I viaggi di Manuela

Il ritorno

Mi sarebbe piaciuto tornare dalla mia avventura russo-giapponese via mare e terra ma avrei dovuto stare almeno un mese. Per ora mi accontento. Così mi sono ritrovata sul treno che dalla stazione di Osaka, molto ben organizzata contrariamente a quanto scritto nella mia guida secondo la quale manderebbe in confusione persino i giapponesi, attraverso il ponte, mi ha portato sull’isola artificiale dove si trova l’aeroporto progettato da Renzo Piano. Il solito, modernissimo traliccio di vetro e metallo, ma dalle finestre si gode l’orizzonte marino, anche se il giorno della partenza pioveva.

Aeroporto di Osaka.

Mi piace prendermi tempo, se possibile, negli aeroporti, farli diventare un po’ meno astratti non-luoghi. Ho spedito inserendolo in una buca delle lettere il router preso a noleggio, ho fatto il check-in all’automatico, mangiato l’ultimo pasto giapponese, un’ottima tempura… E, guarda un po’, il mio volo era l’unico in ritardo e ci hanno tenuto in piedi per quasi un’ora; il primo volo, serale, è stato senza storia, più interessante quello che ho preso in notturna dopo lo scalo a Hong Kong, pure in ritardo.

L’orario sull’aereo era già quello di destinazione, per cui, a notte fonda, hanno servito la cena. Ho dormicchiato un po’ e quando mi sono svegliata ho tirato su lo schermo del mio oblò, sfidando il regolamento imposto dalle hostess, ed ecco la magia, splendida, una striscia di sfumature rosate sull’orizzonte da cui, dopo pochi minuti, ha fatto capolino il sole: mentre volavamo a ritroso nel tempo, sopra la coltre di nuvolaglia, stavo assistendo ad una bellissima aurora asiatica… Da quel momento ho seguito l’itinerario sullo schermo del sedile. Come ho già scritto tante volte, mi piace viaggiare in treno perché è un mezzo che restituisce il senso dell’attraversamento geografico. Ma in mancanza di meglio, vista la monotonia del paesaggio dal finestrino (aurore o tramonti a parte), potremo avere in aereo il mappamondo digitale. Così, all’altezza di Mosca, da dove ero partita per la Transiberiana, mi è sembrato che un cerchio quasi si chiudesse.

La circolarità dell’avventura si è completata con l’arrivo alla Malpensa, da dove partii, mesi o anni fa… Il 6 luglio… È il senso del tempo del viaggiatore…

E poi, cos’è il ritorno? Ho scritto della sensazione di spaesamento che colpisce per un attimo quando si varca la soglia di casa per affrontare l’ignoto, qualsiasi cosa sia… Ma rivarcare quella soglia per il ritorno… Un misto di malinconia e di sollievo… Tornati! Quanto tempo è passato? Arieggiare, disfare la valigia, un mucchio di panni sporchi pronti per la lavatrice, ritirare e consultare la posta, le email, le telefonate, riprendere contatto con la propria realtà… E le brochure, i foglietti descrittivi, i biglietti d’ingresso dei luoghi visitati… Una volta, colpita dalla sindrome cumulativa del viaggiatore seriale, tenevo tutto, adesso sono diventata più ragionevole, sensata. Ad una certa età si comincia a buttare, piuttosto che a conservare. Ma il biglietto della Transiberiana, sarà certo da tenere anche se non arriverò ad incorniciarlo… E poi le fotografie, che per la verità ho iniziato a scattare da quando ho questa rubrica, faranno parte della mia memoria, l’aiuteranno? Non so, la memoria è fatta di percezioni non dei luoghi in sé, ma delle emozioni e dei sensi che ad essi si accompagnano, come ci ha insegnato Proust, una immagine può risultare muta, se non scatena il sentimento.
Riordinate e archiviate le guide, le mappe e tutto il materiale relativo a questo grande viaggio che non potrò più immaginare, guardo avanti, a prossimi sogni e mete.
Ma voglio concludere svelando un segreto. Durante questa avventura non sono stata proprio sola, ringrazio in particolare, oltre a tutte le persone gentili incontrate, il mio “ghost travel”, senza di lui e le sue capacità di orientamento, il mio viaggio sarebbe stato senz’altro più complicato.
Alla prossima!

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