Impressioni di una crisi

Il primo cappuccino

Cappuccino in tazza bianca

Tra le cose che questa pandemia ci sta insegnando è lo sguardo diverso sulla normalità delle abitudini. Non c’è più nulla di veramente scontato. È mattina presto di un lunedì immerso in un sonnacchioso grigiore. Pioviggina. Scendendo in centro a Lugano so già che non tutti i negozi riapriranno. Alcuni hanno svuotato la merce, il virus gli ha dato il colpo di grazia. Non c’è molta gente in giro, non l’assalto all’acquisto che si aspetterebbe. Qualche genitore accompagna i figli piccoli a scuola. Molti sono tornati al lavoro, un pensiero di solidarietà va a chi è rimasto disoccupato. Nel grande magazzino si possono visitare tutti i reparti, non c’è coda, ma è evidente che la virtù principale che d’ora in poi andrà esercitata è quella della pazienza. Per terra le indicazioni dove mettersi. Funziona anche il bar, non si viene serviti, ma non si consuma al bancone. L’ordine lo si prende e lo si porta al tavolo. Una pausa dopo gli acquisti. Il primo cappuccino dalla chiusura. Da due mesi. Siedo: porto la tazza alla bocca e solo allora mi accorgo che devo togliere la mascherina! Ormai fa già parte di me… la levo con cura, disinfettandomi. Sorseggio la bevanda con un sapore speciale, come fosse il primo cappuccino da anni. Quando me ne vado, da puntigliosa svizzera, controllo che secondo il regolamento disinfettino il mio tavolo: lo fanno. Risalgo in funicolare. Siamo solo in due. Distanze rispettate.

Manuela Camponovo

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