Letteratura

Leopardi recensore: ritrovato testo inedito alla Biblioteca Nazionale di Napoli

Un testo ritrovato nella Biblioteca Nazionale di Napoli tra le carte autografe del poeta: «L’ombra di Dante»

Giacomo Leopardi recensore pungente a diciott’anni: una scoperta filologica a opera di Christian Genetelli, Ordinario di Letteratura e Filologia italiana all’Université de Fribourg, un testo ritrovato nella Biblioteca Nazionale di Napoli tra le carte autografe del poeta e ora disponibile nel volume: Un’inedita e ignota recensione di Giacomo Leopardi. «L’ombra di Dante» («Palinsesti, Studi e Testi di Letteratura Italiana», LED Edizioni Universitare, p. 66).

Siamo negli anni di «studio matto e disperatissimo». Al bienno 1815-1816 sono ascrivibili traduzioni come gli Scherzi epigrammatici, la Batracomiomachia, alcuni stralci dall’Odissea e dall’Eneide. In mezzo al “magma” di enciclopedismo pian piano si fa strada il convincimento della poesia, svolta estetica ed esistenziale. Per questo motivo lo scritto leopardiano non è “innocuo” come sembra: preparato probabilmente nell’autunno del ’16 per l’opuscolo dell’urbinate Giuliano Anniballi. L’ombra di Dante , il documento – secondo Genetelli che firma una dotta ricostruzione – si inserisce nel “crogiolo” del crescente interesse per Dante, decisivo nel passaggio dall’erudito al bello durante il periodo della «conversione letteraria».

L’autografo – «un foglio semplice, mm 201 x 141 vergato dalla mano di Leopardi sul recto e sul verso» – è una breve, ma aspra segnalazione (o meglio una stroncatura) seguita da passi scelti de «L’ombra di Dante, Visione del Sig. Anniballi da Urbino. Loreto 1816».

Il libro è pressoché sconosciuto già all’epoca («niun parla di questo libricciuolo») e non sembra rivelare ampi margini futuri, nota il conte con sottile sarcasmo («il vento e i pizzicagnoli disperderanno questa poesia prima che alcun letterato l’abbia veduta».

Tuttavia prendendo spunto da un episodio del Vangelo di Giovanni 6,12 nel quale Gesù dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci esorta i discepoli a conservare anche gli avanzi «perché nulla vada perduto», Leopardi seleziona alcuni brani in modo che il lettore possa esprimere il suo giudizio. Il foglio è firmato con la sigla M.D. : il patronimico di sapore grecano “Monaldoade”, appioppato da Carlo Antici e utilizzato da Leopardi in altre recensioni. Il legame con l’opera è presto detto: L’ombra che consta di un canto unico in 292 versi, appartiene al «revival marchigiano-romagnolo della visione-cantica» (Walter Spaggiari), genere che nello stesso periodo Leopardi coltivava con la stesura dell’Apressamento della morte, sempre in terzine dantesche. Ci sono legami tra i due testi: l’io solitario, l’apparizione, la prossimità del morire, il crollare a terra e risollevarsi grazie ad un essere benigno (Amore e l’Angelo), «l’alta mediazione femminile».

Conclude giustamente Genetelli: «Fra convergenze forti e altre meno, l’assieme (anche guardando l’aspetto quantitativo e tipologico) pare largamente sufficiente per confermare che Leopardi abbia letto la visione di Giuliano Anniballi prima di scrivere l’Appressamento della morte: nella fitta rete della sua memoria prodigiosa, che è anche giovanile «pieghevolezza dell’ingegno» e «facilità d’imitare» è così rimasta un po’ dell’Ombra di Dante».

Di questa volontà di imitatio si arguisce, per altro, il rapido abbandono dell’idea di veder pubblicata la segnalazione.

Insomma il dantismo leopardiano acquista così un importante tassello non solo per comprendere materialmente le tappe che dividono il laborioso traduttore dal poeta originale, ma anche per assaporare in filigrana l’envers du décor nell’elemento di natura vichiano-rousseauiana dell’antico, del primitivo e del fanciullo (temi poi approfonditi nello Zibaldone, il “diario” filosofico che il poeta tenne dal ’17 al ’32).

Ma chi è esattamente Anniballi? Lo studioso ricostruisce perfino la sua storia: docente di Belle Lettere, abbandona Urbino per insegnare al Ginnasio Comunale di Loreto, dove nell’agosto del ’16 esce per l’editore Ilario Rossi – che pubblicò le Notizie istoriche e geografiche sulla città e chiesa arcivescovile di Damiata – il suo poemetto, dedicato allo zio Sebastiano Sanchini. Nello stesso anno tornerà a Saltara e, dopo varie peregrinazioni, sarà a Rimini come professore di Retorica. Le strade tra Anniballi e Leopardi non si incroceranno più. Tuttavia il conte porterà misteriosamente il documento inedito a Napoli, impilato tra i faldoni dei suoi scritti. Segno che in fondo, nonostante il «povero articolo», «questi versi» erano davvero «degni di stampa». (fonte: Il Sole 24 ore).

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