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Nel Golfo dei Poeti, letteratura al mare

È una zona ventosa quella che si affaccia sul Golfo dei Poeti, a Lerici, in provincia di La Spezia – a pochi nodi dalle celeberrime Cinque Terre. La laguna letteraria per eccellenza deve il suo nome alla straordinaria concentrazione di artisti, scrittori e spiriti inquieti che nel corso dei secoli hanno trovato, tra le pieghe delle sue rocce arse, ispirazione, rifugio, disperazione e bellezza. Il 30 agosto 1910, in occasione dei funerali del medico e scrittore Paolo Mantegazza, fu il drammaturgo Sem Benelli a pronunciare per la prima volta quell’espressione – “Golfo dei Poeti”. «Beato te, o poeta della scienza, che riposi in pace nel Golfo dei Poeti. Beati voi, abitatori di questo Golfo, che avete trovato un uomo che accoglierà degnamente le ombre dei grandi visitatori». Benelli, che amava San Terenzo (a due passi da Lerici), si lasciò guidare dalla suggestione di una geografia frequentata dalle ombre dei grandi.

Da Dante Alighieri a Francesco Petrarca, da Mary Shelley a Lord Byron. Quindi Charles Dickens, George Sand, Henry James. Il Golfo dei Poeti, da Porto Venere a Lerici, da Tellaro a Fiascherino, non è da considerare un semplice tratto di costa, quanto un paesaggio letterario, di riposo ed ispirazione per tutti i grandi che l’hanno visitato. Anche Giacomo Casanova, provenendo via mare da Genova e diretto a Roma, volle sostare a Lerici nel 1762. Nel 1822, il poeta inglese Percy Shelley, con la moglie, già celebre per Frankenstein, trovò a San Terenzo la casa che chiamò sua “ultima”: Villa Magni. Una struttura semplice, cinta da rampicanti e ombre vegetali, affacciata sul mare. Il soggiorno è ricordato da una targa lurida su d’un palazzo bianco a volte appena ridipinto. Accompagnati da Edward Williams e da Claire Clairmont, sorellastra di Mary, abitarono qui quattro stanze.

In “Versi scritti nel Golfo di Lerici” Percy ha catturato l’essenza della laguna ligure, quasi fosse una amante: «Lei mi lasciò nell’ora silenziosa / quando la luna smette di ascendere / l’azzurro sentiero del cielo scosceso, / e come un albatro addormentato, / in equilibrio sulle sue ali di luce, / ondeggiava nella notte purpurea / prima di cercare il suo nido d’oceano / nelle dimore dell’ovest. / Lei mi lasciò, ed io rimasi solo / a pensare ad ogni melodia / che […] / il cuore incantato poteva udire, / come note che muoiono appena nate, / ma ancora dimorano negli echi della collina; […] / e così, benché fosse assente, / la memoria di lei tutto mi donava / quanto nemmeno la fantasia osa pretendere; / debole e docile la sua presenza aveva reso / ogni passione, ed io rimasi solo / nel tempo ch’era il nostro […]».

«Ma subito, scomparso l’angelo guardiano, / il demone riprese il suo trono / nel mio fragile cuore. Io non oso esprimere / i miei pensieri, ma così turbato e debole / mi sedetti e vidi le navi scivolare / sull’oceano vasto e splendente, / simili a carri dalle ali di spirito, inviati / sul più sereno elemento / per arcani e lontani sacerdozi […]. / E il vento che ali donava al loro volo / fresco e lieve giungeva dalla terra, / e il profumo dei fiori alati, / e la freschezza delle ore / di rugiada, e il dolce tepore lasciato dal giorno, / si spandevano sul golfo scintillante. / […] Troppo felici, quelli il cui appagato piacere / estingue ogni senso e il pensiero / del rimorso che il piacere lascia, / distruggendo solo la vita, non la pace!» (traduzione di Flavio Ferraro).

In giugno, Mary Shelly perse il suo quinto figlio, mentre il marito, già debilitato, soffriva di sonnambulismo. L’8 luglio 1822 egli salpò con l’Ariel verso Livorno per incontrare Byron e Leigh Hunt. Ma non fece mai ritorno: una tempesta lo travolse al largo. Il corpo fu ritrovato dieci giorni dopo. La tragedia di Shelly è raccontata sui muri secchi di questa coloratissima Liguria; è la prima tappa di una “passeggiata” – intitolata a Benelli – tra i più suadenti sentieri più letterari d’Italia. Un percorso che si snoda sul filo del mare, accanto a scogli affilati come lame, tra pini marittimi che s’inchinano alla laguna, il Lido bianco, l’acqua trasparente che riflette il cielo. Le case tipiche della zona, salvo gli hotel spuntati come funghi nei decenni, sono color corallo e crema. Spesse le persiane in legno e verniciate di verde che da San Terenzo s’affacciano su Lerici e il suo castello.

Nel settembre del 1822 Lord Byron giunse a Lerici. «Il mare mi fece subito rivivere – mangiai il pesce freddo dei marinai e bevvi un gallone di vino», scrisse. Arnold Böcklin, pittore basilese tardo romantico, vi passò le sue vacanze. Nel 1913 David Herbert Lawrence abitò a Fiascherino ed ospitò poeti e scrittori come Lascelles Abercrombie, Wilfrid Wilson Gibson e Robert Calverly Trevelyan. Nel 1933 Virginia Woolf soggiornò al Miramare, a due passi da Villa Magni. «Lerici è calda e azzurra. Dà il tocco della perfezione al Golfo», scrisse. Non fu l’unica, giacché anche la scrittrice inglese Emma Orczy vi si stabilì dal 1927 per sei anni, facendo costruire Villa La Padula. A Villa Scafari, tra Lerici e Fiascherino, lo scrittore Percy Lubbock creò un salotto letterario d’estate – tra i suoi ospiti, Edward Morgan Forster e Iris Origo. Ernest Hemingway ricordò il suo viaggio in uno dei suoi Quarantanove racconti.

Gli italiani non tardarono a rispondere al richiamo del Golfo. Gabriele D’Annunzio fu ospite di Villa Marigola, dove Benelli scriveva. Filippo Tommaso Marinetti lo definì “Golfo delle meraviglie”. Eugenio Montale dedicò a Tellaro la poesia “Verso Tellaro”. Qui visse Mario Soldati fino alla morte. A Fiascherino, Attilio Bertolucci trovò rifugio per molti anni. Non mancavano gli editori: Mario Spagnol e Valentino Bompiani sono ricordati su una pietra sopra la Venere azzurra. Seguendo la curva del golfo, respirare l’odore salmastro e vegetale, si concilia perfettamente con la funzione poetica, non sempre dichiarata, ma onnipresente. Per questo San Terenzo e Lerici possono essere dette la sesta e la settima delle Cinque Terre. Non per ragioni geografiche, ma per la densità emotiva e letteraria che le avvolge. Qui la scrittura è nata e rinata mille volte, sulle onde, tra le mani dei poeti. E nel silenzio di quelle dure e pesanti persiane liguri.

Amedeo Gasparini

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