Opera

I promessi sposi e il melodramma: continua il ciclo di letture all’Istituto di Studi Italiani

Ritratto di Alessandro Manzoni di Francesco Hayez

Si è tenuto mercoledì sera il sesto appuntamento del ciclo di letture dedicato dall’Istituto di Studi Italiani dell’Università della Svizzera italiana ai Promessi sposi di Manzoni, dopo il successo delle letture dantesche.
Libro fortunatissimo ma poco amato, spesso banalizzato da pigre consuetudini di lettura, I promessi sposi sono, in realtà, un romanzo di straordinaria modernità, l’unico a porsi, nel primo Ottocento, all’altezza dei grandi capolavori della narrativa europea. Allo stesso tempo esso si propone, nelle intenzioni stesse dell’autore, come un testo “popolare”, un «libro per tutti», e così è avvenuto: I promessi sposi, inclusi nei programmi scolastici a partire dal 1870, si sono presto affermati come testo identitario per la nuova nazione. Ma non solo: essi furono anche fonte di ispirazione per il melodramma, come ha ben mostrato la relatrice dell’ultima serata Adriana Guarnieri Corazzol, professoressa di Critica musicoletteraria e Storia dell’opera all’Università di Firenze e poi presso Ca’ Foscari di Venezia.
I contatti tra l’opera manzoniana e il melodramma sono molteplici. Forse – ha ipotizzato la relatrice, riprendendo l’opinione comune della critica – Manzoni aveva assistito a dei melodrammi soprattutto nel suo periodo francese, pur tenendo conto della sua agorafobia, che gli impediva di frequentare posti eccessivamente popolati, tra cui i teatri. Ciononostante, come dimostrano alcune lettere di Stefano Stampa, figlio adottivo del Manzoni, li amava molto. Queste stesse lettere hanno fornito lo spunto a molti studiosi per delle ricerche approfondite, alcune delle quali hanno messo in evidenza una certa continuità tra poesie come Il cinque maggio o Marzo 1821 e la lingua del melodramma nonché una prossimità a situazioni di natura operistica. Ma non vi è continuità solo tra produzione poetica e librettistica, bensì è possibile individuare elementi melodrammatici anche nella sonorità spontanea della lingua dei Promessi Sposi. Un inseguimento, quello di suoni e musiche, che può già iniziare dal Fermo e Lucia, prima versione del romanzo, in cui i toni delle voci dei personaggi sono sempre accuratamente descritti, vi sono similitudini tratte dalla musica popolare e vi è un attenzione generale ai rumori, fino a quelli, molto suggestivi e corali, di tutto un paese che si saluta per la notte.
Così, non stupisce che presto siano nati dei veri e propri melodrammi basati sul Fermo e Lucia o sui Promessi sposi: dai melodrammi – due, per l’esattezza – musicati da Amilcare Ponchielli a quello, forse più noto, di Antonio Ghislanzoni, redattore della Gazzetta musicale di Milano, il più importante periodico musicale dell’epoca nonché autore del libretto dell’Aida per Verdi. Un testo, il suo, basato sul Fermo e Lucia del ’27, talmente fedele al romanzo e preciso da citare in nota i passi a cui si fa riferimento. Con un piccolo punto interrogativo in merito alla scelta drammaturgica, che il pubblico in sala non ha mancato di sollevare: manca nel libretto la celeberrima e cruciale scena della conversione dell’Innominato, e così anche negli altri libretti presi in considerazione durante la serata. Un dettaglio, forse, ma che andrebbe ulteriormente indagato e che non ha sicuramente mancato di stimolare l’uditorio.
Il prossimo appuntamento con il ciclo di letture manzoniane è per l’8 novembre, con il contributo di Lucia Bisello dal titolo “Lucia o del silenzio” e sul numero 17 dell’Osservatore di questa settimana un riassunto delle precedenti lezioni.

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