Economia

India, la nuova America

È stato presentato presso il Gabbani di via Pessina a Lugano UTI Asset Management Company, pioniere dell’industria dell’Asset Management in India dal 1964, uno dei maggiori operatori sul mercato locale, che, a fine luglio, amministrava asset per un equivalente di 54,6 miliardi di dollari.

Da sinistra: Gaurav Maleri, Istitutional and Wholesale Sales Europe di UTI International, Jacqueline Ruedin Rüsch, Fouder & Ceo di Privilège Management (Lugano e Zurigo) , Ajay Tyagi, CFA di UTI Asset Management, pioniere dell’industria Asset Managment in India dal 1964, al Gabbani di Lugano

Nello specifico è stato presentato il fondo della classe istituzionale (in USD e EUR) con le classi Retail per investire nell’Equity indiano. Tra questo mese ed ottobre si tengono in India importanti votazioni in alcuni Stati del subcontinente, ma ciò confermerà solo il programma di riforme portato avanti dal premier Narendra Modi. L’economia dell’India è tornata a correre, trainata dal dinamismo della domanda interna, nonostante il mondo del commercio internazionale sia oggi minacciato dalla guerra dei dazi. Nel secondo trimestre il prodotto interno lordo (Pil) indiano ha accelerato la crescita, facendo registrare un aumento dell’8,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente grazie al ritorno degli investimenti e ai consumi delle famiglie, passati dal 6,7% del primo trimestre all’8,6% del secondo. Mentre quest’anno si programma una crescita del 6,7% e del 7,3% l’anno venturo. L’India rappresenta uno dei principali motori dell’economia mondiale e per il 2030 si troverà al terzo posto dopo Cina e USA tra le 10 maggiori potenze economiche, grazie ai favorevoli indici demografici, avendo già ora 816,8 milioni di persone in età lavorativa (15-59 anni), mentre Giappone ed Europa soffrono dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Se oggi la classe media indiana rappresenta solo il 5% della popolazione, essa arriverà al 40% per il 2050, ha rilevato Ajay Tyagi. Inoltre l’economia locale poco dipende dall’export che rappresenta solo il 16% del Pil (12,5% nel 2016 e 12,2% quest’anno), mentre la fattura energetica pesa per il 25% delle importazioni ed è l’unica grossa incognita. Così le minacce di guerre commerciali che attraversano il mondo nel confronto Cina-USA, poco incidono sul Paese indiano.

A differenza di Cina e Russia – che hanno importato talora modelli capitalistici di stampo finanziario con indebitamento – l’India ha una profonda cultura democratica che privilegia la propensione a favorire gli investimenti atti a promuovere lavoro per i giovani al di fuori dell’area della finanza. Il programma di liberalizzazione promosso dal governo punta sullo sviluppo delle infrastrutture, la crescita della manifattura, il rafforzamento dei profili professionali con l’educazione, l’indipendenza energetica e anche il programma di demonetarizzazione con fintech e transazioni online che consentono di modernizzare il commercio, reprimono l’evasione fiscale, abbinano servizi di risparmio, assicurazione e pensioni. In questo campo l’India precede di gran lunga l’Europa e precorrere i precursori è sempre stato l’obiettivo di Keynes. Questo spiega anche i brillanti risultati del fondo che investe in società attive in tali servizi e il forte flusso degli investimenti provenienti dall’estero verso l’India (45 miliardi US$ nel 2017). Tra l’altro, l’India è assai curiosa dei possibili effetti di Brexit sul Regno Unito, perché questo può rafforzare i legami con Londra, mentre già il Paese per tradizione è più propenso a rivolgersi alla vecchia Europa piuttosto che verso la Russia o la Cina. Da rilevare infine che l’unico problema politico dell’India rimane il difficile rapporto con il Pakistan: bisognerà che trascorra questa generazione perché si possano fare sostanziosi passi in avanti. Tra l’altro, il dialogo tra India e Pakistan, guarda caso, passa più da Londra che dalle rispettive capitali.

Quanto al tasso d’inflazione, è previsto al 3,6% quest’anno e al 4,75% l’anno a venire. Insomma, l’attrattività del Paese è intatta: i guadagni delle imprese sono stati mediamente del 12% annuo tra il 1993 e il 2017 con una crescita media prevista del 19% dal 2017 al 2020. Ma qui, avverte Ajan Tyagi meglio comunque guardare al cash-flow e alla quota di reinvestimenti per crescere. Da tutto ciò si comprende forse l’enorme potenziale della crescita attesa.

 

Corrado Bianchi Porro

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