Commento

La guerra in Ucraina ha già cambiato il mondo

Oltre l’Ucraina (Aliseo 2022) comprende i contributi di molti giovani autori sull’impatto della guerra in Ucraina in ogni parte del mondo. Il pregio del volume è l’ampio respiro conferito dalla diversità di angolatura nell’analisi del conflitto. Francesco Dalmazio Casini inizia dalla fine del “momento unipolare”, definito così da Charles Krauthammer, degli Stati Uniti dopo la fine della Guerra Fredda e della Russia “weimarizzata”. Il 24 febbraio 2022 ha rappresentato uno spartiacque, il ritorno del realismo su scala mondiale e per Vladimir Putin un senso di urgenza disperato della sua Russia di “contare” nello scacchiere geopolitico mondiale. L’espansione ad Est della NATO, nelle analisi di John Mearsheimer, non teneva conto delle dinamiche realiste, un errore riconosciuto anche da George F. Kennan nel 1997 della politica americana post-Guerra fredda. Il volume nel complesso propende per una visione liberale, nel senso delle Relazioni Internazionali.

D’altra parte, per smontare la tesi realista in materia di NATO, basterebbe ricordare che: i paesi che vi hanno aderito lo hanno fatto in virtù del principio di autodeterminazione. Secondariamente, è ridicolo pensare che Estonia o Lituania o Lettonia nella NATO possano rappresentare una minaccia per la grande Russia – la favola della sindrome di accerchiamento. La penetrazione dell’alleanza atlantica in Ucraina per Mosca era da scongiurare assolutamente, ma i ricordi che Kiev non è mai stato in procinto di entrare nell’alleanza atlantica, dal momento che è in guerra dal 2014, rendendo impossibile l’adesione di un membro in conflitto. Viste le sanzioni dell’Occidente nei confronti di Mosca, Casini definisce il post-24 febbraio una pietra d’inciampo della globalizzazione. La guerra ha investito in particolare l’Europa convinta che la guerra non sarebbe più arrivata alle sue porte. Gianluca Paulon riflette sull’elemento del visibile della guerra in Ucraina.

Volodymyr Zelenskyj ha capito che poteva fare leva sull’elemento dell’immagine per attirare attenzione e risorse dell’Ovest. Si è fatto “presidente del popolo”, un approccio totalmente diverso da quello di Putin che appare di rado in pubblico e non usa i social network. In Russia quanto in Ucraina, il ruolo dei media favorisce la costruzione di una narrativa bellica. Davide Masciocchi invece spiega la postura di Giappone, Germania, Italia, di fronte alla guerra in Ucraina. «Gli Usa hanno imposto un vero e proprio mutamento culturale improntato al pacifismo e al senso di colpa». La guerra in Ucraina ha rimesso in discussione la politica estera di Tokyo, Berlino e Roma. Il ricorso all’uso della forza non è più in forse. Il Giappone da anni ha assunto una posizione bellicista nei confronti della Cina. Quanto a Berlino, dopo la riunificazione si è dedicata più alla geoeconomia che alla geopolitica.

E deve tenere conto non solo delle polemiche legate all’aumento delle spese di difesa, ma anche delle relazioni tra Länder orientali e Russia. Anche l’Italia ha ripensato la sua posizione internazionale, specie in materia di strategia di sicurezza e difesa nel Mediterraneo. Il governo di Mario Draghi aveva deciso di portare gradualmente le spese militari al due per cento del PIL. Il riarmo occidentale è una conseguenza della guerra in Ucraina. Lorenzo Della Peruta esplora come i droni abbiano cambiato il nuovo modo di gestire il conflitto. Un utilizzo massiccio di droni, tuttavia, determina lo spostamento del conflitto da obiettivi militari a quelli civili. Tra le novità della guerra in Ucraina, c’è anche l’uso dei mercenari. Il paradigma di gruppi come quello Wagner, spiega Federico Ramponi, sembra configurare la guerra del futuro. Il Wagner nasce anche da una necessità da parte di Mosca di esercitare controllo in zone complesse.

L’ex criminale da strada Evgenij Prigožin è a capo della banda che arruola siriani, serbi, bielorussi e si danno al banditismo e alla violenza sui civili nonché all’arricchimento del prestigio e monetario del gruppo. Mosca sfrutta il gruppo per i suoi obiettivi geopolitici: influenza e destabilizza realtà locali. L’ex colonello americano, David Johnson, ha spiegato in un’intervista ad Aliseo che «la guerra in Ucraina è stata come una sveglia che ci dirà come saranno le guerre del futuro». Se gli ucraini vogliono tornare allo status territoriale del 2014, Mosca vuole espandere quello che ritiene storicamente russo. Tuttavia, ricorda Michele Ditto, la Russia si trova in competizione su più fronti: Caucaso, Asia centrale e Mar Nero. Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan hanno condannato l’invasione dell’Ucraina. La Russia rimane per loro un appoggio indispensabile, ma è la Cina che negli ultimi anni si è dimostrata il primo partner economico.

Valerio Ferri si concentra invece sull’impatto in Africa della guerra in Ucraina. I rapporti con alcuni paesi del continente sono stati altalenanti, ma negli anni Mosca è tornata sulla scena africana in un momento delicato per l’Occidente. Il disimpiego degli Stati Uniti, le delusioni di Francia e Cina aprono diverse possibilità alla Russia di rivestire un ruolo centrale in campi strategici quali l’estrazione delle risorse naturali nei Paesi africani. Rodolfo Fabbri analizza il difficile riposizionamento dei partiti e dei politici filorussi in Europa a seguito del conflitto. Oggi Putin è passato da modello a motivo di imbarazzo. In Francia il filorusso Éric Zemmour ha spiegato che il colpevole della guerra non è Mosca, quanto l’espansione della NATO. Ha fatto eco Jean-Luc Mélenchon, secondo cui erano gli Stati Uniti ad essere aggressivi e non la Russia. Entrambi non hanno fatto marcia indietro, neppure di fronte all’aggressione a Kyiv.

Marine Le Pen, il cui partito ottenne nel 2014 un prestito di nove milioni di euro da una banca russa, si è sforzata di apparire rassicurante, prendendo le distanze da Mosca. In Italia, il partito di Giorgia Meloni non è mai stato particolarmente vicino alla Russia e dall’opposizione votò assieme al governo Draghi i provvedimenti dell’invio delle armi, anche per accreditarsi a Washington. La guerra di Putin ha messo in difficoltà soprattutto la Lega di Matteo Salvini che ha visto il suo consenso erodersi anche per via dei suoi imbarazzanti elogi del presidente russo. In Europa, Viktor Orbán non ha certo antipatia nei confronti di Putin, mentre Jarosław Kaczyński ha definito la posizione del leader ungherese sull’Ucraina «molto triste e deludente». La Germania, che prima della guerra era dipendente dal gas russo per il quaranta per cento, ha dovuto fare i conti con la Ostpolitik sbilanciata.

Dagli anni Settanta in poi, il riavvicinamento tedesco all’Unione Sovietica avveniva anche nell’ambito della ricerca di sicurezza e pace nel lato orientale del continente europeo. Lara Montaperto si focalizza infatti sul concetto di casa comune europea di Mikhail Gorbaciov, scomparso per altro nel 2022. Nel sogno dell’ultimo leader comunista alla fine della Guerra Fredda si era creato lo spazio per una cooperazione dall’Atlantico agli Urali. Casa comune europea non significava che l’Europa si avvicinava alla Russia, ma il contrario. Leonardo Venanzoni parla delle fragili intese antiamericane di Iran, Russia e Cina. Nel settembre 2022 Teheran ha firmato un memorandum che la condurrà ad entrare nella Shanghai Cooperation Organization (SCO). Matteo Borgese esplora il ruolo dell’India alla luce della guerra in Ucraina. Argomenta che se la Russia utilizza la propria influenza per espandersi, l’India d’altra parte espande la propria cultura in Asia meridionale evitando conflitti diretti.

Questo intento è dimostrato dalle parole di Narendra Modi, secondo cui questo non è un tempo di guerra. Enrico Ceci ipotizza la nuova geografia economica del futuro. Lo sguardo è diretto verso la Cina. Secondo Jake Sullivan, l’ascesa del Dragone è un pericolo per l’ordine internazionale basato sulle regole. Nelle relazioni USA-Cina c’è anche la questione di Taiwan. Joe Biden si è detto pronto a difendere l’isola. Casini ricorda che se Mosca non è il perno dell’economia globale, Pechino ha reso negli anni più impossibile il decoupling. Casini stima che è possibile che un’invasione cinese di Taiwan possa richiedere un maggiore sforzo industriale e produttivo di supporto rispetto a quello per l’Ucraina. Come reagirà l’Occidente se Pechino dovesse invadere l’isola? La Cina oggi specula sul fatto che nessuno correrebbe in soccorso di Taipei. Forse Putin credeva lo stesso quando ordinò l’aggressione all’Ucraina. Ma, Taipei appare più sacrificabile per l’Occidente.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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