Commento

Le lezioni di Raymond Aron sulla politica

Nel 1973, Raymond Aron tenne una serie di lezioni presso il Collège de France. Raccolte in Teoria dell’azione politica (Marsilio 2023), in un volume a cura di Alessandro Campi e Giulio De Ligio, gli interventi rispondono ad alcuni quesiti. L’uomo è violento per natura? Quali principi devono guidare l’azione politica? La diplomazia deve porsi obiettivi morali o obbedire soltanto alla ragion di Stato? Aron affronta tutte le strutture e le tecniche della gestione del potere. Nella vita ha sempre combattuto le sue battaglie in modo solitario. Nel volume si esplorano gli elementi della politica internazionale e delle relazioni internazionali. Le lezioni iniziano con l’azione guerriera e l’azione politica. «La policy è l’uso che gli individui e i gruppi fanno delle norme stabilite in vista del raggiungimento dei rispettivi scopi personali».

I protagonisti della lezione sono Tucidide, Aristotele, Montesquieu, Niccolò Machiavelli, Alexis de Tocqueville. Ma soprattutto Claus von Clausewitz. Ogni conflitto rappresenta simultaneamente una dimostrazione di potenza e una manifestazione di determinazione. Costituisce un confronto tra forze e una contesa di volontà. Clausewitz «è l’uomo della battaglia d’annientamento, dell’attacco, della distruzione delle forze armate del nemico, mentre Sun Tzu afferma spesso che il culmine dell’arte militare consiste nel vincere senza versare sangue. Per il generale filosofo cinese sarebbe meglio vincere senza nemmeno ingaggiare battaglia». Aron sviluppa la derivazione teorica dell’azione politica dall’azione bellica. Sostiene che la guerra implica l’imposizione della propria volontà attraverso la violenza. D’altra parte, la politica implica l’imposizione della volontà senza ricorrere alla violenza. Aron approfondisce anche la “Guerra di popolo e guerra rivoluzionaria” e la legittimità del politico, tirando in ballo anche Carl Schmitt e Mao Zedong.

«La congiunzione tra difesa della terra e ideologia politica produce la guerriglia moderna, che non è semplicemente […] lo strumento della difesa nazionale, ma anche uno strumento della rivoluzione». Anche a Lenin Aron ha dedicato molte analisi nelle sue lezioni. Prendendo il potere in Russia, Lenin «pensava di rappresentare l’avanguardia del proletariato mondiale e contava sul proletariato tedesco, che, essendo più avanzato di quello russo, avrebbe potuto fare la rivoluzione in Germana e mettersi alla testa del movimento rivoluzionario mondiale». La sua idea centrale era quella di lotta fra classi. Clausewitz affermava: «Più la guerra diviene pura guerra, più diviene guerra totale, meno essa sembra politica». «La nozione d’annientamento o di essere/non-essere riguarda […] la distruzione morale o simbolica». La criminalizzazione della guerra e del conflitto indiscriminato viene affrontano anche da Jean-Jacques Rousseau.

Riflessioni interessanti anche su mezzi e i fini, in cui Aron esplora l’etica della politica tra moralismo e cinismo. Federico II di Prussia quando fece entrare le sue armate in Slesia, aggiunse: «I miei giuristi sapranno trovarmi una giustificazione». Le conclusioni dell’autore sono che il fine giustifica i mezzi. Tuttavia, «quel che è in discussione è invece sapere se un fine, anche sublime, giustifichi qualsiasi mezzo». Occorre dunque rispettare la proporzionalità, giacché «è innegabile che la guerra consista nel far cedere il nemico utilizzando la violenza, ma ciò non significa che qualsiasi livello di violenza contro qualsiasi nemico sia giustificato». Sui limiti della violenza ci sarebbe molto da dire. Aron ha gioco facile parlando della distruzione di Dresda. «La condanna morale si giustifica in ragione della sproporzione tra l’obiettivo e i mezzi impiegati».

La prudenza e le idee nelle lezioni riflettono il giudizio storico sugli obiettivi delle nazioni. «Poiché la guerra implica la volontà di costringere l’avversario con la violenza e di uccidere altri uomini, essa rappresenta in permanenza la violazione della regola più universale dell’etica, cioè il rispetto dell’altro». Accettare con la sovranità degli Stati implica respingere la presenza di un arbitro, un tribunale e una forza di polizia internazionale. Affermazioni come «L’uso della forza è giustificato solo nell’interesse nazionale» vengono smontate da Aron. Che dimostra i limiti del realismo politico. Difatti, «una simile affermazione […] significherebbe allora che la forza deve essere messa al servizio di obiettivi limitati». Difficile quantificare cosa significhi interesse nazionale. Esso si riduce alla sicurezza e alla sopravvivenza fisica? «L’interesse nazionale deve essere definito di volta in volta e, per quanto possibile, con prudenza».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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