Teatro

Il Colombo di Ferruccio Cainero

Manuela Camponovo

Dopo essersi occupato di Pirandello, Ferruccio Cainero con la sua solita verve pittoresca e attingendo a lettere, diari, libri, fonti storiche, affronta Il navigatore per eccellenza in Cristoforo Colombo e le farfalle. La narrazione s’intreccia, come sempre, con esperienze e ricordi autobiografici. Ecco quindi il senso di quei fiori volanti di cui da bambino faceva strage, catturandoli, volendoli vedere da vicino. Ma gli adulti erano indifferenti, più preoccupati per un muro sporcato che per quella bellezza distrutta perché ai loro occhi non aveva valore monetario, non contribuiva “ad aumentare il prodotto interno lordo”, come sottolinea l’attore. Così, su quella traccia di un Occidente avido e interessato solo al denaro, egli un po’ racconta, un po’ si cala nei panni genovesi dello scopritore, di colui che porta Cristo, nel nome un destino. La sua famiglia di mercanti che lo spinge ad arricchirsi, a fare un buon matrimonio, ad avere un ruolo importante prima in Portogallo, poi in Spagna dove sviluppa l’ossessione di intraprendere il grande viaggio, convinto che la Terra sia rotonda. Cainero, tra battute e ironia, è un maestro anche della divagazione che gli serve per rispondere ad alcuni interrogativi: come mai è partito da Palos, cosa esattamente andava cercando, chi gli ha dato in realtà il denaro necessario, com’era il contesto sociale ed economico dell’epoca…

Nella sua storia, in cui si alternano toni seri e caricaturali, s’inseriscono dunque altri aneddoti, le relazioni di potere tra le diverse religioni, aperture, tolleranze, chiusure, scontri che hanno il loro fulcro in Granada. Le influenze culturali del mondo arabo, la vittoria di Isabella e Ferdinando che si sbarazzano dei musulmani, per arrivare a quell’ottobre del 1492 quando finalmente Colombo ottiene le sue caravelle. Questo primo viaggio è narrato in dettaglio nel diario e sappiamo che ha rischiato persino l’ammutinamento, perché è durato molto più a lungo di quanto pensasse… Ed eccolo convinto di essere arrivato in terre asiatiche (e lo sarà fino alla morte). Ma l’oro, il denaro, descritto dall’altro grande viaggiatore che lo ha preceduto, Marco Polo, era in realtà quello che faceva muovere ogni cosa…

Così arrivano in… Paradiso, tra i buoni selvaggi, buoni, generosi, innocenti e poi, al di là delle favole che vengono raccontate ai bambini sorridenti, si sa come è andata a finire. L’equipaggio, fuori controllo, spinto dall’avidità, si è trasformato in crudele predatore. E altri sono arrivati, dopo. Un genocidio che ha spopolato quelle terre. E di palazzi d’oro, di quell’oro rubato, si è adornato l’Occidente che ha venduto la sua anima, ha tradito il Dio della Cristianità, ha mostrato un cuore di tenebra, in quella svolta epocale (con il 1492 finisce il Medioevo), la colpa originale alla cui coscienza Cainero ci riporta.

Ma Cainero non era solo in scena, un personaggio si muoveva nell’ombra, ogni tanto s’impossessava del palco, suonava qualche volta i suoi strumenti etnici, portava degli oggetti, faceva cose, mentre uno schermo proiettava immagini di geografie, personaggi, città… Alex Muenango, uno che potremmo incontrare nelle nostre strade, con la sua musica… Che non interagisce mai con Cainero, che a sua volta sembra non vederlo, è il simbolo dell’altro Mondo, dell’indigeno che ha attraversato i secoli per arrivare fino a noi. Simbolo di una storia tragica, basata sul profitto. Quella storia che l’interprete (e regista insieme a Franco di Leo), sempre ideologicamente impegnato, utilizza come mezzo di riflessione e sensibilizzazione.

Lo spettacolo, della durata di un paio d’ore, ha aperto ieri la stagione del Teatro Sociale di Bellinzona davanti ad una platea stranamente poco numerosa per essere un debutto, ma gli applausi ovviamente non sono mancati.

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