I viaggi di Manuela

Dopo il “tacco”, la “punta” dello Stivale

Il Castello normanno-svevo di Vibo Valentia.

Operazione Calabria, una delle regioni meno visitate dai turisti stranieri, mettendoci tra gli “stranieri” anche gli stessi italiani. Un peccato possedendo questo territorio un ricchissimo patrimonio archeologico e naturalistico. Dopo, il tacco, ecco la “punta” protesa tra Tirreno e Jonio. Calabria era il nome della Puglia, questa era Bruttium. Soprattutto montagnosa, costa marina variegata, aridi greti, Aspromonte e Sila, Pollino… Nomi di memorie scolastiche e cronachistiche, luoghi di storia di cui si trovano costanti tracce, greche e bizantine, gli Enotri e i Brettii, e poi normanni, svevi, angioini, aragonesi, i Vicerè spagnoli di Napoli, gli Asburgo e i Borboni, fino a Napoleone. Qui fu fucilato Murat, qui vennero catturati, imprigionati e uccisi dal plotone di esecuzione i fratelli Bandiera. Il mio itinerario inizia da Cosenza.

6 febbraio – Neanche il tempo di sedersi e un signore, quello perennemente connesso, cellulare in mano, ci informa che c’è stato un deragliamento sull’Alta Velocità, nei pressi di Lodi. Due morti e feriti. Poco dopo, l’annuncio, il nostro Freccia diretto a Napoli sarà deviato sulla linea per Piacenza dove fa in effetti anche una imprevista, lunga fermata. Si stimano ritardi fino ad un’ora. Di fronte alla tragedia non si può che sentirsi fortunati, comunque vada. La giornata è soleggiata e il ritardo sarà alla fine di un’ora e mezzo, almeno arrivando al capoluogo campano. La coincidenza è persa. Ma all’ufficio informazioni della stazione napoletana mi fanno un timbro sul vecchio biglietto e mi dicono di recarmi velocemente al binario 14 dove sta partendo un treno con cambio per Cosenza, salgo senza fiato e si ricomincia con la relatività temporale del Meridione perché ci vorrà almeno un quarto d’ora prima che parta realmente. Scendo lungo la costa tirrenica, zigzagando tra gallerie, campagna, ferrovia a monte, case piuttosto anonime almeno viste dal finestrino, sole splendente, ogni tanto qualche scorcio di mare, soprattutto dopo Salerno, verso Sapri, no, nessuna spigolatrice. Devo cambiare a Paola e questa volta sì che faccio appena in tempo a salire sul regionale, pochi minuti e sono a Cosenza, con sorpresa noto che sono arrivata solo un quarto d’ora dopo l’orario finale che avevo sul vecchio biglietto della coincidenza persa, probabilmente da Napoli avrei preso un regionale, senza dover cambiare, ma molto più lento dell’Intercity che mi ha portato a Paola. Stranezze ferroviarie.

La spazzatura a Cosenza.

Arrivo a Cosenza nel bel mezzo di un’ondata di freddo, la scorsa notte ha persino nevicato (risuonano i commenti degli amici: “andrai al caldo…”). E scopro che sono in una stazione nuova, lontanissima dal centro, però c’è un bus circolare e subito m’imbatto nella proverbiale accoglienza meridionale, mi spiegano come fare il biglietto (sul bus all’automatico) e dove scendere; ad un certo punto, ad una fermata si affaccia un uomo: «passa da via aprile?», risponde l’autista: «no, però posso portarvi…», neanche fosse un taxi. Fantastico! Ci vorrà una ventina di minuti per giungere all’albergo, ma così mi faccio l’idea della periferia, desolata, sporca, con mucchi di sacchi della spazzatura di tutti i colori e le misure ad invadere i marciapiedi, anche materassi e poltrone, auto malamente posteggiate in doppia fila, passo davanti al fatiscente palazzo di giustizia, non è un gran biglietto da visita. Il mio albergo, proprio di fronte alla vecchia stazione, ha quell’atmosfera d’epoca liberty, un po’ fanée, che io amo in particolare. Alcuni clienti si sono lamentati, affermando che avrebbe bisogno di un riammodernamento, non so perché la gente vuole sempre tutto nuovo, efficiente ma senz’anima.

7 febbraio – Mi addentro nel centro storico, salendo tra vicoli e scalette, panni stesi, portali nobili e muri scrostati. Quattro chiacchiere con una persona del luogo e scopro il motivo dei cumuli di spazzatura: il servizio non è pagato, il bilancio del comune (dal 2011 gestione della destra), è in dissesto. Probabilmente non ci sono i soldi neanche per togliere le ancora visibili decorazioni natalizie. Ma con i fondi europei hanno iniziato i lavori della metropolitana. Un’assurdità per una città relativamente concentrata come questa.

Stauroteca – Museo Diocesano di Cosenza. 

Il Museo Diocesano, vicino al Duomo, conserva preziosi oggetti, manufatti e documenti sacri. Tele, argenterie, avori, paramenti. La Madonna del Pilerio è una raffigurazione ricorrente da queste parti, la Madonna che allatta, una icona della devozione popolare, ma ogni museo ha la sua “star” e in questa sede è rappresentata dalla splendida Stauroteca, emblema della città, la croce reliquario in oro sbalzato, filigrana a vermicelli, smalto, adamantini e cristallo di rocca del XII secolo, compendio di simbologie, la tradizione dice donata da Federico II in occasione della consacrazione della Cattedrale nel 1222.

Continuo il mio giro. Sulla biblioteca civica manifestini e articoli di stampa denunciano la situazione. Gli stipendi del personale non sono pagati da undici mesi, Regione e Provincia si palleggiano le responsabilità. Volontarie, per ora, ci sono storiche dell’arte e un’archeologa che mi guida, piano dopo piano, tra le opere anche rarissime conservate, acquisti e donazioni, dagli incunaboli alle cinquecentine, anche un’antica edizione del Canzoniere petrarchesco, scaffali tra fregi ed elementi architettonici della precedente struttura conventuale.

Una bella scarpinata e arrivo al Castello svevo-normanno, recentemente ristrutturato, la storia è sempre la stessa, le diverse dominazioni e destinazioni della struttura, calamità come i terremoti, nel tempo, hanno portato a molti rimaneggiamenti, ma gli ambienti conservano alcune caratteristiche d’epoca, come le volte gotiche. Dal Belvedere si dominano l’abitato e la piana circostante.

Veduta dal Castello di Cosenza.

Scendendo raggiungo la Galleria nazionale, ben articolata, nel rinnovato allestimento, luminosa e didatticamente esauriente, guida in un percorso cronologico di opere che esprimono l’incrociarsi d’influenze e correnti europee nei secoli, tematiche e stilistiche, dall’antico al moderno. Un piccolo quadro che il critico Longhi ha attribuito a Giovanni Bellini, nuclei importanti degli artisti di riferimento regionale ma di valore universale come il barocco Mattia Preti e il futurista (qui in versione anche “pre”) Umberto Boccioni, di cui è esposta la nutrita collezione grafica.

Termino la giornata al Museo archeologico dedicato ai reperti dei Brettii (che s’insediarono intorno alla seconda metà del IV secolo a.C., alleati dei Cartaginesi, finirono per soccombere alla conquista del Bruzio da parte dei Romani) e degli Enotri (che abitarono la Calabria settentrionale dal Bronzo medio) in particolare, oggetti recuperati dagli scavi, dalle sepolture, ma il percorso inizia con la preistoria. L’ultimo piano è riservato invece a memorie risorgimentali, da una delle più antiche bandiere italiane ad articoli di giornali d’epoca, all’atto di condanna a morte dei fratelli Bandiera.

Ovviamente di turisti neanche l’ombra, anche se mi dicono che il Museo diocesano conta attualmente 6000 visitatori all’anno e gli altri musei hanno avuto scolaresche nei giorni precedenti.

 

8 febbraio – Il treno a vapore della Sila

Percorro il pedonalizzato Corso Mazzini della Cosenza moderna seminato di sculture, fino alla centrale delle Autolinee, il bus aspetta dei ritardatari che devono fare il biglietto e poi si parte. La strada stretta ma comoda si addentra tra i boschi e i monti, l’autobus procede con prudenza ma s’incontrano rare macchine, di sabato mattina. Faccio in tempo a vedere il ponte strallato di Calatrava, il più alto d’Europa… e poi i comuni falliscono… Non è così che si riqualifica un ambiente degradato, basta guardarsi attorno…

Il sole splende anche se si attraversano parti in ombra, alberi spogli e verdissimi abeti, lo sguardo spazia sulla vallata. Si sale fino ad incontrare la neve che nei giorni scorsi è caduta abbondante. Quasi un’ora dopo, una trentina di chilometri e a Camigliatello scendo, proprio sotto la stazioncina dove aspetta, fumante, il trenino.

La locomotiva a vapore Borsig FCL 353.

Sottilizzando si definisce la «ferrovia a scartamento ridotto (950 mm) più alta d’Europa», ma naturalmente solo in Svizzera è un’altra storia… Sull’ondata dei treni turistici, ha ripreso servizio nel 2016 per viaggi concentrati soprattutto il sabato e la domenica. La locomotiva è una Borsig del 1923, FCL 353. I vagoni hanno interni restaurati, foderati in legno, con eleganti lampade liberty, su una porta è scritto “ritirata”, parola che avrò letto in qualche romanzo primo Novecento. C’è poca gente, il grosso salirà alla fermata principale di Moccone, dove gruppi invadono gli scompartimenti. Un caos per sistemare tutti, l’“agente accertatore” ha il suo bel da fare. Si parte alle 11 meno dieci ed eccomi di nuovo a Camigliatello Silano. Del resto, se si sceglie il vapore è perché non si ha fretta. Si riparte, il treno si fermerà per dieci minuti a 1220 metri. Non fa affatto freddo. Il sole scalda, come sempre in alta montagna, quando raggiunge il punto più alto. Si riparte in tutta calma. Una fermata per far salire un trio folcloristico, risuonano chitarra, fisarmonica e il popolare trallalero… I musicanti scendono ad una sosta successiva.

Il Parco nazionale della Sila.

Tredici chilometri immersi nel Parco della Sila, tra i possenti pini e gli abeti, al cui verde si alternano i rami spogli di ontani, faggi, pioppi… il “Gran bosco d’Italia”, questa è la Sila Grande; poco più di mezzora per arrivare alla meta, San Nicola -Silvana Mansio, la stazione ferroviaria più alta d’Italia, a 1406 m. Qui il treno resterà per circa tre quarti d’ora, mentre la piattaforma girevole riporterà in testa la locomotiva. C’è la degustazione di formaggelle, ma i vagoni adibiti alla ristorazione fermi nella stazioncina offrono solo caffè o patatine, gli ospiti del treno sono troppi e non ci sarebbe il tempo per servire… Dicono. In piena stagione probabilmente le cose andranno diversamente. Per il resto, a parte guardare il panorama, non c’è nulla d’altro da fare, non esiste un paese, solo la stazioncina d’alta montagna. In attesa che venga ripristinato il prolungamento fino a San Giovanni in Fiore. Al ritorno, visto che non fa freddo, mi piazzo sulla predella all’aperto, tra un vagone e l’altro, per godere meglio del paesaggio, scorrono prati innevati e boschi fitti.

Il Duomo di Cosenza.

Ci vuole anche fortuna quando si viaggia, stavo ancora cercando di capire gli orari del bus di ritorno, piuttosto confusi sulla vetrina di un bar, quando me ne passa uno davanti che rincorro, si ferma e salgo. Ma questo autista ha la guida alquanto sportiva che, lungo la strada, un saliscendi a tornanti, mette a dura prova la digestione postprandiale. Per dire, invece di un’ora, in quaranta minuti è a Cosenza. Mi faccio lasciare alla stazione, ma la città nel primo pomeriggio del sabato sembra un dormitorio, chiusi negozi, esercizi pubblici e anche la biglietteria ferroviaria. Mi rassegno ad usare l’automatico per la partenza di domani. E con la Circolare raggiungo il centro per poi dirigermi ancora verso l’abitato medievale, proprio dietro il Duomo c’è un elegante caffè storico, datato 1803, tavolini in marmo e ferro battuto, applique liberty, tanti documenti e fotografie d’epoca, anche il brevetto concesso dal re Vittorio Emanuele III al titolare Renzelli, la cui famiglia ancora gestisce il locale che fu ritrovo di letterati. Prendo un tè al limone per rimettere in sesto lo stomaco.

 

9 febbraio – Vibo Valentia

Andando alla stazione con il taxi passo sul ponte di Calatrava, poco più in là c’è un planetario, il secondo in Europa per tecnologia. Il tassista, un fan del sindaco di Cosenza, mi racconta un’altra storia: tutti i problemi nascono dall’ostruzionismo della Provincia retta da un colore politico diverso… Sta di fatto che si sono investiti milioni di euro per progetti di sterile avanguardia, se poi al cittadino non vengono assicurati servizi elementari. Anche la stazione modernissima ha l’aria di spuntare come una cattedrale nel deserto (non funzionanti caffè ed edicola). Si possono invogliare i turisti, viste le difficoltà di spostamento, la sporcizia, lo stato di degrado del centro storico, invaso anche dalle auto che privano del piacere di una tranquilla passeggiata? Mi lascio alle spalle Cosenza e i suoi problemi. Prossima tappa: Vibo Valentia, un nome che è già un programma.

Il Castello di Vibo Valentia.

Il regionale torna a Paola, anzi lì ci fanno scendere, non era previsto, ma devono cambiare macchina, da Paola poi il treno procede sinuosamente a serpentina, un po’ attraverso la campagna, un po’ costeggiando il mare. La stazione di Vibo Valentia Pizzo è all’interno e lontana dal paese, mi viene a prendere il signore del B&B dove ho prenotato. Splendida giornata, sul mezzogiorno fa veramente caldo, da costume da bagno, ma appena c’è una nuvola si sente che l’estate è ancora lontana. Dopo essermi sistemata, mi arrampico sulla scalinata che porta all’ampio Viale Regina Margherita e al Duomo barocco ricco di raffinate statue in marmo e dove si sta tenendo una solenne messa cantata, vicino c’è un bar che propone ricchi aperitivi. Per il resto la città domenicale appare piuttosto chiusa per festa e deserta. Durante la mia perlustrazione m’imbatterò in diversi palazzi un tempo signorili e oggi in stato di evidente degrado, le strade sono la parte meglio curata, pulite e asfaltate; per forza, senza auto qui non si va da nessuna parte. Auto privata, naturalmente. Bus non se ne vedono, le fermate paiono disattivate, senza orari, semicancellata la scritta per terra. Mi dicono che ne hanno fatto circolare qualcuno, vuoto, prima delle votazioni… E i ragazzi e gli anziani? Ci pensa la famiglia, mi rispondono, «e se incontriamo la vecchina per la strada con la spesa, ci fermiamo e l’aiutiamo». Al pedone, qui, è sempre concessa la precedenza e bisogna accettarla se non si vuole ingolfarsi in un teatrino di cortesie. Anche questo è il Sud!

La laminetta aurea di Hipponion – Museo archeologico di Vibo Valentia.

Mi dirigo verso il Castello normanno, più vicino e facilmente raggiungibile rispetto a quello di Cosenza, anche se posto in alto in modo tale da non far mancare la vista sia del centro storico, sia della vallata. All’interno si snoda il Museo Archeologico, assolutamente da non mancare per capire le stratificazioni storiche ed etniche di queste terre che furono Magna Grecia e molto altro. In particola Vibo. Le schede raccontano tutto, degli scavi, delle collezioni, anche degli organizzatissimi tombaroli, del mercato clandestino e dell’attività dell’Arma specializzata nel recupero. Ricchi corredi provenienti dalle necropoli, oggetti votivi di vario tipo e quelli che attestano culti orfici legati a Kore-Persefone. In particolare una laminetta aurea, trovata sullo scheletro di una donna, con la sua minuscola iscrizione che contiene le istruzioni per l’aldilà, un pezzo pregiatissimo di straordinarie fattura e simbologia (V-IV secolo a.C.), fiore all’occhiello del museo. Da Vibo, battezzata così dalle popolazioni bruzie, alla greca Hippónion, alla latina Valentia, alla federiciana Monteleone, strato su strato si narra il tempo. Sorprendente è anche la raccolta di monete e medaglie, dall’antichità al medioevo. Uscendo si nota quello che resta di un mosaico romano scriteriatamente lasciato all’aperto.

 

10 febbraio – Tropea

La mia tappa a Vibo è determinata soprattutto dal desiderio di visitare Tropea, che tra l’altro, unica in Calabria, si è candidata “Città della Cultura” per il 2021. Vedremo con quale risultato. Vicina ma non facile da raggiungere. Dalla stazione di Vibo Valentia Pizzo ci si mettono due ore con cambio, da quella di Vibo Marina il regionale va diretto e impiega meno di mezzora. Solo che bisogna arrivarci e quindi mi organizzo con un taxi. L’autista m’informa anche che a Vibo Marina non ci sono né biglietteria né automatici. O si cerca un’agenzia (per poco più di 6 euro andata e ritorno?) oppure si compra il biglietto online, cosa che ho fatto.

Tropea, nella provincia di Vibo Valentia.

Anche i treni non sono frequentissimi: o si parte all’alba o sul mezzogiorno, scelgo la seconda opzione. In barba alle previsioni che davano tutto il Sud soleggiato, la mattinata è nuvolosa, ventosa e fredda, ma visto che ho tempo faccio una lunga camminata (un paio d’ore tra andata e ritorno) verso il cimitero dove si trovano le mura greche ben tenute e restaurate. L’area archeologica è invece chiusa e invasa da sterpaglie. Da lì un viale porta al Belvedere da dove la vista spazierebbe da capo Palinuro, a Messina, all’Etna. Spazierebbe… Se non ci fosse foschia. Non incontro anima viva, solo qualche auto, il rumore del traffico si sente in lontananza, ma le gambe portano e la mente può vagare per conto suo. Tornata verso la città, leggo su un foglietto attaccato ad un palo, vicino ad un’edicola: «Si prega cortesemente di far espletare i bisogni fisiologici del proprio cane in una zona diversa da questa. Grazie». Italiano perfetto, richiesta precisa e gentile. Molto meglio di un brusco «Vietato…».

II Santuario di Santa Maria dell’Isola di Tropea.

In taxi raggiungo la stazione di Vibo Marina che ha solo i binari, praticamente e una sedicente sala d’attesa; il trenino arranca tra gallerie, la costa e canneti. Tre fermate ed eccomi a Tropea, senz’altro più suggestiva vista dal mare, in pochi minuti arrivo in  paese, un paese fantasma! Direte che sono monotona e che è normale in bassa stagione trovare, nel centro storico, ristoranti, caffè, Pro Loco, musei, chiese, qualsiasi negozio… sbarrati. Alcuni proprietari approfittano per fare dei lavori di ristrutturazione, altri per andare in vacanza… Sarebbe logico, se quei soloni del turismo calabrese non insistessero nell’affermare che occorre fare proposte per l’intero anno… al di là del periodo di balneazione… C’è vento freddo, specie se ci si avvicina ai belvedere a picco sul mare, ma la vista è piacevole, spaziando sul porticciolo e sugli speroni rocciosi del Santuario di S. Maria e di S. Leonardo. Tra piazzette e vicoli si possono ammirare i portali di palazzi che narrano di un nobile passato. La Cattedrale è troppo rimaneggiata. Mi dicono che d’estate non si può neanche camminare dalla gran folla, quindi assaporo questa pace e non mi lamento.

Calabria. Prima parte.

 

PS: Nella puntata di domenica, Portillo ha visitato il Punjab ed è salito a 2000 m con il trenino dell’Himalaya. Continuerà la sua esplorazione indiana la prossima domenica, RAI 5, ore 21.15.

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