Uomini e storie

Don Sandro Vitalini, prima del messaggio viene la persona

Il 5 maggio del 2020, a 85 anni, ci lasciava un protagonista di primo piano nella vita della Chiesa, dell’insegnamento universitario, della divulgazione evangelica, della diocesi. E in coerenza con la sua vita e il suo messaggio, ha lasciato tutto ai poveri.

Don Sandro Vitalini

Don Sandro Vitalini (Foto: C.Pescia)

Già 5 anni dall’addio a don Sandro Vitalini: prete, teologo, docente universitario, divulgatore straordinario della Buona Notizia, scrittore, conferenziere, da ultimo anche pro-vicario della Diocesi di Lugano! Una vita multidimensionale: ma prima di tutto, Sandro è stato un uomo, con un ricco repertorio di qualità che trasmetteva con il cuore e con la parola. Alcune di queste, emergenti e riscontrabili a prima vista erano la sensibilità, la serenità, l’ottimismo, una tensione continua all’apertura, a nuovi orizzonti, a guardare avanti con speranza e preferibilmente con lo sguardo verso l’alto. Un uomo e prete, comunque, del nostro tempo, che sapeva interpretare in tutti i suoi contenuti, anche nelle sfumature. Era l’immagine della primavera, con i suoi mille colori.

Il fattore “umanità”

Ho conosciuto don Sandro di persona nel 1977 al Cristo Risorto di Lugano, dove collaborava con il giovane parroco don Pietro Borelli. A propiziare l’incontro fu il comune amico Giampiero Pedrazzi, un comunicatore di prim’ordine nel giornalismo scritto e in quello parlato, alla nostra RTSI di allora. Fu la scintilla che accese un falò che resta fiammeggiante, perché lui ci mette legna da Lassù. Nacque un rapporto, un patrimonio affettivo consolidato nel tempo e nelle frequentazioni: ne hanno beneficiato per anni e anni i lettori del Giornale del Popolo. Ogni volta che lo sollecitavo – e quante volte, anche su temi delicati e scottanti dove di solito molti preferiscono il fuggi-fuggi – lui c’era. Lo stesso con molte complicità in libri fatti nascere insieme, uno su tutti Ma com’è Dio? (ed. Fontana).
Quale la specificità, il plusvalore? Senza dubbio, il fattore “umanità” di Sandro, che partiva dalla sensibilità e dalla sentimentalità per arrivare alla mente. Era un’icona della primavera della Chiesa, era la brezza del mattino, era il vento di marzo che risveglia la natura e la riveste a nuovo. Era la fede e la ragione. Molti rimasero sorpresi da un passaggio in una delle ultime interviste del cardinale di Milano Carlo Maria Martini quando affermò che la Chiesa è in ritardo di duecento anni nel cogliere le attese, le esigenze, i cambiamenti epocali, i cosiddetti segni dei tempi. Che dire allora di Vitalini che con la sua voce di colpo tuonante nel ricco registro di alti e bassi nelle sue omelie, ripeteva che la Chiesa è in ritardo di 2 mila anni, perché per andare avanti bisogna ritornare alla Buona Notizia portata da Gesù?

Don Sandro Vitalini durante un'omelia

Don Sandro Vitalini durante un’omelia (Foto: Jo Locatelli)

Primato dell’amore

Don Sandro era questo: prima del messaggio c’è la persona. Prima di accompagnare al tempio, c’è bisogno di accompagnare l’uomo. E non era casuale il riferimento ai due di Emmaus, che si sentirono ardere il cuore nel petto lungo il cammino all’ascolto del forestiero che s’era unito a loro, scoprendo dopo – anche qui “dopo” – la sua vera identità. L’insegnamento costante di Sandro ha avuto come fondamento le parabole della misericordia, dal Figlio Prodigo al Buon Samaritano. Ecco Sandro vedeva nell’uomo aggredito dai briganti, percosso, rapinato e lasciato nell’indifferenza non l’uomo mezzo morto, ma mezzo vivo, al punto da scommettere sulla sua ripresa, facendo fare una figuraccia al sacerdote e al levita passati oltre. Sandro, prima di entrare al tempio aveva la premura di prendere sottobraccio chi incontrava. Era in disturbatore delle coscienze comode e molli. Era uno che come Jean Rostand – biologo di punta, uomo di scienze ma anche filosofo, morto nel 1977 – nutriva gran rispetto per il sapere, amava la verità però vedeva la salvezza del pianeta solo nell’amore. Non c’è campo della Chiesa, ma anche in parallelo della società civile, dove Vitalini non abbia dato e lasciato la sua forte impronta, dal mondo del lavoro a quello della carità, dal crescere operai nuovi nella messe ai pellegrinaggi. Mi piace anche ricordare il notevole contributo dato alla Diocesi di Lugano e riconosciuto dal vescovo Pier Giacomo Grampa che lo volle come provicario. Il suo ritratto è in questa efficace sintesi di don Mino: «Un dono di grande valore e ricchezza. Diede un contributo decisivo nella stesura delle lettere pastorali, portò la sua visione aperta, umana, pastorale, coraggiosa nel decidere la linea dell’apostolato. Prestò tempo prezioso per l’ascolto dei casi più delicati e complessi confinanti con l’esorcismo». E anche in Curia si vide quanta e quale fosse la sua attenzione per gli ultimi, con un andirivieni quotidiano di bisognosi a vario titolo. Ai poveri ha lasciato tutto, ma proprio tutto quello che aveva. Peccato che qualcuno non l’abbia compreso e si sia pure distanziato da questa dimensione inequivocabilmente evangelica.

Il Vangelo della festa

Mai stanco di predicare e testimoniare il Vangelo della Gioia, Sandro era anche l’uomo della convivialità, dello stare insieme, dell’essere prossimità per fare comunità. È stato disponibile per l’Annuncio con tutti e fino all’ultimo, anche quando la salute non lo sorreggeva più. Ha sofferto e non ne faceva mistero l’intristirsi, le chiusure e le diffidenze che lambiscono sempre più la società. Ci servono vicinanze e invece sembra che ora, a unire, sia paradossalmente e sempre di più la solitudine. Proprio per questo, a fronte delle molte inquietudini, voleva essere consolatorio, portatore di speranza, della possibilità per ciascuno di ricominciare. Riusciva a intravedere dovunque un Dio che accoglie e sapeva metterne nostalgia. E questo è il decisivo messaggio che ha lasciato e che continua a germogliare nel fertile solco che ha tracciato.

Giuseppe Zois

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