Commento

Resistenza, una lunga storia dell’antifascismo in Italia

Simona Colarizi racconta la storia dell’antifascismo in Italia dal 1919 al 1945: il suo La resistenza lunga (Laterza 2023) ripercorre fatti e personaggi della lotta contro la dittatura. Nel libro vengono affrontati temi politici (la DC non aveva alcun interesse a riaprire questa pagina) e religiosi (l’appoggio della Chiesa al fascismo ha influenzato la storiografia sull’antifascismo cattolico). Colarizi sottolinea che il fattore internazionale rimane una chiave di lettura essenziale per interpretare la storia dell’antifascismo. L’autrice evidenzia l’arrendevolezza nei confronti degli squadristi da parte di coloro che operavano in nome dello Stato dopo la Grande Guerra. Sussisteva, però il demonizzare di fronte all’opinione pubblica l’antifascismo. «I comunisti, poi, non potevano tollerare la concorrenza nella lotta al fascismo di chi predicava la rivoluzione come libertà del gesto rivoluzionario individuale», scrive. E l’anarchismo era per i partiti comunisti il più insidioso nemico da abbattere.

Come osservava Antonio Gramsci nel 1921, Benito Mussolini era il «figlio spirituale di Giovanni Giolitti». Un concetto espresso anche da Amadeo Bordiga, che definiva il fascismo «il precipitato ultimo della politica di difesa della classe borghese». O «l’ala marciante della democrazia», insomma «una finzione». «Con queste premesse», scrive Colarizi, «è logico che l’unica strada per battere il fascismo stava nel rovesciamento dello Stato liberale, cioè la rivoluzione proletaria, escludendo qualsiasi ipotesi di mediazione con gli esponenti del liberalismo, della democrazia e del popolarismo». L’ostilità dei fascisti nei confronti dei popolari era già emersa nel programma mussoliniano del 1919, impregnato di uno spirito trasgressivo, futurista, anticlericale. Il consenso che Mussolini aveva accumulato era così significativo che la Chiesa lo aveva scelto come interlocutore privilegiato per risolvere la questione romana. Gaetano Salvemini fu uno dei primi a interpretare il fascismo come una forma di giolittismo, una lettura condivisa da Piero Gobetti.

Il quale scrisse dopo la marcia su Roma: «dittatura per dittatura, preferisco quella di Mussolini a quella di Giolitti per quanto ammantata da forme costituzionali e di democrazia parlamentare». D’altra parte, Benedetto Croce aveva sperato che questa interpretazione infondesse nuovo slancio vitale al liberalismo. Il capitolo sul crollo dello Stato liberale, dal 1922 al 1926, ripercorre il fatto che la maggioranza delle élite era rimasta nelle posizioni di potere che già occupava – università, esercito, industrie, banche. Ci fu poi il caso di Giacomo Matteotti. Allora si discuteva la possibilità di sostituire Mussolini con Giolitti. Scrive Colarizi: «Gli antifascisti non sbagliavano la diagnosi, perché in effetti il duce appariva alle corde; ma sottovalutavano lo squadrismo, che non aveva alcuna intenzione di deporre le armi e di arrendersi alle opposizioni contro le quali nelle province continuavano le aggressioni e le minacce».

Si giunge al manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile, filosofo e ministro dell’Istruzione, pubblicato sul Popolo d’Italia il 21 aprile 1925. Seguendo Mussolini, il fascismo non era solo olio di ricino e manganello. Era un movimento patriottico che difendeva la nazione risorgimentale. L’obiettivo era superare gli odi di classe per la riconciliazione degli italiani. Croce scrisse un testo pubblicato il 1° maggio sul Mondo intitolato “La protesta contro il manifesto degli intellettuali fascisti”. Qui il filosofo partenopeo non negava le simpatie suscitate dal fascismo tra i liberali. Manteneva altresì un tono moderato. Il suo manifesto venne firmato da decine di esponenti tra i liberaldemocratici, tra cui Sibilla Aleramo, Eugenio Montale e Gaetano Mosca. Mussolini si era fatto approvare dalla Camera una riforma elettorale per passare dal sistema proporzionale all’uninominale, come chiedevano i liberali. Ogni opposizione veniva così frenata – fallirono gli attentati di Violet Gibson e Anteo Zamboni.

La prima Resistenza si organizzava come poteva, allorquando si chiudeva loro la porta del legislativo e si spalancavano quelle della coercizione fascista. Per cercare di fermare l’emorragia di militanti Pietro Nenni aveva invece intensificato i contatti con Filippo Turati. Poi fu il turno delle “leggi fascistissime”. L’Ovra terrorizzava tutti. Fu inaugurato dunque un decennio (1926-1935) di esilio, resistenza e lotta clandestina della resistenza antifascista. Gli antifascisti esiliati, ricorda Colarizi, erano circa 25 mila, ai quali andavano aggiunti i parenti al seguito. Di questi 25 mila solo 15 mila erano attivi all’estero. Ginevra, Basilea, Zurigo e Lugano erano i centri dell’intensa attività antifascista. A Parigi si esiliarono Carlo Rosselli e Gobetti. I Patti Lateranensi e il Concordato avevano suscitato un’ondata anticlericale incontenibile. Don Luigi Sturzo fuggi a Londra, dunque a New York.

In questo clima, nel 1933 Lelio Basso profetizzava che «il Fascismo durerà». Per gli italiani era «ormai un’abitudine». Tanto più che i concetti di liberalismo e democrazia apparivano vuoti di senso. I fascisti fedeli al nuovo culto lanciavano una vera e propria sfida al mondo della cultura liberale di Croce. Protetto dalla fama internazionale, il filosofo restava intoccabile. Pur contrario al regime. Dal 1935 al 1943 il libro si concentra sulle guerre fasciste. Il consolidarsi del totalitarismo chiudeva la stagione dell’antifascismo. Già nel 1911 l’Italia s’era data all’avventura in Libia. Il colpo grosso fu l’Etiopia. Mussolini si sentiva il novello Scipione l’Africano. La guerra diventava il terreno per sviluppare il razzismo che avrebbe portato alle leggi razziali. A casa, il fascismo era riuscito a fanatizzare anche la gioventù operaia che non manifestava alcuna avversione alla guerra, così come non si registravano malumori tra i soldati in partenza.

Nel maggio 1936 la vittoria in Etiopia segnò l’apice del consenso al fascismo. E di contro, fu il momento più sconfortante per gli antifascisti e della resistenza. La vittoria franchista nella guerra civile spagnola e la morte di Carlo e Nello Rosselli sfiduciarono ancora di più l’antifascismo. Nel 1938, l’umiliazione della Cecoslovacchia e il consolidamento dell’Asse Roma-Berlino l’anno successivo. Va notato che l’amicizia con la Germania nazista aveva lasciato indifferenti coloro che ancora ricordavano i tedeschi come avversari dell’Italia nella Grande Guerra. Tuttavia, ora preoccupava la prospettiva di un’altra guerra devastante. Il fascismo si omologò al nazismo, coinvolgendo anche docenti universitari, tra cui i firmatari del “Manifesto degli scienziati razzisti”. La prospettiva di una guerra lampo spinse Mussolini – che sognava una guerra a fianco della Germania – sul campo di battaglia.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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