Commento

Il disincanto di Simenon nell’Africa misteriosa

Un libro breve, nello stile del Nostro, ma sempre avvincente: L’Africa che dicono misteriosa (Adelphi 2025) di Georges Simenon raccoglie tre scritti sul Continente. Negli anni del suo apprendistato letterario l’autore sfornava a un ritmo forsennato romanzi popolari, molti dei quali ambientati in luoghi esotici, a lui del tutto ignoti, con il solo aiuto di un mappamondo e un’enciclopedia. Il mondo che creava era bello, ma un giorno, però, gli viene voglia di vedere com’è fatto il mondo vero. Cominciando dall’Africa. «L’Africa? Quando sei lì sudi, ti lamenti, ti trascini a fatica, finisci per odiare gli altri e te stesso. Giuri di non tornarci mai più e poi, quando sei in Francia, ne hai nostalgia». S’imbarca quindi, insieme all’inseparabile Tigy, per Il Cairo, da dove raggiunge Assuan. Da lì sorvolerà il Sudan, per discendere fino a Kinshasa e al ritorno fare scalo a Port-Gentil, Libreville e Conakry.

Solo dopo essere rientrato in Francia ricaverà da questo lungo viaggio i reportage qui raccolti – nei quali non solo non indulge all’esotismo, ma soprattutto assume un tono di denuncia che a molti, all’epoca, farà storcere il naso. «L’Africa ci manda al diavolo» scrive Simenon. «E fa bene!». Quello che ha visto non gli è piaciuto affatto – anzi, il più delle volte lo ha disgustato. Certo, alcuni degli aneddoti che racconta, con la verve che gli conosciamo, lo hanno stupito, a momenti anche divertito. E, con quella voracità impudica che è nella sua natura, non ha perso occasione di scattare fotografie, alcune delle quali in coda al volume. Tuttavia, non nasconde in alcun modo, della realtà coloniale, il fondo più torbido e atroce. Né il disprezzo che i bianchi nutrono nei confronti dei neri, né lo sfruttamento e la violenza di cui questi sono vittime – né l’abbrutimento dei coloni stessi.

«I bianchi hanno portato macchine all’avanguardia, hanno tracciato strade, piazzato binari ferroviari e seminato migliaia di ettari di terra. Ebbene, quelle macchine che sono costate milioni giacciono, un po’ dappertutto, arrugginite o abbandonate in una squallida rimessa». Le considerazioni finali sull’Africa sottolineano come il continente sia immenso. Le tribù sono disseminate su territori grandi quanto i paesi europei. «Un ritratto veridico dell’Africa? Non ho la pretesa di farlo. Ci sono troppe Afriche». Difatti, «L’Africa è multiforme. Basta percorrere venti chilometri e le condizioni di vita cambiano da così a così perché, per esempio, la strada finisce. Ci sono coloni, nelle città, che vivono all’europea, mangiano cibi in scatola e di sera ballano, mentre cento chilometri più in là dei loro colleghi restano per tre anni interi senza vedere altri bianchi». Infine: «Forse l’Africa non sarà così bella come sognavate. Ma sarà sicuramente meglio di quanto non pensiate ora».

Amedeo Gasparini

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