e il liberalismo […], attraversa le posizioni reazionarie, per arrivare infine al conservatorismo tout court e poi abbattersi come un maglio sulla testa della vulgata progressista […]. Il patrimonio intellettuale della destra esiste […]. Solo che spesso si guarda bene dal definirsi tale. In parte per scampare alla dittatura culturale della sinistra».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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