Commento

La gratitudine commuovente di Camus per il suo insegnante

Caro signor Germain (Bompiani 2024) raccoglie la corrispondenza – una ventina di lettere – tra Albert Camus e il suo insegnante Louis Germain (1884-1966), dal 1945 al 1959. Un libricino ricco di emozioni. Un omaggio del Premio Nobel non solo al suo insegnante, ma a tutti i mentori che ci accompagnano dall’infanzia all’età adulta. L’elemento comune che emerge negli scritti è la dolce gratitudine, a tratti commuovente, che Camus ha nei confronti di Germain. Che riconobbe al piccolo Albert, orfano di padre e figlio di madre illetterata, il dono della sensibilità e della scrittura. Fu proprio Germain che gli consigliò di continuare gli studi. Da lì iniziò un sodalizio epistolare che proseguì fino alla morte prematura di Camus, il 4 gennaio 1960. Lo stile di Camus nello scambio epistolare è immediatamente riconoscibile. Un linguaggio asciutto e diretto. Ricambiato da un tono, quello dell’ex insegnante, dolce e mai paternale.

E anzi: più si procede con gli anni, più si ha la sensazione che il signor Germain si senta quasi inadatto a corrispondere con il grande scrittore. Quella di Camus è «un’opera interamente rivolta a scrutare la condizione dell’uomo e che, partendo dall’assurdo, trova un esito nella rivolta e nell’amore», si legge nell’introduzione. «Alle passioni mediterranee ha fatto seguito un lucido umanismo, e al lirismo dei primi testi uno stile nitido e luminoso». Così sono le lettere. Germain si rivelò da subito cruciale per la formazione di Camus. Che pure gli dedicherà “Discorsi di Svezia” – il volumetto è accompagnato anche da un capitolo de Il primo uomo, romanzo incompiuto di Camus. «Mio caro ragazzo», esordisce Germain da Parigi (15 ottobre 1945), «ho potuto quindi assistere ai lusinghieri successi che hai ottenuto» e lo informa sulla guerra in Algeria e al suo arruolamento da volontario del Corpo franco d’Africa.

Nel maggio 1945, Camus scrisse per il Combat una serie di articoli per attirare l’attenzione sulla situazione politica ed economica in Algeria. In novembre soggiornò con la moglie, Francine Faure a Bougival, vicino a Parigi. I due si sposarono poi da Michel Gallimard al 17 di rue de l’Université, nel cuore della città. «Ma ci tengo assolutamente a vederla», rispose Camus. «Lasci che l’abbracci con tutto il mio affetto – come ai tempi della scuola». I due si sarebbero poi incontrati. «Sono stato immensamente felice di rivederla e di stare un po’ a lungo con lei […]. Un buon maestro è una grande cosa. Lei è stato il miglior maestro che possa esserci e non ho dimenticato tutto quello che le devo. Anch’io le auguro ogni bene e spero tanto di poter ancora ritrovare con lei certi ricordi di cui andrò sempre fiero» (20 gennaio 1946).

Nelle lettere Camus parla dei suoi testi teatrali, tra cui “Caligola” e delle conferenze negli Stati Uniti – dove stette dal marzo al giugno 1946. «Conservi il suo affetto per me. In questo mondo impazzito, abbiamo sempre più bisogno di coloro che ci vogliono bene» (7 marzo 1946). Poi conferenze in Sudamerica – Cile, Brasile, Uruguay e Argentina: «viaggio che si è rivelato molto stancante» (13 maggio 1950). «Sono felice di saperla in buona salute. Lei lavora molto, certo. Ma ha sempre lavorato molto e ho difficoltà a immaginarla a vivere di rendita» (ibid.). In questa leggere gli parla del suo saggio filosofico L’uomo in rivolta – che uscirà nell’autunno 1951. «Poi … Poi vorrei riposarmi e vivere un po’ libero aspettando la bomba all’idrogeno». Dalle lettere emerge anche una certa premura di Camus. Che, come un figlio, si preoccupa della salute del genitore.

«Non lavori troppo, caro signor Germain, e pensi un po’ al suo riposo, ben meritato. Sono felice all’idea di rivederla e di abbracciarla. Sono passati ormai trent’anni da quando ho avuto la fortuna di incontrarla. E da trent’anni non smetto di pensare a lei con tutto il rispetto e l’affetto che provavo alla scuola elementare di rue Aumerat» (14 luglio 1952). I due s’incontreranno diverse volte, soprattutto ad Algeri, all’inizio degli anni Cinquanta. Il 16 ottobre 1957, l’Accademia svedese annunciò l’attribuzione del Premio Nobel per la letteratura a Camus «per la sua importante produzione letteraria, che con perspicace zelo getta luce sui problemi della coscienza umana nel nostro tempo». Il paragrafo più bello dell’epistolario è il seguente (19 novembre 1957).

«Ho aspettato che si placasse un po’ il clamore che mi ha circondato in tutti questi giorni per poterle finalmente rivolgere qualche parola venuta dritta dal cuore. Mi è stato fatto un onore troppo grande, che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando ho appreso la notizia, il mio primo pensiero, dopo mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza la mano affettuosa che ha teso al bambino povero che ero, senza il suo insegnamento, e il suo esempio, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Non attribuisco eccessiva importanza a simili riconoscimenti, ma […] mi offre […] l’occasione per dirle ciò che lei è stato […] per me, e […] i suoi sforzi, il suo lavoro e la passione […] sono sempre vivi in uno dei suoi scolari che […] non ha mai smesso di essere il suo allievo riconoscente». Germain, avrebbe scritto tre giorni dopo.

«Ti so così occupato che non pensavo potessi ritagliarti del tempo, specie nei giorni che hai appena vissuto, per scrivermi, per aprirmi così pienamente il tuo cuore ed esprimermi sentimenti di cui non ho mai dubitato. […] Volevo mandarti subito un telegramma per congratularmi […]. Poi ho pensato che fossi già abbastanza occupato a rispondere a quelli che avevano ragioni di complimentarsi e ho preferito aspettare […]. Caro ragazzo mio, la tua lettera […] rivela sentimenti che fanno onore a un animo umano. […] Mi ha tanto più colpito poiché neppure i miei figli mi hanno mai manifestato un simile affetto […]. È stato pensando al tuo papà […] che mi sono interessato a te […]. Ti ho voluto bene un po’ al posto suo, per quanto ho potuto». Infine, «comunque sia, nonostante il signor Nobel tu resterai sempre il mio piccolo Camus».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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