Commento

In lode dell’autodidatta

C’è qualcosa di affascinante nell’autodidatta. Forse sarà l’aria da solitario esploratore, il modo di guardare il mondo con occhi curiosi, pronti a scoprire qualcosa di nuovo. Forse la sua capacità di trasformare la passione in competenza, un interesse casuale in un interesse ardente, senza bisogno di certificati o riconoscimenti. L’autodidatta è la dimostrazione vivente che il sapere non ha padroni, che la conoscenza non rispetta gerarchie accademiche. Nel suo bel memoir L’italiano inutile, Giuseppe Prezzolini scrisse: «C’è una dose di ciarlataneria, ma c’è un fondamento di verità profonda in ogni autodidatta: tutto quel che veramente s’impara sia da sé, sia con la guida d’un maestro e con la disciplina d’una tradizione scolastica, è sempre personale; s’impara veramente soltanto ciò che noi diciamo, insegniamo a noi stessi e per cui siamo disposti a correr dei rischi, dal tempo che vi si impiega, fino alla vita che vi si può perdere».

Oggi si venerano i titoli accademici, che catalogano le competenze attraverso certificati e diplomi, che misurano il sapere con il metro delle istituzioni. Eppure, nella storia dell’umanità, alcuni dei contributi più rivoluzionari sono arrivati da coloro che hanno tracciato il proprio sentiero nell’apprendimento, sfuggendo ai binari dell’educazione formale: gli autodidatti. L’essenza dell’autodidattismo è la capacità di innamorarsi del sapere senza mediazioni. Di sentire la conoscenza come qualcosa di personale e intimo. L’autodidatta studia, sa e vuole sapere sempre di più. Perché non può farne a meno. Perché la curiosità lo rode dentro, lo accompagna sul cammino della vita. Il suo è un rapporto viscerale con il sapere. L’autodidatta è, per natura, un ribelle. Non si lascia guidare passivamente attraverso gli standard. La sua curiosità è selvaggia, indomabile. Spesso disordinata. L’autodidatta procede per salti, intuizioni, connessioni impreviste.

Ciò che distingue l’autodidatta non è l’assenza di maestri, ben inteso, ma la presenza di una passione autentica. Ognuno ha bisogno di punti di riferimento, non feticci. L’autodidatta conosce bene la nozione di esperimento: sa fallire, sa ricominciare. Ha il coraggio di mettersi in discussione quotidianamente, di ammettere la propria ignoranza, di ricominciare da capo. Sa che l’apprendimento è un processo infinito. Va da sé che l’autodidatta è una figura solitaria. La sua è la solitudine di chi deve trovare da solo le risposte. È fertile, creativa. L’autodidatta impara a dialogare con se stesso, ad essere il proprio miglior critico e fedele alleato. Ed è potenziato da una miriade di strumenti digitali – ammesso che sappia ben cercare. Ancora oggi, il freelance viene spesso visto con sospetto, come se la sua conoscenza fosse in qualche modo meno valida.

Spesso l’autodidatta possiede qualcosa che manca a chi ha seguito solo percorsi tradizionali: la passione autentica per ciò che fa. La passione è davvero una fiammella nel buio – perché è intima, personale, dunque duratura. L’autodidatta sa gestire il suo tempo – che, insieme con la libertà ed indipendenza, è la sua più preziosa risorsa. Si sforza di eliminare il superfluo, padroneggia l’arte di mantenere alta la motivazione anche quando nessuno lo controlla. Insegna a fidarsi del proprio giudizio, con umiltà. Sviluppa un senso critico indipendente – a volte troppo critico. L’autodidatta serio sviluppa un’etica dell’apprendimento che spesso manca nei percorsi tradizionali. L’autodidatta è, in fondo, un custode della dimensione più autentica dell’apprendimento umano. È colui che ricorda che prima di ogni scuola, o istituzione, c’è la curiosità. È la dimostrazione che è ancora possibile tracciare percorsi personali nella giungla del sapere. E del potere.

Prezzolini offre in questo senso un invito personale a tutti: riconsiderare radicalmente l’esistenza personale alla luce dell’essenza stessa del processo di apprendimento. Ciò che davvero, in fin dei conti, si assimila, ciò che ci trasforma in profondità, è (quasi) sempre frutto di una scelta personale, di un atto di coraggio individuale. Anche laddove vi sia una guida o una struttura formativa, la conoscenza autentica nasce solo quando viene interiorizzata, rielaborata e rischiata in prima persona. Conoscere e imparare sono due rischi che l’autodidatta intende correre. Certo, con tutte le sue apparenti eccentricità, ma in fin dei conti incarna questo principio. È colui che apprende perché ne ha bisogno, perché insegna a sé stesso ciò che gli sta a cuore. Un qualcosa di controcorrente. Oggi, quando la certificazione prevale spesso sulla comprensione, l’autodidatta è un baluardo della libertà intellettuale e della responsabilità individuale del sapere.

Amedeo Gasparini

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