Letteratura

“Le anime morte” di Nikolaj Gogol’: storia di una Russia senza speranza?

“La banalità del male”, come direbbe la Arendt. Questa la denuncia di Nikolaj Gogol’ nei confronti della Russia dell’Ottocento, con il suo celebre romanzo “Le anime morte”. Dopo la relazione di Piero Boitani sui rapporti tra Dante e la Bibbia, continuano gli appuntamenti alla Biblioteca Salita dei Frati, dedicati all’influsso della Sacra Scrittura sulla cultura occidentale: giovedì scorso, per l’appunto, si è parlato con Adalberto Mainardi, monaco della Comunità di Bose esperto di letteratura russa e ortodossa, di Bibbia e suggestioni letterarie in Gogol’.

“Gogol – ha esordito Mainardi – era ossessionato da una domanda: come far vedere che il Diavolo è uno sciocco? Questa era la sua vocazione: l’idea è di rappresentare il male ma nella sua forma buffa, per esorcizzarlo, eliminarlo, annientarlo. Un’idea molto più profonda di una semplice critica ai costumi: voleva fare del riso lo strumento per schernire tutto ciò che offusca la bellezza umana”.

Così, nel 1835 inizia la scrittura de “Le anime morte”, in cui denuncia apertamente la mediocrità, l’autosoddisfazione senza consistenza e, infine, la stortura di una Russia arretrata. “Una Russia che aveva bisogno di quest’opera. Ma a un livello simbolico più profondo “Le anime morte” rimane un poema paradossale: un viaggio dantesco nell’oltretomba della condizione umana”.

Le “anime morte”, in particolare, sono i servi della gleba deceduti ma non ancora cancellati dai registri erariali, per i quali il proprietario continua a pagare le tasse. La surreale compravendita di “anime morte”, messa in moto da Pavel Ivanovič Čičikov, protagonista del romanzo, per ottenere l’assegnazione di terre nei governatorati meridionali, diventa il meccanismo propulsore dell’intreccio del romanzo, che ruota attorno alla pingue figura di un antieroe.

“No, non è che voglia proprio dei contadini”, disse Cicikov, “voglio avere dei morti”.

“Come? Mi scusi…sono un po’ duro d’orecchio, mi è parso di sentire una parola alquanto strana…”

“Intendo acquistare i morti che però sulla lista del censimento figurino come vivi”, disse Cicikov. 

Manilov lasciò subito cadere a terra il cannello con la pipa turca, aprì la bocca, e così restò, a bocca aperta, per diversi minuti […].

“E così desidererei sapere se lei mi può cedere, o vendere, o quel che riterrà più opportuno, questi soggetti che non sono vivi in realtà, ma lo sono formalmente per la legge.”

Ma Manilov era così confuso e imbarazzato che lo guardava e basta. […] Sentiva che doveva fare qualcosa, porre qualche domanda, ma quale domanda? Il diavolo lo sapeva.

“E così, se non ci sono ostacoli, con l’aiuto di Dio si potrebbe passare a stipulare un contratto di compravendita”, disse Cicikov.

“Come, un contratto di vendita di anime morte?”

“Ah, no!”, disse Cicikov. “Scriveremo che sono vive, così come effettivamente risulta dalla lista del censimento., Sono abituato a non scostarmi in nulla dalle leggi civili, benché per questo abbia sofferto nella mia carriera […]”.

Come nei quadri di Bosch, mostruose figure prolificano sulla tavolozza narrativa gogoliana, che spalanca lo sguardo sull’abissale inconsistenza dell’essere.
Ma, strano a dirsi, nel romanzo si inseguono anche molteplici richiami alla Bibbia, che per Gogol “rimane sempre una specie di condensato di senso”, che orienta lo scrivente ma “che al contempo rimane lo sviluppo positivo mai veramente raggiunto dal romanzo”. Un’orizzonte di perfezione, insomma, verso il quale tendere costantemente, pur nella consapevolezza – almeno per l’autore – della sua irraggiungibilità.

Come ha mostrato Mainardi, infatti, i personaggi di Gogol’ sono impregnati dell’ambiente biblico: vi ritroviamo il senso di vanità del Qoelet, il desiderio avido di guadagno che può impossessarsi di un’anima poco avveduta – come spesso accade all’uomo stolto dei Salmi – la cecità dei farisei così ben narrata da Matteo.

Da qui una critica profondamente divisa sul romanzo: denuncia sociale, attesa di redenzione o vivido quadro di una Russia sgangherata e sonnolenta, abitata da figure grottesche e patetiche, e per la quale non c’è speranza? La riflessione sul romanzo continua.

Laura Quadri

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