Commento

Pietroburgo: troppo potere, troppa arte, letteratura e storia

Pietroburgo (Paesi Edizioni 2025) di Anna Zafesova inaugura la collana “Città geopolitiche”, una serie – come spiega Lucio Tirinnanzi nell’introduzione – composta da reportage narrativi e saggi letterari che esplorano le città geopolitiche globali. Centri emblematici della nostra contemporaneità, la cui rilevanza e rete di connessioni sono cresciute al punto da renderle oggi fondamentali. «Troppa arte, troppa letteratura, troppo potere, troppa storia»: è questa la sintesi dell’ex capitale imperiale russa. Zafesova apre il suo racconto evocando l’aura imperiale che ancora avvolge Pietroburgo. Dopo la caduta del Comunismo, la città sembrava voler regolare i conti con Mosca. Ma forse non è possibile, giacché la città è un corpo estraneo nel contesto russo, sostiene l’autrice. Un tentativo ambizioso di guidare l’impero con la razionalità dell’Occidente, in un Paese segnato da quella che Iosif Brodskij chiamava “xenofobia uterina”. La Russia moderna, secondo Zafesova, prende forma a Pietroburgo e da lì ha origine.

«Non è il cuore della Russia, meno che mai la sua pancia; è il cervello». Nel 1924 fu ribattezzata Leningrado: un omaggio al leader della rivoluzione, figura fondativa del mito sovietico tanto quanto Pietro il Grande lo fu per l’impero. Fu Lenin, infatti, a privare la città del suo ruolo di capitale, trasferendo il potere a Mosca. Con il crollo dell’URSS, nel 1991, un referendum le restituì il nome originario, Pietroburgo. Un gesto simbolico per voltare pagina e riscoprire l’eredità imperiale. È la città di Vladimir Putin. Ma anche di Nicola II, Cagliostro, Fëdor Dostoevskij ed Evgenij Prigožin, solo alcuni tra navigatori, rivoluzionari, scienziati, avventurieri, poeti, sovrani, riformatori, terroristi, architetti, spie, santi, rockstar e filosofi. «Non so se esista al mondo un’altra vista che possa essere paragonata al panorama che si aprì davanti ai miei occhi», scriveva Alexandre Dumas parlando della città maestosa, ricca di palazzi eleganti, chiese sontuose.

Nel 1914, durante la Grande Guerra, Pietroburgo fu ribattezzata Pietrogrado: un tentativo dei Romanov di prendere le distanze dalle proprie origini tedesche. Pensata come un ponte tra Europa e Asia, cosmopolita e multilingue, la città colpì anche Giacomo Casanova, che la visitò e osservò come i suoi abitanti fossero considerati stranieri dagli altri russi. La Russia è Occidente, decide Pietro il Grande. E Pietroburgo deve essere una finestra sull’Europa. «Da allora, “europeo” sarà sempre, per i liberali che guardano oltre confine come per i nostalgici dei “valori tradizionali”, sinonimo di qualità superiore», commenta l’autrice. Lo stesso Putin, nel 2000, affermava che «la Russia è un Paese europeo, prima di tutto per cultura e mentalità». Come osserva Zafesova, il potere raramente si trasforma in modo pacifico e ordinato. Alessandro III ci riuscì, pur sopravvivendo a numerosi attentati, mentre il figlio, Nicola II, finirà vittima del celebre “zaricidio”.

Da polacco infuriato con l’impero russo per la repressione nella sua patria, Adam Mickiewicz lanciò su Pietroburgo una maledizione che riecheggia quelle degli intellettuali ucraini oggi: «Roma fu fondata da mano umana, Venezia dagli dei, ma […] Pietroburgo è stata eretta da satana». Scrive Zafesova: «La grandeur e la bellezza sono la cifra di Pietroburgo, indubbiamente la città esteticamente più bella della Russia, e la meno mutilata dal socialismo, costretto a venire a patti con i suoi nemici nell’impossibilità di estirpare gli zar e i loro cortigiani, architetti, musicisti e ballerini. Mosca lascia perdere la sua concorrente ormai sconfitta». Oggi, ricorda l’autrice, dopo l’invasione dell’Ucraina, la seconda capitale russa è teatro di repressione. Nell’ex capitale si respira il peso della storia, ma si può anche godere dell’arte nei musei, assaporare la torta Leningradsky nel caffè Sever, curiosare nelle librerie antiquarie e seguire l’evoluzione artistica underground.

Amedeo Gasparini

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