Locarno Film Festival

Maternal

“Ti piace mia figlia? Ecco, tienila, te la regalo”, dice la protagonista di un film presentato pochi giorni fa in seconda serata in Piazza Grande alla sua eccentrica migliore amica, consegnandole il fagotto. Un film spavaldo e psichedelico, rasente il trash, sicuramente trasgressivo, a partire da questa iniziale consegna di neonato che lascia basiti anche gli spettatori più progressisti. Molto più (realistico) timidamente, anche Maternal, sold out pure nelle proiezioni aggiuntive che sono state organizzate per soddisfare tutto il pubblico, ci parla di maternità diffusa. Siamo alle prese con una giovane suora italiana appena trasferitasi in Argentina, a Buenos Aires. Reca con sé un minuscolo trolley contenente statue sacre e si chiama semplicemente Suor Paola: ed è candida, dolce, acqua e sapone, affatto severa nei modi benché si trovi alle prese con un esercito di ragazze madri chiuse in una casa famiglia religiosa, un istituto che ha lo scopo di proteggerle da se stesse e il mondo. Ritroviamo dunque Lu e Fati, compagne di letto (a castello), due madri adolescenti, e proprio queste due giovani saranno al centro del percorso travagliato di Suor Paola verso la conquista dei voti perpetui.

La regista Marta Delpero racconta con una lievità e delicatezza mirevoli la severità del contesto entro cui le bizzarrie adolescenziali delle protagoniste vengono contenute, riorientate affinché sfocino in comportamenti assimilabili dalla società. Lu e Fati sono il sole e la luna, l’opposto una dell’altra: la prima è sfrontata, estroversa, la vita vuole bersela come uno shot di tequila; l’altra è implosiva, meditabonda, incinta del secondo bambino e dunque già affetta dal morbo delle responsabilità materne. Le due sono amiche, complici, ma il rapporto è manifestamente squilibrato, perché a comandare è Lu, la seduttiva, la manipolatrice. Che ha, ironia della sorte, la figlia più dolce che una sceneggiatrice possa immaginare di scrivere, Nina, un passerotto tutta occhioni in perenne compagnia del suo papero di peluche.

La piccola, pur amando la madre – com’è biologicamente programmata a fare – ne subisce le assenze e mancanze, che spesso trascendono anche in concreti, e desolanti, episodi di maltrattamento. Si affida, in modo del tutto pudico e naturale, alle braccia dell’angelica suora italiana, la quale inizialmente sembra in grado di amministrare adeguatamente i suoi sentimenti – senza che questi si traducano in una faccenda personale, ma poi, in breve tempo, le cose le sfuggono di mano, precipitano. Abitua Nina a dormire con lei, sottraendola alla sua (pur dolorosa, certo) realtà, immergendola in un tempo ovattato dove tutto è armonioso, flautato, protettivo. Ma la mattina arriva sempre, e insieme a lei, puntuali, anche le suore, che si accorgono di questa relazione esclusiva e del potenziale di pericolosità che porta con sé. E se ne accorge anche Lu, la madre latitante, che infine rivendica a gran voce la custodia della bambina. Bella la metafora del velo da suora: man mano che il film avanza, Suor Paola lo indossa sempre meno, e la sua bellezza di donna fertile esplode nonostante la sobrietà dei suoi costumi e modi. Perché la giovane religiosa non è soltanto “in età da marito”: il suo corpo sarebbe pronto a una gravidanza in qualsiasi momento. Sua è la scelta, sua è la non scelta. Il film prodotto da Marta Donzelli e Gregorio Paonessa per VIVOfilm scardina equilibri faticosamente raggiunti: quelli di una giovane, piacente donna, lì lì per prendere i voti, cui è sufficiente sciogliere i capelli per rimandare all’immagine della Vergine Maria, sessuata e virginale insieme.

Margherita Coldesina

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