Commento

Il viaggio rapsodico di Marco Bardazzi tra due secoli

Rapsodia americana (Rizzoli 2023) di Marco Bardazzi è un tour rapsodico: si passa dall’America del 1924 a quella dei giorni nostri. Il fil rouge è “Rapsody in Blue” di George Gershwin, oggi come nel secolo scorso, la colonna sonora degli Stati Uniti. «Qualcosa si è rotto da tempo, in America», esordisce l’autore. L’origine è nella crisi del 2008, con l’aumento dei divari sociali e lo scoppio dell’“epidemia di solitudine”, nonché la radicalizzazione della politica. Il 6 gennaio 2021, l’assalto al Congresso ha segnato un grave tentativo d’interrompere un processo democratico che fino ad allora aveva tenuto in equilibrio la Repubblica. Gli Stati Uniti sono un paziente esperimento che «sopravvive solo se riesce a garantire i diritti naturali individuali attraverso un sistema di libertà ordinate, Stato di diritto e procedure costituzionali». L’America di oggi è piena di limiti e problemi. Eppure, non smette di affascinare.

L’America è un viaggio, scrive Marco Bardazzi. L’America è quella di John Steinbeck in Furore, di Jack Kerouac in Sulla strada, di “Forrest Gump”. La musica di Gershwin accompagna il lettore a cavallo tra un secolo e l’altro. La composizione fu presentata il 12 febbraio 1924 e fu il simbolo della Jazz Age – sullo sfondo c’erano idealmente Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Louis Armstrong, Duke Ellinghton, Charles Libergh e Amelia Earhart. «Un’opera elastica e modificabile come gli americani». Infatti, «ascoltandola bene, ci sono l’immigrazione, il progresso, l’economia, le tensioni sociali, il dolore, il sogno americano, lo sguardo verso il mondo. E c’è la vocazione a innovare». Come la rapsodia, l’America tiene assieme cose diverse. Già cento anni fa il paese aveva raggiunto il picco dell’immigrazione. L’Emergency Quota Act del 1921 aveva limitato l’ingresso solo a 357.000 persone all’anno.

L’Immigration Act del 1924 abbassò a 150.000. Lo spirito da “Grande Gatsby” fu il simbolo di quella stagione. La prova che ognuno può fare successo nell’America degli anni ruggenti. Eppure, il libro di Fitzgerald inizialmente non guadagnò moltissimo. Ci vollero anni prima che diventasse il grande romanzo americano. La sintesi letteraria dell’America; l’essenza stessa del paese. La rapsodia di Gershwin fu presentata all’Aeolian Building. Poco distante Sergej Rachmaninov si era messo in coda per scoprire cosa fosse il jazz sulla 42esima. Sempre a New York, al tempo, c’era anche Antonín Dvořák, che a fine Ottocento compose la Sinfonia n. 9, “Dal Nuovo Mondo”. La rapsody rappresenta bene “la città che non dorme mai” perché sintetizza momenti di eccitazione e disorientamento. Un disorientamento che si è visto sempre a New York. Nel 2001 con l’11 settembre, ad esempio, ma anche durante il Covid.

Eppure, la città è sempre ripartita. La Grande Mela rappresenta il sogno americano per eccellenza. Con la sua Public Library, la Vanderbilt, la Grand Central, i grattacieli negli anni Settanta. Ma Marco Bardazzi ricorda anche i lati più oscuri di NYC. Il tasso di omicidi, le diseguaglianze, la povertà. Tra il 2020 e il 2021 la città ha perso più di 300mila abitanti e oggi il tasso di occupazione degli uffici è il cinquanta per cento rispetto ai tempi del pre-Covid. Forse, oggi come negli anni Venti, esiste davvero un grande “Dr. T. J. Eckleburg” che guarda come gli occhi di Dio gli americani, le loro miserie e le loro grandezze. Si introduce così il capitolo sugli immigrati, i protagonisti del sogno americano, scrive Marco Bardazzi. Piaccia o no, il domani sarà sempre più loro. Nel libro si parla anche dell’eredità storica dello schiavismo.

Il 4 novembre 2008 con l’elezione di Barack Obama – «niente è impossibile in America», come disse il 44esimo presidente fu la prova che anche i neri erano rappresentati. Quel “We the People” che finalmente valeva anche per loro. Oggi quella “more perfect Union” sembra allontanarsi. James Madison e Thomas Jefferson non vedevano di buon occhio la nascita dei partiti perché questi creavano divisioni – chissà come reagirebbero di fronte alla polarizzazione politica odierna. Bardazzi definisce un’America “dry” e una “wet”. Due Americhe che si condannano a vicenda per via per gli eccessi dell’altra. E propongono come soluzioni altri eccessi. Da una parte c’è il movimento MAGA. Dall’altra una moltitudine variopinta di persone che vanno dai moderati che chiedono più diritti agli estremisti wokisti. Secondo il Wall Street Journal, nel 2023 il patriottismo era importante solo per il 38 per cento degli americani rispetto al 70 del 1998.

La religione è passata dal 62 al 39 per cento. L’importanza di avere figli dal 59 al 30 per cento. Un’indagine del 2023 del CDC ha stimato che uno studente americano di liceo su quattro s’identifica LGBTQ. Era l’11 percento nel 2015. Questo potrebbe rappresentare uno dei tanti effetti della percepita solitudine. Molti vogliono sentirsi “parte” di qualcosa. Marco Bardazzi ricorda che la Gen Z rispetto alla precedente parla di sesso più in teoria che in pratica. La percentuale di adolescenti che dichiara di aver avuto la prima relazione sessuale prima della fine del liceo è passata dal 60 (1991) al 30 per cento (2021). Il livello d’interazione tra i sessi è ridotto ai minimi. Nel dibattito tra “dry” e “wet” c’è anche quello di pro-choice e pro-life.

Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema si è espressa sul caso “Drobbs v. Jackson” cancellando il diritto costituzionale all’interruzione di gravidanza. Ad essere archiviata è stata la “Roe v. Wade” del 1973. Marco Bardazzi poi parla di Washington DC. Fu l’urbanista francese Pierre Charles L’Enfant che disegnò la capitale degli Stati Uniti del diciottesimo secolo ispirandosi ai boulevard di Parigi. Sul National Mall, lungo tre chilometri, sono sfilati nei decenni le milizie del KKK, le suffragette, gli antiproibizionisti, il movimento dei diritti civili, i manifestanti contro la guerra del Vietnam e le truppe trumpiane. Il Mall rappresenta quella “more perfect Union”, fatta di checks e di balances. Tra questi, la Corte. Secondo un sondaggio Gallup oggi solo il 25 per cento degli americani si fida dei giudici rispetto a 50 per cento di vent’anni fa.

Già Franklin Delano Roosevelt accusava i giudici di impedirgli di fare suo lavoro. E propose di aumentarne il numero così da conquistare la maggioranza. Negli anni, nota Marco Bardazzi, c’è stato un incremento da parte del Congresso di fare leggi argomentate in termini generali. Oggi l’esecutivo si fa carico troppo spesso della funzione legislativa. Ma il Congresso dovrà anche pronunciarsi su questioni che attengono la tecnologia. E della Silicon Valley si parla in un altro capitolo. Se cento fa la valle tra San Francisco e San José era uno dei centri più mondiali per la produzione di frutta, oggi crea innovazione. Il cammino dell’AI lascia molte questioni aperte a partire dai processi elettivi. Già i social media avevano influito nel 2008 e nel 2012. Nel 2016 e 2020 ci furono le manipolazioni delle fake news. Da queste premesse, l’America può risorgere?

Marco Bardazzi snocciola i dati. Il reddito degli americani nel 1990 era del 24 per cento più alto di quello degli europei; oggi il 30. Gli Stati Uniti hanno un terzo dei lavoratori in più di quelli che avevano nel 1990, mentre in Europa si è saliti di un decimo. Anche la produttività è salita in trent’anni. Dal 67 per cento, contro il 55 per cento di quella degli europei. Un americano lavora 1800 ore all’anno. 200 in più degli europei. 500 meno dei cinesi. In America la spesa per i più svantaggiati è salita dal 14 al 18 per cento del PIL dal 1990 a oggi. I brevetti americani erano il 19 per cento nel 2004 e il 22 per cento del 2021. Il 34 per cento per cento degli americani ha completato un percorso d’istruzione terziaria. Dunque, non è vero che il sogno americano lascia indietro troppe persone.

Uno degli ultimi capitoli del libro di Marco Bardazzi tratta la politica estera degli Stati Uniti. Afghanistan e Iraq sono stati la tomba della politica neocon. L’invasione della Russia in Ucraina è per gli Stati Uniti un brusco ritorno al passato. La politica del contenimento e dell’egemonia liberale e dell’interventismo sono qualcosa che i dem hanno sempre fatto proprio. Ma oggi è difficile applicarla in un mondo multipolare. «Nel bene o nel male, l’America è nel pieno della Trump Age», sostiene Bardazzi. Tutti i quarantaquattro presidenti prima di Donald Trump avevano differenze ideologiche, ma formavano un blocco omogeneo. Trump non è un repubblicano né un democratico. Il suo spirito di fondo è quello del capobanda, sostiene l’autore.

Dopo circa dieci minuti di esecuzione della “rapsody” c’è un cambio di musica. Decolla il cosiddetto “love theme” – poi soundtrack ufficiale degli sport della United Airlines. Questo tema rappresenta il sogno americano, una dichiarazione d’amore per l’America. Il prossimo presidente avrà l’opportunità di celebrare i duecentocinquant’anni degli Stati Uniti – 4 luglio 2026. Al tempo di Gershwin, era toccato a Calvin Coolidge festeggiare centocinquant’anni. In quell’occasione spiegò che l’America aveva l’abitudine di gettare via velocemente le idee del passato per trovarne di nuove. Ma le idee del 1776 non si potevano cambiare. Erano vere, erano vere sempre. «Se tutti gli uomini sono stati creati uguali, questo è definitivo. Se tutti hanno ricevuto gli stessi diritti, questo è definitivo. Se i governi derivano i loro poteri dal consenso dei governati, questo è definitivo. Su queste cose non si fanno progressi, restano per sempre così».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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