Fotografia

Il racconto (e l’esibizione) del viaggio nel tempo di Instagram

L’avvento della fotografia comportò immediate e profonde conseguenze sociali, che possono essere riassunte nella definizione dell’epoca post-fotografica come la “civiltà delle immagini”, ove l’espressione sta ad indicare, da una parte, la facile esecuzione e moltiplicazione delle immagini, e dall’altra, la conseguente rapida diffusione delle stesse, e quindi la loro capacità di condizionamento e suggestione. A riflettere su questo tema, declinato in particolare sul racconto del viaggio nel tempo di Instagram – dove il resoconto dell’esperienza è sostituito da una o più fotografie – è stato Claudio Visentin, intervistato da Marco Maggi, in occasione del penultimo appuntamento del Wor(l)ds Festival Lugano, svoltosi ieri sera al Parco Ciani.

Il colloquio tra i due docenti – il primo, di Storia culturale del turismo, il secondo, di Letteratura italiana seicentesca, entrambi presso l’Università della Svizzera Italiana – ha preso il suo avvio da una riflessione sull’industria dei viaggi, decollata negli anni ’90, e la cui esplosione portò lo stesso Visentin, che si occupava di relazioni internazionali e politica estera, a dedicarsi allo studio dei mutamenti socio-culturali provocati da essa.

Wor(l)ds Festival Lugano, M. Maggi, C. Visentin e C. Zamboni, 13 luglio 2019.

Gli utenti del web caricano quotidianamente sui social network un miliardo e ottocento milioni di foto, dato, questo, certamente non trascurabile, e rivelatore di quella che potrebbe forse essere chiamata una nuova pratica culturale, volta alla condivisione di ricordi e viaggi in forma di fotografia.

All’immensa quantità di fotografie caricate non corrisponde però una varietà dei soggetti, ha sottolineato Visentin, che spesso ritraggono i medesimi monumenti o paesaggi, come la Torre di Pisa o il Duomo di Milano, persino dalla stessa prospettiva e, in taluni casi, in una eguale e replicata posa (nel primo caso, con il turista che finge di sorreggere la pendente torre).

Esemplari, in tal caso, le numerose foto ispirate al progetto fotografico di Murad Osmann, “Follow me”, ove ritrae la sua fidanzata di spalle, mentre le stringe la mano, in location esotiche e metropoli urbane.

La fantasia, eccezion fatta per taluni casi, come quello del fotografo russo menzionato, non è però “premiata” sui social. Questo aspetto, ha notato sempre Visentin, implica che hanno maggiore successo (e quindi ottengono i tanti attesi “like”) standarizzati scenari. Si è poi riflettuto su un aspetto tragico di questo desiderio di approvazione da parte degli utenti del web, che, talvolta, per ottenere uno scatto memorabile, perdono la propria vita in quell’intento: ammontano a 250 vittime, tra il 2011 e il 2017, le persone morte in queste circostanze; i cosiddetti “selficidi” sono in crescente aumento (si va da 3 vittime nel 2011 a 93 nel 2017).

Altro tema di discussione è stato poi quello dei turisti e dei viaggiatori, dove con i primi si intendono tutte quelle persone che percorrono itinerari già prestabiliti, spesso accompagnati da un esperto e sulla scorta di guide (alcune delle quali, tra l’altro, preannunciano persino le emozioni che il singolo si appresta a provare), e con i secondi si suole designare chi va all’avventura, senza un preciso piano da seguire, con il solo obiettivo di ammirare nuovi paesaggi e conoscere culture diverse.

L’interessante colloquio tra i proff. Maggi e Visentin è stato inoltre arricchito dalla lettura, da parte dell’attrice svizzera Cristina Zamboni, di rilevanti e inerenti passi che vertono su queste tematiche: come Ad Angelo Mai di Leopardi, che già preannunciava il tramonto dell’immaginazione e dell’avventura con le scoperte scientifiche; Il viaggio, ne Les Fleurs du mal di Baudelaire, dove il sogno dell’altrove si svilisce nell’aridità della ripetizione; il Cuore di tenebra di Conrad, dove Marlow fantastica osservando le mappe geografiche; e ancora, Disneyland e altri nonluoghi di Augé, che riflette sui non-luoghi dei villaggi turistici e i grandi alberghi, tutti simili tra loro; Noi e gli altri, in L’esotico di Todorov, che definiva il turista come un visitatore frettoloso, che preferisce l’inanimato (monumenti e animali) rispetto all’animato (le persone).

Vi lascio con alcuni interrogativi… L’utilizzo che sempre più persone fanno di Instagram, non consiste forse nell’esibire le mete visitate, piuttosto che condividere gli scatti che immortalano quei momenti? Il resoconto di viaggio è stato sostituito dall’immagine o l’utente medio, caricando una fotografia, vuole solo dire “sono stato qui”? (era proprio questa la scritta incisa sulle piramidi dai primi visitatori greci). E, infine, a causa della frenesia del mondo moderno, dove il lavoro assorbe quasi per intero il tempo di tutti noi, il turista non è forse obbligatoriamente un visitatore frettoloso? Non è forse lecito che questi scelga di rilassarsi nel non-luogo da lui deciso piuttosto che deputare le tante attese ferie ad errare senza meta?

Lucrezia Greppi

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