Commento

Il “Boris” per duecento franchi?

Boris Godunov di Modest Musorgskij - Scala di Milano

Boris Godunov di Modest Musorgskij, in scena alla Scala dal 7 al 29 dicembre 2022. (Foto: Teatro alla Scala / Brescia – Amisano)

Il Boris Godunov, capolavoro di Modest Musorgskij (1839-1881), è un’opera difficile per un’infinità di motivi. Esiste in versioni differenti, due firmate dallo stesso autore, altre “arrangiate” da compositori come Nikolaj Rimskij-Korsakov (1844-1902) o Dmitrij Šostakóvič (1906-1975). Gli avvenimenti cui il dramma si riferisce non sono mai stati chiaramente elucidati: è tutt’altro che certo se sia stato il nobile Godunov a uccidere (o a far uccidere) l’erede fanciullo dello zar Ivan il Terribile (1530-1584) per impossessarsi del trono. Il tormento che scuote l’usurpatore è dunque soprattutto “vero” in quanto narrato, prima di Musorgskij, dal più grande poeta russo dell’Ottocento: Aleksandr Puškin (1799-1837). Di situazioni analoghe, aventi cioè un rapporto incerto con la storia realmente accaduta, è piena la letteratura. Chi può essere certo che il dramma di Desiderio, ultimo re dei longobardi (757-774), messo in scena da Alessandro Manzoni nell’Adelchi (1822), si sia realmente svolto nelle circostanze narrate? Reale, dunque, o almeno altamente plausibile, è solo il dramma che vive ogni potere assoluto ripiegato su se stesso al momento della resa dei conti. E spiega, in definitiva, il valore universale di lavori come questo, in grado di colpire nel profondo lo spettatore di ieri e di oggi, a teatro o all’opera. Alla Scala, dove è andato in scena per l’ennesima volta – il più rappresentato dei drammi in musica composti da non-italiani –, il “Boris” ha inaugurato la stagione 2022-2023 la sera del 7 dicembre. Con un dispendio di mezzi impressionante, un successo scontato, un’eco nella stampa di vario tono e spessore.

Il valore del capolavoro giustificava l’iniziativa della RSI di offrire gratis la ripresa televisiva dello spettacolo in due sale cinematografiche del Cantone? La funzione culturale, in senso ampio, della radiofonica Rete Due lo giustificherebbe. Alcuni, però, ne dubitano e pensano ad altre priorità, non necessariamente banali. L’aumento generale dei costi per vivere giustifica l’interrogativo se il pacchetto annuale di 335 franchi non possa essere ridotto a vantaggio di altre spese necessarie. Un’iniziativa popolare è stata lanciata per limitare il canone a 200 franchi. Oltre al “Boris” si potrebbero tagliare altri programmi di cui si lamenta la scarsa consistenza culturale. Io però non sono d’accordo. È vero che oggi, con un clic sul cellulare, puoi avere tutti i Boris che vuoi senza spendere un franco. Ma è anche vero che, per essere socialmente sostenibili, i mass media pubblici implicano un grado di professionalità e di equilibrio sociale e politico (per esempio tra le regioni linguistiche della Svizzera) che ai “social” non può essere richiesto.

Enrico Morresi

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