Filosofia

Imparare la libertà da un «francamente ateo»

Il filosofo Giulio Giorello in un'immagine del 2017.

Il filosofo Giulio Giorello in un’immagine del 2017.

Che cos’è la filosofia? Giulio Giorello (1945-2020), scomparso a Milano lo scorso 15 giugno per il Covid, ci ha lasciato una bella descrizione: «Il filosofo è un po’ artista, perché cerca di rifare il mondo con lo strumento della parola, e un po’ sacerdote, perché fa esperienza del senso della finitezza dell’esistenza umana pur aspirando all’infinito e all’assoluto». Non sono infatti la forza del pensiero e la bellezza della sapienza che hanno da sempre segnato i momenti più significativi della tradizione cristiana dell’occidente? Giorello però preciserebbe a questo punto che solo il riferimento alla scienza può garantire quella libertà del pensare che distingue la filosofia dalla religione. Così i suoi riferimenti sono piuttosto Spinoza, Hume, Mill, Bruno o Darwin – tutti pensatori del resto più o meno screditati dal verdetto di “ateismo” da parte di un certo pensiero cristiano non più in grado di dialogare con la cultura moderna.

Per Giorello, però, è impensabile che la fede entri in conflitto con la scienza, e con questa disponibilità al dialogo divenne uno degli interlocutori più importanti del Cardinale Martini. Per lungo tempo presidente della Società italiana di logica e di filosofia della scienza, egli ricordò la teologia che il dialogo con le scienze può soltanto aiutare la stessa teologia che ancora due secoli dopo Kant fa fatica a collocarsi nella modernità. Invece di ricadere in vecchie cosmologie o “teodicee” che ritengono che si può comprendere il mondo soltanto se si prova l’esistenza di Dio, bisogna trovare la fede «dentro di noi, più dentro di noi di quanto siamo noi a noi stessi», come Giorello amava ricordare insieme a Giordano Bruno. Certo, ciò lo porta all’affermazione di quel «ateismo metodologico» che consiglia – senza mai imporlo – agli stessi credenti ossia che bisognerebbe escludere Dio quando si indaga la realtà terrena. Questa sua posizione, però, era ugualmente rivolta contro un ateismo “naif” che si riduce all’ennesima ripetizione delle prove della non-esistenza di Dio o attacca sempre gli stessi contenuti “rivelati” della fede.

Se l’ateismo viene compreso in questo senso “positivo”, allora si intende perché è per Giorello grazie agli atei che la scienza può andare avanti: questa provocazione i credenti la devono senz’altro accettare e sopportare innanzitutto perché è stata avanzata senza “dogmatismo” ateistico e senza intenzione di “proselitismo” da parte di Giorello. Come per Kant l’incontro con la fisica e le scienze era un momento di “libertà” del “pensiero critico” contro un predominante dogmatismo protestante nel mondo accademico prussiano, così Giorello sprona i teologi e i credenti a non rinchiudersi in una nicchia ecclesiastica e di cercare il confronto con la scienza “atea”. Del resto, che la “libertà” può scaturire soltanto da un libero incontro tra scienza e fede, è stato ultimamente ricordato anche da Habermas per il quale soltanto una reciproca disponibilità di “apprendimento” tra credenti e non-credenti può garantire la libertà a noi “post-secolari”. E Giorello ha testimoniato – del resto in modo comprensibile per gli stessi credenti – che questo mondo “post-secolare” ha anche bisogno degli atei. Perché se «solo nella coscienza può sorgere l’esigenza della legge morale e civile», come affermò in difesa del suo libro Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo del 2010, allora tale coscienza si forma nel costante dialogo e confronto tra credenti ed atei. Proprio per questo il testo pubblicato nell’anno successivo con Dario Antiseri dal titolo Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti fa comprendere che proprio questo incontro può preservare, da un lato, da ogni forma di fondamentalismo e totalitarismo – religioso o politico che sia – ma anche, dall’altro lato, da quel relativismo dell’indifferentismo che caratterizza le nostre società e che del resto per lo stesso Ratzinger, che Giorello non risparmiò dalle sue critiche, costituisce la nostra vera e propria sfida culturale.

Così come Giorello, che ha insegnato a Pavia, Catania, Como e Milano dove ha ereditato la cattedra da Ludovico Geymonat, ha dimostrato che tale dialogo fa bene al senso critico dell’ateo, così lascia ai credenti il consiglio di cercarlo sempre, proprio nel nome di quella libertà che solo se viene coltivata e sempre di nuovo conquistata può reggere anche in futuro la nostra democrazia. Infatti, dall’atteggiamento scientifico, descritto da Giorello come prontezza a cambiare assunti e teorie alla luce di nuove prove e conoscenze, possiamo trarre principi e prospettive per realizzare sempre di più quella cultura della libertà per la quale egli ha sempre combattuto. La rilevanza attuale della filosofia sta nell’essere libero pensiero, e mentre continuiamo giustamente a sottolineare l’importanza di religione ed arte per la società, Giorello ci ammonisce a non dimenticare la centralità della libertà: «apprezzo le muraglie solo quando esse sono smantellate».

Markus Krienke

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