Letteratura

Fabio Pusterla: una poesia che si protende sul mondo

Giovedì 29 novembre, il poeta e scrittore Fabio Pusterla ha presentato i suoi ultimi due volumi editi quest’anno: Cenere, o terra (ed. Marcos y Marcos) e Una luce che non si spegne. Luoghi, maestri e compagni di via (ed. Casagrande), giungendo con la prima alla sua ottava raccolta poetica. Così, dopo il documentario che sta passando nelle nostre sale sull’autore, Libellula gentile, è toccato allo stesso Pusterla dare un senso al proprio percorso, davanti al pubblico di studenti e non dell’Università della Svizzera italiana.

“Con un titolo come Cenere, o terra – ha esordito la professoressa dell’Istituto di Studi italiani Linda Bisello, introducendo Pusterla – all’insegna della divaricazione, si apre una raccolta umbratile, purgatoriale, con venature crepuscolari”. “Cenere, o terra parla di una condizione purgatoriale, che è la condizione esistenziale dell’oggi. Non l’Inferno o il Paradiso, zone eroiche, ma quella più faticosa, grigia, di penombra”, specifica effettivamente Pusterla.

La raccolta, emblematicamente, si apre con una preghiera, che fa da tramite verso un’ulteriorità. “Ma è una preghiera – ha quindi spiegato l’autore – assolutamente laica e importante per due ragioni, tra loro lontane nel tempo e che qui sono riapparse. Anzitutto, la preghiera era l’atto con cui, ai miei tempi, si iniziavano le lezioni a scuola; così fu proprio una preghiera uno dei primi testi che fui chiamato ad imparare a memoria. E ho scoperto che a me piaceva tantissimo il portarmi appresso questa specie di ritmo ricorrente. Sembrava di aver accesso a degli arcani. Inoltre, una delle prime poesie che mi capitò di leggere di un certo poeta gallese, Dylan Thomas, direi il poeta della mia gioventù, raccontava proprio di un bambino che si inginocchia e prega, prima di andare a dormire, affinché riesca a superare il terrore del buio; poco dopo, invece, passa a raccontare di un uomo che sale le scale andando a trovare la sua sposa malata e prega per la sua salute. Il risultato? Alla fine della poesia, l’uomo troverà addirittura la donna calda d’amore, mentre il bambino sprofonderà in un sonno profondo. Il tema della preghiera è riaffiorato da lì, da queste mie prime letture”.

Verso la chiazza di luce sul fondo
verso il riflesso del sole
con la memoria dell’ombra
con la speranza del mare.

Per l’acqua e per i prati
per la mano del vento il mio volo gaudioso
per tutte le cose precarie che splendono miti
per tutte le cose del mondo. So solo
volare impazzita rischiare
un viaggio.

E tu aiutami aria
sostienimi vento dell’Ovest
aspettami mare.

(“Preghiera della rondine”)

Cenere, o terra – riprende poi Bisello – è il racconto di un passaggio, come Dante passa da un antipurgatorio al regno dell’espiazione attraverso una “porta sacrata”. Le poesie devono dunque essere intese come varianti figurali di un ponte. Quella che ritorna, in fondo, è l’idea di scrittura come mediazione, tentativo di approssimazione a qualcosa; così la scrittura fuoriesce da se, è una sorta di protendersi sul mondo. La scrittura vive del suo paradosso, della contraddizione, suggerisce dei rapporti tra le cose e gli occhi che li guardano”.

Esemplare di questo concetto di “raccordo” e “ponte”, la poesia Annarosa sul treno del ritorno, in cui – secondo un’intuizione illuminante del poeta ticinese – la bambina che stringe in un abbraccio due adulti, diventa simbolo dell’atto della traduzione, che fonde in se due lingue.

[…]
La bimba prova ad entrare
nell’armonia fra i due corpi
poi apre le braccia le ali
e li avvolge da dietro.

La bimba traduzione
l’uomo e la donna testi
corpi vicini e lontani
la mano che li unisce

e li separa e chiede
l’abbraccio delle ali
la fusione di lingue
l’amore che li avvinca
[…]

“In realtà, però – ci tiene a specificare Pusterla – vorrei far presente che il ponte ha due dimensioni: quella del passaggio, quale garante di una congiunzione, di un rapporto ma poi anche la dimensione della vertigine. Per questo è luogo massimamente interessante e pericoloso”.

Ma, nota Bisello, nelle sue poesie si ritrovano anche delle slogature, dei ponti che si gettano verso il vuoto, non raggiungono l’altra riva. Il lettore assiste cioè a un protendersi vano. È il mancato raccordo della poesia Ponte Chiasso, un “flatus vocis” fa notare Pusterla, perché a Ponte Chiasso, città sul confine, non c’è nessuna traccia di un ponte. Così la poesia di Pusterla vive coraggiosamente anche di paradossi, di fratture, di divaricazioni tra rive che non possono essere collegate.

Quanto alla raccolta di saggi, Pusterla rievoca la centralità della figura di Maria Corti: “Ricordo di lei un pronunciamento su rapporto tra l’intellettuale e la contemporaneità: non si dovrebbe mai vivere fuori dal proprio tempo. Per deludente che esso sia, è il posto dove siamo sia per guardare indietro che avanti, per percorrere la nostra strada, vorrei dire con parole un po’ grosse e me ne scuso, per conoscere la forma del nostro destino. Ecco, io credo che alla letteratura si arrivi sempre attraverso un incontro umano. Bisogna essere coscienti di quello che sta accadendo per poi trovare la propria originale voce”.

E poi, l’esperienza della visione, all’insegna di spaiati fotogrammi, segni di rimanenze ma anche luoghi del possibile, come in Frammenti metropolitani. “I fotogrammi a cui si rivolge la mia attenzione sono spaiati, in una sorta di rapsodia percettiva che non si traduce però in disorganizzazione o caos percettivo, ma assume una forma prismatica che rida la simultaneità del reale. La figura del fotogramma mi ha sempre colpito. È l’immagine, il fermo immagine di una narrazione, di un film. Solo che oggi il film in un certo senso è scomparso, non possiamo riprodurre la realtà in maniera ordinata e lineare come moltissimo tempo fa. Appaiono i fotogrammi ma è scomparso il contesto che li conteneva. Il fotogramma allude a qualcosa che contemporaneamente non è più possibile, ne manifesta la perdita. In Frammenti metropolitani ho affastellato immagini, lacerti di discorso che ho raccolto a caso nelle città. Ho solo registrato queste parole apparentemente insensate e ho provato a montarle come in un collage”.

Una poesia, dunque, anche molto sperimentale, fatta di intuizioni tradotte in una parola vivace e lieve al contempo, che diventa un irresistibile richiamo alla lettura.

Laura Quadri

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