Festival

Il meglio di Poestate

Castello di Trevano.

Zigzagando tra gli incontri di Poestate numero 26, il festival letterario luganese che l’irriducibile fondatrice Armida Demarta ha allestito nell’abituale sede del patio di Palazzo Civico da giovedì 2 a ieri, sabato 4 giugno. È stato breve ma intenso il momento dedicato alla poetessa americana Anne Sexton, icona della poesia confessionale, premio Pulitzer nel 1967 con la raccolta Live or Die, ribelle, irrequieta, psicofarmaco-dipendente, abusatrice di alcol ma anche geniale, passionale, anticonformista, chic, sempre truccata a puntino, spesso fasciata in abiti rossi e fedele ai tacchi a spillo, suicida a 45 anni, dopo diversi tentativi e ricoveri in clinica, come l’amica Silvia Plath (tra le due, in termini artistici, la mia preferenza va a quest’ultima: ma essendo un giudizio personale lo metto doverosamente fra parentesi). L’attrice Margherita Coldesina si è presentata sul palco in abito rosso e tacchi a spillo, provocante e fisica come la Sexton, con la quale ha tentato un dialogo. Magistrale l’interpretazione de Il muro, Scalza e soprattutto In compagnia degli angeli: per i versi limpidi che Margherita ha saputo risvegliare («Ero stanca di essere una donna, / stanca di cucchiai e pentole, / stanca della mia bocca e dei miei seni, / stanca di cosmetici e sete»), insieme all’ombra minacciosa di un rapporto malato con il padre, il ritorno sull’indecisa identità di donna, il desiderio di essere «né una cosa né l’altra». Altro momento intenso quello con Luca Dattrino, ex giornalista, docente, scrittore, che ha presentato Nuvole e poco altro, raccolta di blues, rapsodie, liriche beat e poesie in uscita a settembre per le Edizioni del faro: versi forti, liberi e anarchici dove spiccano l’assenza di rime e il non sempre rispettoso uso canonico della metrica. Attraverso la proposizione di «un racconto triste che ho vissuto» molti, molti anni fa, Dattrino, la voce rotta dalla commozione e la profondità d’animo che lo contraddistingue, ha poi ricordato Alberto, l’amico che non c’è più. Il racconto è una sorta di presente eterno legato alla sua immagine, un modo per rendere giustizia alla sua memoria: il collegio di Ginevra, le sigarette, i pochi soldi, la gioventù, l’amicizia; e poi il suicidio, il 23 aprile, lo choc e le riflessioni di chi è rimasto.

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