Economia

La Cina e l’Africa tra miti e realtà

Alfonso Tuor (Presidente), Stefano Devecchi Bellini (Vice-presidente), Maddalena Procopio e Sandro Volontè (Segretario) dell’Associazione culturale Ticino-Cina.

Rumoroso, il fiume passa. Ma il rumore non passa. Perché è nostro. Non del fiume (Fernando Pessoa)

Maddalena Procopio , ricercatrice all’Ispi col dottorato in relazioni internazionali alla London School of Economics, è stata relatrice ad un’affollata assemblea dell’Associazione culturale Ticino-Cina presso la sede di via Chioso a Lugano. Dopo le scintille del recente confronto tra USA e Cina, ravvivate dalla vicenda Huawei, ci si è chiesti quale sia oggi la politica della Cina in Africa, tra realtà e miti, dopo che nel 2009 Pechino è diventata il maggior partner commerciale dell’Africa e uno dei maggiori fornitori di truppe per mantenere la pace sotto l’egida ONU. La storia delle relazioni tra Cina ed Africa nasce intorno al 1400, in quanto l’Africa era scalo obbligato nella via marittima della seta. Poi le relazioni ripresero negli anni 1950-’60, quando la Cina cavalcava la narrativa sud-sud del mondo contro l’imperialismo capitalista. Ora, dal 2000, il concetto è ben diverso, commenta la Procopio. L’Africa è diventata strategica per la Cina per motivazioni puramente economiche, accreditandosi nella diplomazia commerciale come importante attore nello scenario globale. Nel 2002 la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio e ha ispirato molte infrastrutture funzionali al commercio come ferrovie, dighe, aeroporti, grandi ospedali, porti. Ha persino creato una TV a Nairobi ora diventata una voce importante nel Continente africano, approfittando anche del fatto che gli USA e l’Europa abbiano lasciato varie postazioni. Ma, dopo il 2011, un’enfasi particolare riguarda il problema della sicurezza, dopo che la Cina ha dovuto rimpatriare molti connazionali in fuga dalla Libia. Quanti sono i cinesi in Africa? Le stime, dice Maddalena Procopio, variano tra 300 mila e un milione. Dove si dirigono gli investimenti? Son concentrati nel campo delle risorse, nell’apertura dei mercati come sbocco per prodotti cinesi a a motivo di mercati saturi in Asia e questo ha creato qualche problema col commercio locale, specie nei momenti elettorali. Infine, sono indirizzati negli investimenti a lungo termine, ciò che dimostra come la strategia non sia di un “mordi e fuggi”. L’Africa rappresenta per la Cina una diversificazione, pur se il grosso degli investimenti è in realtà pilotato verso i Paesi industrializzati. La strategia di Pechino ha però fatto scuola per altre nazioni quali Turchia, Paesi del Golfo, Giappone, che hanno seguito la sue orme in luogo del disimpegno americano o europeo. Ogni due anni si tengono summit politici tra Cina e Paesi africani e se all’inizio partecipavano solo capi di Stato, ora il forum coinvolge sindacati, partiti, amministrazione, esponenti autorevoli della società. Dal 2009 la Cina è il primo partner commerciale per l’Africa con un interscambio di 128 miliardi, rispetto ai 40 degli Usa e ai 300 dell’Europa, suddivisi però tra molti attori, per cui nessun Paese singolarmente supera Pechino. I prodotti cinesi risultano bene accolti, pur se talora di modesta qualità, visto che quelli europei risultano ben più costosi. Vi sono naturalmente problemi di mancanza di standard e di rispetto dei brevetti di proprietà intellettuale. Resta il fatto che l’Africa per la Cina non sia certo la prima priorità. Gli investimenti, come detto, sono indirizzati alle infrastrutture, ai trasporti, al settore estrattivo, comunicazioni e fibre ottiche. In pratica, la Cina non concede molti aiuti, si muove molto più coi prestiti, collaborazioni e agevolazioni. Tuttavia, se fino ad oggi gli aiuti sono stati pari a 18 miliardi, nei prossimi tre anni la Cina conta di aggiungere altri 15 miliardi, ma non è chiaro in quali aree saranno poi allocati. Oggi l’attenzione è indirizzata in modo particolare alla sicurezza. Questo vale in particolare per il Corno d’Africa e i Paesi arabi, dopo i rovesci subiti in Libia. Gibuti è oggi in pratica un porto logistico-militare. Tra i grandi miti dell’interesse della Cina verso l’Africa, il più diffuso è che Pechino decida tutto in proprio. In realtà, molte volte intervengono i governi locali africani, che chiedono modifiche o integrazioni – e la Cina si adegua. In Africa, nonostante diffuse credenze, lo sviluppo economico non avviene a scapito dei diritti, cosa che magari capita in Cina. D’altra parte, l’Africa è stata abituata a commerciare da sempre con gli europei e permane una sorta di scetticismo nei confronti della Cina: non sanno chi sia e cosa rappresenti. Tanto, se fai qualcosa di sballato (è detto in uno scheck a un imprenditore cinese), è facile trovarti, perché non sei nero. I maggiori prestiti che fornisce la Cina sono indirizzati al momento verso Gambia, Congo e Gibuti, ma la Cina non è certo l’unico prestatore, né un monopolista. Sull’agricoltura vi è poi l’altro mito che i cinesi coltivino la terra per creare una riserva di cibo a favore della madrepatria. In realtà, andando in Africa, hanno dovuto cambiare spesso le coltivazioni perché la situazione climatica è ben differente. Anche gli acquisti conclamati di estensioni agricole sono accordi di concessione, non di vendita, né si sa quanto poi siano in realtà andati a buon fine. Così Maddalena Procopio, ripercorrendo la storia e identificando i problemi, ha fornito una chiave di lettura a relazioni complesse che continueranno a influenzare l’attuale geopolitica globale.

Corrado Bianchi Porro

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