Teatro

L’alt(r)o Everest

Fortuna che il cielo ha tutelato – trattenendo in sé la pioggia, limitandola al mattino – la scenografia naturale e (più) logica dello spettacolo andato in scena ieri sera per la terza serata nell’ambito del XX Festival internazionale di narrazione di Arzo. Le centinaia di persone sedute in ascolto avranno certamente apprezzato il valore aggiunto che le imponenti pareti di marmo della Cava Broccatello hanno restituito al racconto di Mattia Fabris e Jacopo Maria Bicocchi, L’alt(r)o Everest.

Settanta minuti dedicati al racconto di una drammatica ascesa alpinistica. Soprattutto, però, la vicenda umana di due amici, legati non dal sangue ma proprio per questo fratelli ancor più sinceramente, fratelli per comunione di valori. Fratelli cordata. Uno di loro si chiama Jim Davidson e come Mike Prize è americano; Jim è guida alpina ma è anche un Peter Pan, un burlone, un fascinoso scapolone senza un centesimo che ti stende con un sorriso e non ti accorgi che si è già fatto offrire la quinta birra. Uno di quelli che i suoi sogni li realizza, oltre a non avere nessuna difficoltà a formularne di nuovi. Mike passa le ore a confortare Gloria al telefono, perché la sua adorata mogliettina dorme sonni agitati quando lo sa appeso a una roccia verticale a 4000 metri d’altezza, e perlopiù con Jim. E il Monte Rainier, stratovulcano dormiente situato nello stato di Washington,  il monte più alto della catena delle Cascate, raggiunge addirittura i 4392 metri. Un nano, paragonato all’agognato (da Jim) Everest, ma pur sempre un vulcano da scalare. Conquistare la vetta del Monte Rainier è il sogno di una vita per gli scalatori americani, un passaggio obbligatorio per l’alpinista con la A maiuscola. Tra continue e spassose incursioni del quotidiano (le birre, le battute, le prese in giro, le donne…) i due amici si convincono e partono alla volta di Seattle per raggiungere i piedi della montagna e iniziare il cammino. La preparazione minuziosa limita quasi a zero le preoccupazioni, ma lo sanno anche i bambini: la montagna non perdona, la montagna riserva sorprese impreviste, la montagna è un’amante esigente. Un crepaccio. Un vero crepaccio, perché la vicenda, riscritta, ricostruita dai due attori-autori, è tratta da una storia vera. Una storia risalente al 1992, non famosa e con cui non si è arricchito nessuna catena di blockbuster, e forse sta qui il suo tratto universale e che commuove: talmente “banale” che poteva capitare a te, a noi. Il crepaccio che inghiotte Mike e Jim non è soltanto un cono buio di ghiaccio in cui l’assenza d’ossigeno costringe all’azione (pena la morte), il crepaccio è anche metafora dei passaggi obbligatori che ogni esistenza contempla. A taluni toccano “boe” più lontane, esigenti, in parvenza persino arroganti, per altri gli snodi della vita appaiono più come curve rassicuranti e prevedibili. Di sicuro c’è una cosa: non puoi fare a cambio con la “prova” di un altro. È così che Jim morirà e Mike sopravviverà grazie a una forza di volontà che rasenta il soprannaturale.
Da dove arriva – sembra chiederci la potente, polmonare interpretazione dei due interpreti sepolti vivi – il coraggio di aprire una mano in ipotermia e costringerla a scavare? Da dove arriva la voce di un babbo defunto che ti sprona a farli, quegli ultimi impossibili, impraticabili tre metri di lastra ghiacciata? ATIR Teatro Ringhiera in collaborazione con NEXT 2016 producono uno spettacolo appassionante e molto vicino al linguaggio cinematografico. Un racconto che Mattia Fabris e Jacopo Maria Bicocchi stanno coraggiosamente (e fisicamente) portando nei rifugi alpini e nelle zone alpine più inaccessibili d’Italia. L’invito che hanno rivolto al pubblico è quello di individuare e proporre anche nella Svizzera italiana un percorso di narrazioni nelle capanne CAS e UTOE. The Mountain, così la chiamano negli Stati Uniti, ha costituito lo sfortunato giro di boa di Jim. Il punto di non ritorno che ha però sviscerato un cammino impensato dentro la vastità di un rapporto d’amicizia. La domanda che sorge è quale sia, e dove, e quando, e fino a che punto ci attenderà la nostra montagna? Montagna, M maiuscola.

Margherita Coldesina

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