Per lei, parlano i numeri. E una vita che è stata piena di tutto, anzi di più. A 91 anni, stroncata da un malore fra le pareti di casa sua a Milano, se n’è partita per l’aldilà Ornella Vanoni. In sintesi: 55 milioni di dischi venduti, successi “Senza fine” per dirla con il titolo della sua canzone-icona, scritta e tagliata su misura per lei da Gino Paoli, uno degli amori che l’ha segnata di più. Certamente più di Giorgio Strehler, che comunque le aveva insegnato a calcare e dominare la scena e molto di più di Lucio Ardenzi che – confidava senza perifrasi – avrebbe voluto lasciare prima di sposare e dal quale ha comunque avuto il figlio Cristiano, che a sua volta le ha regalato due nipoti (e questi le hanno dato un pieno affettivo importante). Si è espressa dalla canzone al teatro, alla televisione, sempre con grande personalità e anche un buon carisma: dal repertorio della “mala” è passata ad attraversare diversi pentagrammi, segnandoli con il sigillo della sua personalità. Innumerevoli i titoli dei suoi successi, ma alcuni vengono ancora canticchiati e/o fischiettati a distanza di anni, a partire dal motivo che l’ha proiettata nell’olimpo e le è rimasto addosso, con 4 parole che sono anche dati anagrafici del suo versatile carattere: “La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria”. Ma la riassumevano bene anche titoli come “Io ti darò di più”, “L’appuntamento”, “Domani è un altro giorno” e “La musica è finita”.
In questa intervista che mi rilasciò nel gennaio 2002 in occasione di un suo concerto a Lugano, ci sono alcuni tratti identitari di Ornella Vanoni.

Ornella Vanoni interpreta la canzone Ma come ho fatto, sigla del varietà televisivo L’appuntamento, condotto dalla stessa Vanoni affiancata da Walter Chiari (1973)
“Non ho paura di stancarmi per questo resto giovane”
Ha il talento della voce, ha classe, sa dosare fascino e mistero, non è comoda né accomodante. Tra gli atteggiamenti che detesta ci sono l’ipocrisia, le frasi scontate, i luoghi comuni. Ama l’originalità, la freschezza intellettuale, la vivacità critica. Non si tira indietro se c’è un confronto. Hanno scritto di lei che «emoziona senza cedere alla nostalgia»: Ornella si ritrova in questa definizione; le piace ma non la spiega. «È uno stato d’animo. Io non ho nostalgie».
Passano le stagioni, ma resta la grande freschezza di Ornella. Qual è la ricetta di questa giovinezza?
«Non ho paura di stancarmi, per questo rimango giovane».
È significativa, comunque, la longevità nel successo delle voci che hanno segnato molte pagine della canzone italiana: era più difficile affermarsi in passato o lo è di più oggi?
«Certamente è molto più difficile oggi, perché c’è tanta, tantissima gente che canta. Milioni di persone che cantano, milioni di persone che recitano, ballano, che fanno tutto. Arrivare all’affermazione, oggi, s’è fatto più difficoltoso. Occorre dire, però, che anche il successo rischia di essere veloce e che passa molto in fretta. È parecchio dura restare sulla cresta dell’onda. Ci vogliono una grande forza e soprattutto una notevole intelligenza. Ma è così dappertutto, in ogni lavoro. Non c’è un manager che fa carriera se non è intelligente e se non lavora. Sono richieste preparazione e professionalità, non ci si scappa».
Se potesse scegliere, tra passato e presente, che cosa preferirebbe?
«Non vivendo di nostalgie, la scelta è presto fatta. La vita che ho da vivere è quella di oggi, la devo prendere così com’è, cercando di difendermi da ciò che non mi piace. E sono tante le cose che non mi vanno».
Sono state spese molte definizioni su Ornella Vanoni. Lei come si definisce?
«Non mi piace definirmi, non spetta a me. Tocca agli altri. Mi definisca lei».
Quali sono i momenti o gli eventi che hanno contato di più nella sua carriera?
«Tutti i miei grandi incontri, da Gino Paoli a Toquinho, dai jazzisti a Vinicius De Moraes».
Se dovesse fare l’esaminatrice, che voto darebbe ai testi delle canzoni d’oggi?
«Non lo darei. Ci sono canzoni bellissime e altre bruttissime. Non posso dare un voto globale. Ci sono testi straordinari e altri da buttare. Come sempre. Sarebbe la stessa cosa se chiedessero a un regista un giudizio sul cinema d’oggi».
Chi stima di più fra le sue colleghe?
«Carmen Consoli».
E fra i suoi colleghi?
«Della generazione mia, Lucio Dalla. Della nouvelle vague, non mi viene in mente nessuno in questo momento».
Dei valori quali preferisce? E nei disvalori, quali ci mette?
«A me piace la gente che ha etica e un grande cuore. Il resto non mi interessa».
Quale critica l’ha particolarmente ferita?
«Le critiche superficiali, scontate e gratuite».
Che cosa, a suo giudizio, può far sperare nel meglio?
«La speranza. Ma la speranza non è sentimento vuoto: è un sentimento d’azione. Per me la speranza è lavorare su se stessi per migliorarsi».
Lei è più ottimista o più incline al pessimismo?
«A metà. Dipende».
Se c’è qualcosa che le dà gioia, che cos’è?
«I miei nipoti. I miei amici. E cantare, naturalmente: è il mio mestiere e mi piace».
Motivi di paura: dove ne vede?
«Le banche svizzere. Ultimamente mi fanno paura tutte le banche. La ragione in più è che tutti vanno in Svizzera a mettere i loro soldi».
Ma lei non ce li metterebbe?
«Non lo so».

Ornella Vanoni interpreta la Sniza nello sceneggiato Il mulino del Po (1971)
“Troppi oggi vogliono il successo senza sacrifici”
Come vorrebbe che fosse il domani?
«Anche come oggi, potrebbe andar bene, per quanto mi riguarda. Oggi, oggi: nel mio istante. Non posso pensare a come va il mondo. Non sono mica Dio».
A una ragazza che volesse fare la cantante, che consigli darebbe?
«Di lavorare sodo. La gente non vuole più lavorare, sodo. Non si vuole più sacrificare. Vuole il successo immediato. E non succede. È come la new economy: ha rovinato il mondo. Stiamo andando troppo veloci e a volte si ha la sensazione di non sapere verso quale destinazione».
Ornella Vanoni e la globalizzazione. Come la vede?
«Per bloccarla, bisognerebbe agire sulla notizia televisiva che andrà in tempo reale in tutto il mondo. Se non si blocca quella, è impossibile fermare la globalizzazione, è una pretesa assurda. Scusate, ma come si fa a parlare di antiglobalizzazione, avendo in tutto il mondo le stesse immagini, in simultanea? Impossibile. Tutti brontolano perché ci sono le guerre: poverini qua, poverini là. Basterebbe che l’Europa decidesse di stare al freddo per un anno e le guerre si interromperebbero istantaneamente. La globalizzazione, rendiamocene conto, è fatta da un’informazione omogeneizzata».
Come si esce dal tunnel?
«Ah, non lo so. Non sono la propietaria della CNN. E poi, comunque, personalmente seguo poco la televisione. I palinsesti sono fatti di programmi preoccupati e preoccupanti, di negatività, di guerre, violenze, spaventi. È evidente che i potenti desiderano un mondo impaurito piuttosto che un mondo di buon umore. Ma chi dà buone notizie oggi? Chi cerca la positività negli avvenimenti? Chi si sforza di accendere una luce?».

Ornella Vanoni nel 2007
“Niente concessioni alla nostalgia, recuperiamo un po’ di memoria”
La felicità, secondo lei, è un traguardo raggiungibile o bisogna rassegnarsi a infinite, estenuanti rincorse?
«È una cosa che si conquista con immensa difficoltà. La felicità è un lavoro. Poi, che cos’è la felicità? Lei vede in giro gente felice? Ma non è mai stata felice la gente. La condizione della felicità è una vetta che si conquista con un cammino molto complesso e arduo. La felicità non è avere quattro auto e mangiare due polli al giorno. La felicità è uno stato d’animo interiore, solo interiore. Non è esteriore, la felicità».
Infine, il suo concerto di questo tour appena cominciato e che ha già raccolto consensi di pubblico e di critica…
«Non dico niente prima, non mi piace. Preferisco un invito: venite e ascoltate, se vi piace o no. Secondo me, vi divertirete molto».
L’itinerario della Vanoni, che ha debuttato a Venezia e che ora attraverserà l’Italia, con lo sconfinamento a Lugano, ha per titolo quello del suo più recente album, «E poi la tua bocca da baciare» e si collega con «Un panino, una birra e poi». La Vanoni propone pezzi classici suoi, i suoi capolavori, da «Domani è un altro giorno» a «Non andare via».
Lasciamo la conclusione alla diretta interessata: «È un tuffo negli anni ’60 e ’70. Tutto il mondo sta tornando a quegli anni: la moda, la musica, i grandi cantanti. Tutto, tutto. Spiegazione? Non si può andare sempre avanti, senza mai guardarsi indietro. Non è il caso di indulgere alla nostalgia, e io non lo faccio: ma si tratta di recuperare un po’ di memoria. Abbiamo corso troppo in questi ultimi vent’anni. Tutto il mondo ha corso troppo e adesso la sta pagando. È un’occasione ed è un invito alla generazioni nuove di pensare un po’ di più. Dopo l’11 settembre 2001, forse bisogna pensare, mentre per vent’anni ci si è illusi che il mondo fosse la valle dell’Eden. E non lo è».
Giuseppe Zois