Letteratura

Finalmente anche in italiano “Il Muto” di Otto. F. Walter

Otto F. Walter (1928-1994), promotore culturale e scrittore svizzero di lingua tedesca, poco conosciuto alle nostre latitudini, come si usa dire, è stato protagonista dell’appuntamento di ieri alla Casa della Letteratura della Svizzera italiana con sede a Villa Saroli di Lugano. L’occasione era l’uscita della traduzione della sua opera prima, pubblicata dall’editrice ADV.

Dopo una breve introduzione di Fabiano Alborghetti, a presentare l’argomento con cenni biografici alla figura dell’autore è stata la sua stessa traduttrice Sarina Reina. Walter nasce da una famiglia cattolica, numerosa, ultimo e unico maschio tra nove fratelli; spirito ribelle e indipendente, dopo una sfortunata esperienza scolastica, inizia a lavorare alla Walter Verlag di Olten, fondata dal padre nel 1916. Qui fece ogni tipo di praticantato fino a diventarne direttore nel 1956, allontanandola dai percorsi tradizionali e aprendosi coraggiosamente a voci innovative come Peter Bichsel, Kurt Marti, Alfred Andersch. Ma gli altri soci dell’azienda non condivideranno queste aperture di orizzonti, Walter si trasferisce in Germania respirando il clima politico della fine anni ’60, alla fine decide di dedicarsi alla sola scrittura. Il suo nome è legato anche al Gruppo di Olten e alle Settimane Letterarie di Soletta, che lo vedono tra i fondatori. I suoi numerosi libri sono tradotti in francese e in inglese ma non in italiano, un destino che non sorprende, non è l’unico caso.

Reina, accompagnata dalle letture di Cornelia Masciadri (ma forse per renderle più efficaci sarebbe stata richiesta una dizione perfetta), si è quindi soffermata sul romanzo Der Stumme, Il muto, un’opera prima, ha sottolineato, che risulta sorprendentemente matura e originale e quando uscì nel 1959 fu accolta da un grande successo, considerato uno dei libri più interessanti dell’epoca. Walter aveva una vena sperimentale che univa la poesia ad una visione politica. Qui troviamo lo sfondo collettivo di dodici operai che lavorano in un cantiere stradale nelle foreste del Giura, stanno ultimando, con fatica e pericolo, un tratto per creare un valico montano. In questa ambientazione s’inserisce la storia di un ragazzo, Loth, che ha perso la parola da bambino, in seguito ad un trauma causato dal padre e adesso arriva lì proprio alla sua ricerca, a questo scopo vuole un ingaggio, è convinto che il padre si trovi tra quegli operai e vuole farsi riconoscere da lui. Walter è sperimentale nell’uso dei pronomi, qui adopera la terza persona per la prima parte, ma poi passa al tu, quando, uno dopo l’altro, viene interpellato (in 11 capitoli) ogni operaio, secondo una formula che l’autore definirà come “monologo interiore indiretto”, realizzando un punto di vista corale. Ci sono anche passaggi stilistici differenti, da un linguaggio raffinato ad uno più colloquiale, più parlato, quando si tratta d’interpretare il pensiero del ragazzo. Sappiamo fin dall’inizio, perché l’autore lo rivela nell’incipit, che ci sarà una tragedia, una morte. Dovrà esserci un’esplosione per far saltare uno sperone di roccia, ma nessuno vuole prestarsi a questo rischioso compito. E poi c’è una tanica di benzina rubata, importante anche perché lo scrittore ha dichiarato in una intervista che questo è stato lo spunto del romanzo, un fatto di cronaca di cui aveva letto, legato appunto ad una tanica di benzina… Interpellata la traduttrice ha affermato che la difficoltà maggiore nella resa in italiano ha riguardato i tempi verbali, la necessità di scegliere il passato prossimo piuttosto che il passato remoto quando si trattava di dar voce alle riflessioni interiori del protagonista.

L’incontro è stato seguito da una platea ridotta ma interessata e scelta, onorata dalla presenza della scrittrice Anna Felder. C’era anche Ulrich Suter, organizzatore del Festival letterario itinerante Seetaler Poesiesommer, molto attento agli scambi interculturali, di cui faceva parte questo appuntamento.

Manuela Camponovo

 

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