
Era il suo teatrino personale. La bambina passava ore ad osservarli nella cassetta. All’inizio erano guidati da quattro sensi e tutto il loro mondo era la pancia della madre. «Mamma, stanno aprendo gli occhi!»… Questo era l’evento della giornata. Ogni cosa assumeva un altro aspetto, poter vedere, guardarsi attorno, riconoscere chi avevano per fratello o sorella, e un’affettuosa mamma gatta che non li perdeva mai di vista. Ma un’altra tappa fondamentale della loro crescita è quando per la prima volta tentavano di uscire dalla loro confortevole casa. È fatale, tanto animale quanto umano, là fuori ci sarà qualcosa d’altro, di nuovo, di sorprendente, la meraviglia dell’inaspettato, la grande avventura della vita. Ci volevano giorni… Si arrampicavano sulle pareti e ricadevano, ritentavano e finivano sul dorso, con le zampine che cercavano di afferrare l’aria, ma riprovavano sempre, ostinati. La cassetta gli stava ormai stretta. La bambina si accorgeva che non erano diversi solo per il colore del pelo, ma anche di carattere, timidi, introversi, mammoni oppure, già così piccoli, intraprendenti e decisi a farsi valere. C’era chi aveva la predisposizione del leader, il primo a fare tutto. Alla fine, è nella natura delle cose, ci riuscivano, e allora il compito di mamma gatta diventava molto più impegnativo nel cercare di ripescarli, di riportarli a casa ogni volta che fuggivano da tutte le parti, per scovarli nei nascondigli più inaspettati. La bambina contribuiva. Ma quando i figli hanno quell’ansia di andare, di “abbandonare il nido”, non c’è più nulla che li possa trattenere.
Ormai mamma e gattini avevano lasciato la cassetta e condividevano gli spazi dentro e fuori casa.
La casetta, come veniva sempre chiamata, era ad un solo piano, si usciva su un terrazzino che aveva qualche gradino per accedere al giardinetto e questa era un’altra delle tappe: affrontare gli scalini. La bambina si divertiva a vederli restare appesi, né su né giù, come fosse una montagna da scendere o da scalare, fino a quando riuscivano a superare la difficoltà. Nel frattempo iniziavano ad imparare le tattiche della lotta e della caccia che a quei gatti, anche se domestici, sarebbero servite, visto che erano liberi di uscire. Il primo gioco didattico era la coda della mamma che si muoveva nervosa, mentre pazientemente lei se la lasciava afferrare e mordicchiare, in tutti i modi. Ma era l’intero suo corpo a diventare il loro parco dei divertimenti, sulla testa a mordicchiarle anche le orecchie, ad affondare le minuscole unghie nel suo pelo. Lei sopportava tutto dai piccoli, ma se uno si allontanava troppo era pronta a riportarlo all’ordine e quando non ne poteva proprio più la punizione nella forma di una zampata poteva arrivare a qualche discolo che aveva osato un po’ troppo e che finiva rotoloni. Erano davvero buffi e creavano delle vere e proprie gag, crescendo, la bambina ad un certo punto si era resa conto che i gatti, anche involontariamente, erano dei clown naturali. Guai a dirglielo, si sarebbero offesi a morte. Quando volevano apparire minacciosi e aggressivi così minuscoli, imitando gli adulti, con il corpo di traverso, i peli irti, la gobba, e soffiando, erano assolutamente spassosi, non potevano fare paura a nessuno, però si comportavano “come se”, “facciamo finta che…”. Poi, quello che manca di solito a chi vive con un gatto solitario, sono le lotte tra fratelli, rincorrersi, afferrarsi, litigi finti o veri, le imboscate, gli agguati, nascondersi e poi saltare fuori all’improvviso, questo assomigliava molto anche ai giochi dei bambini. Ma tante altre prove sarebbero state dettate dall’esperienza individuale.
C’era lo svezzamento, ovvio. A quello dovevano pensare gli umani, prima venivano i cibi più teneri, della carne tritata ad esempio; la bambina stava attenta che nessuno rimanesse senza, c’era sempre il più furbo che finiva in fretta per poi rubare nel piattino degli altri! E arrivava il momento di lasciarli andare… mentre (se è “normale”!) la mamma umana non termina mai di sentirsi tale per i suoi figli, per le gatte è molto diverso e la bambina non finiva di stupirsi nel vedere mamma gatta non solo abbandonare il suo compito, ma cominciare ad ignorare la prole quando fosse ormai abbastanza cresciuta da cavarsela da sola, quando aveva imparato tutto quello che poteva insegnare. Era pronta magari per un’altra procreazione, il ciclo poteva ricominciare, ma quei figli non sarebbero stati più riconosciuti come tali, erano gatti qualsiasi che condividevano la comunità. La natura aveva deciso così.
Manuela Camponovo
(5. Continua)