
Musetta da piccola
Quando anche Kiki morì, la domanda fu sempre la stessa: si può fare a meno di un gatto? Così un giorno, su insistenza della figlia, fece la sua entrata quel batuffolo di pelo che stava in una mano, glielo portò la colf da una nidiata di casa sua. Era ancora una tricolore, ma aveva il manto folto e dai peli così sottili che sparavano da tutte le parti come una vaporosa pelliccia, tanto che per molto tempo si pensò venuta al mondo da un incrocio con un maschio angora. La figlia ci rimase male quando anni dopo lesse sul passaporto sanitario: soriano a pelo corto! Ma come?

Musetta con la mamma
Era minuscola e bellissima, dagli occhi enormi anche per un gatto (le cui proporzioni con il muso, simili a quelle di un neonato, attirano proprio per questo sentimenti di affettività materna). Ma altrettanto decisa a conquistarsi la sua fetta di mondo. Appena raccolta si divincolava. Sul tappetto, da sola, non si mise a miagolare in cerca della mamma come avrebbe fatto qualsiasi altro micetto. Lasciando tutti sbalorditi, adocchiò immediatamente il divano e iniziò la sua rampicata, poi come se avesse avuto un metro per misurare le distanze, si piazzò nel centro esatto. Tanto per dire: tutti gli altri ridotti all’angolo, lei aveva deciso che da quel momento sarebbe stata la padrona e nessuno le avrebbe impedito di prendersi tutte le comodità. Così, in quel primo giorno, si accoccolò pacifica, regina e dominatrice, gatta alfa, indubbiamente, da piccola e, come sarebbe diventata, da grande.
Manuela Camponovo
(Seconda parte. 17. Continua)