Un mondo nuovo tutti i giorni (Solferino 2025) di Paolo Di Paolo ripercorre in poche pagine tratti della biografia del giovane intellettuale torinese Piero Gobetti. Che aveva solo ventiquattro anni quando morì, eppure in quel tempo così breve aveva già dato vita a tre riviste, scritto saggi di politica, teatro, letteratura e arte, fondato una casa editrice che pubblicò la prima edizione degli Ossi di seppia di Eugenio Montale. Già prima dell’assassinio di Giacomo Matteotti, Piero Gobetti aveva avuto il coraggio di smascherare la pericolosa demagogia del Fascismo e l’uso sistematico della violenza come strumento politico. La sua opposizione frontale a Benito Mussolini fu tale che il Duce ordinò al prefetto di Torino di rendere la vita impossibile al giovane dissidente. Una lotta che condusse al fianco di Ada Prospero, la ragazza che sposò, portando avanti le medesime battaglie. Cioè la resistenza antifascista, l’educazione, la diffusione della cultura.
Nonostante la giovane età, Gobetti era pieno di progetti e una visione culturale autenticamente europea. Alto e magro, così lo ricorda Carlo Levi, suo coetaneo, che volle incontrarlo attratto dalla sua fama di intellettuale e organizzatore culturale. Gobetti s’imponeva un ritmo frenetico, determinato a bruciare le tappe, ricorda Di Paolo. Non sprecare nemmeno un minuto: un’ossessione. Guardava con irritazione i coetanei che si rincorrevano sulle spiagge, mentre lui studiava i testi di economia politica di Vilfredo Pareto. Per Gobetti ogni giornata doveva avere un senso, un compimento. Realizzare un’opera. Raggiungere obiettivi precisi. Come Cesare Pavese dopo di lui, Gobetti sembrava ossessionato dalla necessità di raggiungere al più presto la maturità intellettuale. Durante una sosta alla stazione di Genova, nel suo viaggio verso Parigi, ricevette la visita di Montale. «Le sue poesie mi piacciono» gli aveva scritto. Una giovinezza vibrante. Eppure, costretta, frutto di un’educazione solitaria e frammentaria.
Un uomo di straordinaria determinazione, Piero Gobetti. Con La filosofia politica di Vittorio Alfieri – stampato in trecento copie nel 1922 – iniziò la sua avventura editoriale. Si trattava dell’adattamento della tesi di laurea discussa con il professor Gioele Solari. «Non si è uomini se non si è liberi. Non si tratta di conquistare la libertà per mezzo delle riforme o attraverso l’utilitarismo dei moderati e dei filantropi». Di Paolo descrive Gobetti come un pensatore precocissimo, giovane direttore di riviste, polemista che criticava i costumi del suo tempo, critico teatrale appassionato, lettore attento e partecipe dei classici, studioso d’arte. Nel dialogo continuo, anche epistolare, con Ada, Gobetti cercava una sintesi tra passioni intellettuali e quello che lui stesso definiva «l’ansia degli affetti». Nel 1923 Ada e Piero si sposarono a Torino. Durante il viaggio di nozze attraverso l’Italia, Piero ne approfittò per incontrare amici, collaboratori e potenziali sostenitori della sua impresa editoriale.
Fu proprio con l’assassinio di Matteotti, nel 1924, che l’opposizione di Gobetti al regime divenne fascista ancora più radicale. Matteotti rappresentava per lui molto più di un semplice oppositore: era un modello esistenziale da seguire. Da quel momento la sua attività intellettuale divenne molto complicata. La sua rivista veniva sequestrata regolarmente, la tipografia che la stampava subiva minacce e fu persino incendiata. La Rivoluzione Liberale fu costretta a chiudere per “attività antinazionale”. Il lavoro proseguì sulla rivista più letteraria, Il Baretti, fondato nel 1924. A Luigi Einaudi aveva scritto chiedendogli di dare un’occhiata ai primi numeri di Energie Nove, un’altra delle sue pubblicazioni. Nel 1926 Piero si trovava al numero 31 di rue des Écoles a Parigi. Furono giorni difficili, di freddo e malattia. I medici gli consigliarono il ricovero in clinica, ma lui rifiutò. I problemi cardiaci sembravano essersi aggravati dopo il pestaggio in Italia.
Ricorda Di Paolo: «Nella tua breve esistenza c’è stato tanto ardore, tanto lavoro, tanta gioia, da farla più ricca e felice di tante altre lunghissime vite: e non c’è stato in essa nulla di laido, di imperfetto, di malsicuro. È stata tutta luce: parabola breve, dall’intensità luminosissima». Gobetti morì senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Ada, dopo qualche tempo, si risposò con Ettore Marchesini, uno dei fondatori del Partito d’Azione e partecipò alla lotta partigiana. Scrisse anche l’intenso Diario partigiano. Di Paolo ricorda che Albert Camus insisteva nel delineare la figura dell’artista-cittadino. Né asservito né bugiardo, un dispensatore non di certezze, ma di dubbi fecondi. Uno che si rifiutava di dire agli altri come dovessero pensare, ma chiariva e onestà i propri sì e no. Questa era la rivoluzione intransigente di Gobetti. Che avrebbe potuto, avrebbe dovuto crescere, maturare, invecchiare. Il Fascismo glielo impedì.
Amedeo Gasparini
Un mondo nuovo tutti i giorni (Solferino 2025) di Paolo Di Paolo ripercorre in poche pagine tratti della biografia del giovane intellettuale torinese Piero Gobetti. Che aveva solo ventiquattro anni quando morì, eppure in quel tempo così breve aveva già dato vita a tre riviste, scritto saggi di politica, teatro, letteratura e arte, fondato una casa editrice che pubblicò la prima edizione degli Ossi di seppia di Eugenio Montale. Già prima dell’assassinio di Giacomo Matteotti, Piero Gobetti aveva avuto il coraggio di smascherare la pericolosa demagogia del Fascismo e l’uso sistematico della violenza come strumento politico. La sua opposizione frontale a Benito Mussolini fu tale che il Duce ordinò al prefetto di Torino di rendere la vita impossibile al giovane dissidente. Una lotta che condusse al fianco di Ada Prospero, la ragazza che sposò, portando avanti le medesime battaglie. Cioè la resistenza antifascista, l’educazione, la diffusione della cultura.
Nonostante la giovane età, Gobetti era pieno di progetti e una visione culturale autenticamente europea. Alto e magro, così lo ricorda Carlo Levi, suo coetaneo, che volle incontrarlo attratto dalla sua fama di intellettuale e organizzatore culturale. Gobetti s’imponeva un ritmo frenetico, determinato a bruciare le tappe, ricorda Di Paolo. Non sprecare nemmeno un minuto: un’ossessione. Guardava con irritazione i coetanei che si rincorrevano sulle spiagge, mentre lui studiava i testi di economia politica di Vilfredo Pareto. Per Gobetti ogni giornata doveva avere un senso, un compimento. Realizzare un’opera. Raggiungere obiettivi precisi. Come Cesare Pavese dopo di lui, Gobetti sembrava ossessionato dalla necessità di raggiungere al più presto la maturità intellettuale. Durante una sosta alla stazione di Genova, nel suo viaggio verso Parigi, ricevette la visita di Montale. «Le sue poesie mi piacciono» gli aveva scritto. Una giovinezza vibrante. Eppure, costretta, frutto di un’educazione solitaria e frammentaria.
Un uomo di straordinaria determinazione, Piero Gobetti. Con La filosofia politica di Vittorio Alfieri – stampato in trecento copie nel 1922 – iniziò la sua avventura editoriale. Si trattava dell’adattamento della tesi di laurea discussa con il professor Gioele Solari. «Non si è uomini se non si è liberi. Non si tratta di conquistare la libertà per mezzo delle riforme o attraverso l’utilitarismo dei moderati e dei filantropi». Di Paolo descrive Gobetti come un pensatore precocissimo, giovane direttore di riviste, polemista che criticava i costumi del suo tempo, critico teatrale appassionato, lettore attento e partecipe dei classici, studioso d’arte. Nel dialogo continuo, anche epistolare, con Ada, Gobetti cercava una sintesi tra passioni intellettuali e quello che lui stesso definiva «l’ansia degli affetti». Nel 1923 Ada e Piero si sposarono a Torino. Durante il viaggio di nozze attraverso l’Italia, Piero ne approfittò per incontrare amici, collaboratori e potenziali sostenitori della sua impresa editoriale.
Fu proprio con l’assassinio di Matteotti, nel 1924, che l’opposizione di Gobetti al regime divenne fascista ancora più radicale. Matteotti rappresentava per lui molto più di un semplice oppositore: era un modello esistenziale da seguire. Da quel momento la sua attività intellettuale divenne molto complicata. La sua rivista veniva sequestrata regolarmente, la tipografia che la stampava subiva minacce e fu persino incendiata. La Rivoluzione Liberale fu costretta a chiudere per “attività antinazionale”. Il lavoro proseguì sulla rivista più letteraria, Il Baretti, fondato nel 1924. A Luigi Einaudi aveva scritto chiedendogli di dare un’occhiata ai primi numeri di Energie Nove, un’altra delle sue pubblicazioni. Nel 1926 Piero si trovava al numero 31 di rue des Écoles a Parigi. Furono giorni difficili, di freddo e malattia. I medici gli consigliarono il ricovero in clinica, ma lui rifiutò. I problemi cardiaci sembravano essersi aggravati dopo il pestaggio in Italia.
Ricorda Di Paolo: «Nella tua breve esistenza c’è stato tanto ardore, tanto lavoro, tanta gioia, da farla più ricca e felice di tante altre lunghissime vite: e non c’è stato in essa nulla di laido, di imperfetto, di malsicuro. È stata tutta luce: parabola breve, dall’intensità luminosissima». Gobetti morì senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Ada, dopo qualche tempo, si risposò con Ettore Marchesini, uno dei fondatori del Partito d’Azione e partecipò alla lotta partigiana. Scrisse anche l’intenso Diario partigiano. Di Paolo ricorda che Albert Camus insisteva nel delineare la figura dell’artista-cittadino. Né asservito né bugiardo, un dispensatore non di certezze, ma di dubbi fecondi. Uno che si rifiutava di dire agli altri come dovessero pensare, ma chiariva e onestà i propri sì e no. Questa era la rivoluzione intransigente di Gobetti. Che avrebbe potuto, avrebbe dovuto crescere, maturare, invecchiare. Il Fascismo glielo impedì.
Amedeo Gasparini