Teatro

Il ritorno di un capolavoro, successo al LAC

Il popolare capolavoro di Aldo Palazzeschi viene di nuovo offerto al pubblico, per l’occasione, nella versione teatrale di Ugo Chiti, con la regia di Geppy Gleijeses e attrici di vaglia, come le Sorelle Materassi da sempre ha richiamato. A parte il prologo in visione onirica dell’incontro con il Papa, che permette anche la descrizione di lavoro e vita delle protagoniste sarte, l’adattamento entra subito nel cuore della vicenda, esaltando il carattere dei personaggi femminili e la figura del nipote, Remo, figlio della sorella morta, per il quale con sfumature diverse le due zitelle nutrono una vera adorazione, Carolina con trasporto assoluto, un po’ più contenuto, l’altra. Mentre la terza, che una esistenza passata l’ha già avuta, essendo stata sposata, mette in guardia con la logica pratica della ragione. Il ventenne, scapestrato, dedito ad ogni forma di piacere, perdigiorno e perdinotte…, seduttore spregiudicato, approfitta della situazione, di queste due signorine che, frustrate dalla solitudine nella quale sono chiuse, da amori sensuali e materni mai realizzati, concentrano su di lui desideri e illusioni. Così il ragazzo riesce ad ottenere ogni cosa per soddisfare lussi e ambizioni materiali, fino a mandarle in rovina, per poi sposare una ereditiera americana e abbandonarle. Loro hanno perdonato tutto, persino la violenza e insieme alla fedele governante di casa, non resterà che rivivere nella memoria quell’affetto ormai perduto. La storia è questa e si regge, forse con un ritmo lento, la distensione muta dei gesti, ai quali non si è più abituati, sull’interpretazione. Milena Vukotic è una perfetta Carolina, infantile, trepida, appassionata quanto remissiva, attaccata testardamente al sentimento riversato su quel ragazzo, simbolo del maschile mai posseduto. Lucia Poli, nella parte di Teresa, l’asseconda, pur con qualche resistenza severa, rigida, e un barlume, a tratti, di ravvedimento ma che dura poco. Marilù Prati ha l’atteggiamento di Giselda, la sorella minore che si occupa dell’amministrazione e che inutilmente vede quello che succede e non riesce ad evitarlo. Mentre Sandra Garuglieri è la governante anche al servizio dei capricci del ragazzo e dei suoi amici, gozzoviglieri notturni (che si sentono fuori campo) per i quali prepara ogni genere di cibarie.  Gabriele Anagni ha il suo ruolo di sfruttatore, dinamico e cinico, al quale non si riesce a negare nulla.

Chiuse persino in uno stanzino fino a quando non si decidono a firmare la cambiale della rovina, che poi aveva già un precedente vissuto con il padre, le donne ne escono piegate in due, come esibizione massima dell’umiliazione subita, che le ha spezzate, senza peraltro liberarle da quel rapporto morboso. In ghingheri, sfoggiando “mise” appariscenti e di dubbio gusto, le vedremo subito dopo seguire il nipote nella serata che lui ha predisposto per loro. Gelose della fidanzata americana, si vestiranno di bianco vaporoso, esagerato, per il matrimonio, come a voler indossare quegli abiti da spose che il destino non ha mai concesso loro.

Bella e raffinata la scenografia, con quella finestra ad arco, sul fondale, da cui appare un albero di ciliegio la cui luce muta nel tempo delle giornate e delle stagioni, un’allusione cechoviana presente nelle tonalità malinconiche e crepuscolari del testo di Palazzeschi, che narra di un tramonto, di una rovina finanziaria, di una perdita distruttiva.

Folto pubblico al LAC, che ha concesso anche qualche applauso a scena aperta. Si replica ancora questa sera.

Manuela Camponovo

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