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Rinascita ed epopea di Alphonse Mucha a Palazzo Savarin

Sulla Na Příkopě, nel centro di Praga, tra i palazzi barocchi ci si imbatte nell’arte di Alphonse Mucha senza nemmeno accorgersene. Nelle riproduzioni appese alle pareti dei caffè, sui manifesti pubblicitari che ne riprendono lo stile, nelle decorazioni dei negozi di souvenir … Ma per incontrare davvero questo artista straordinario, versatile per capire l’uomo dietro alle sinuose figure femminili e agli ornamenti floreali che hanno definito l’Art Nouveau e il suo vasto immaginario a livello mondiale, bisogna varcare la soglia del nuovo Museo Mucha a Palazzo Savarin. Qui Mucha non è solo lo stile che porta il suo nome – “le style Mucha”, rigorosamente in francese! – quanto l’artista visionario, il patriota, il pubblicitario, l’esteta, il disegnatore. Che vedeva nell’arte lo strumento di progresso umano. Palazzo Savarin stesso è un pezzo di storia ed esempio notevole di architettura barocca praghese del XVIII secolo.

Per lungo tempo sottoutilizzato, l’edificio è oggi oggetto di un importante progetto di restauro architettonico volto a restituirgli la sua dignità storica. L’allestimento al primo piano del Museo Mucha, firmato dall’architetta Eva Jiřičná, riesce nel compito di coniugare leggerezza moderna e profondità storica, creando uno spazio espositivo e un percorso coerente e immersivo. Questo è l’unico museo al mondo approvato dalla Mucha Foundation e dalla famiglia. Il percorso espositivo, articolato in quattro sezioni, presenta oltre ottanta opere dalla Mucha Family Collection, inclusi pezzi mai esposti al pubblico prima d’ora. Nella prima sala, che tratta Alphonse Mucha e le sue origini, si ripercorrono gli inizi in Moravia, dove nacque nel 1860, in un contesto provinciale che seppe alimentare in lui un sentimento nazionale e un legame con le radici slave. Qui troviamo anche le sue prime influenze, legate alla religiosità e al simbolismo – ripreso poi nell’ultima parte della sua vita.

Un autoritratto giovanile in matita blu, scene di contadini e campagna, dunque di castelli, elemento fondamentale dei siti moravi. Esposte anche alcune lettere e collaborazioni grafiche iniziali, quando il Nostro collaborava per un magazine satirico. La seconda sezione, la sala rosa – certamente la più affascinante dell’esposizione per la sua delicatezza, gusto e scenografia – è dedicata allo stile Mucha e all’Art Nouveau. A Parigi, tra il 1890 e il 1900, l’artista “esplose” con i suoi manifesti teatrali. Partecipò anche al Salon de Cent, organizzato dal poeta Léon Deschamps, che includeva anche Eugène Grasset, Henri de Toulouse-Lautrec e Georges de Feure. Pubblicità elegante e raffinata per tutti: le sigarette JOB, lo champagne Moët & Chandon, i biscotti LU. Si ha l’impressione, osservando queste stampe originali, tra i colori e i motivi, di tornare indietro di centotrent’anni … Quasi a vivere in un sogno: il sogno di Mucha.

Sempre nella capitale francese, Mucha legò il proprio nome alla celeberrima attrice Sarah Bernhardt – la “divine Sarah”. La loro collaborazione iniziò casualmente la Vigilia di Natale del 1894, quando Mucha stava correggendo delle bozze in una tipografia e la Bernhardt chiamò con urgenza per richiedere un nuovo manifesto per la produzione di “Gismonde”. Tutti gli artisti erano in vacanza, così il tipografo si rivolse a Mucha. Lei rimase così soddisfatta del risultato che gli offrì un contratto di sei anni per produrre scenografie, costumi e altri manifesti. La loro collaborazione segnò l’inizio di un nuovo linguaggio visivo: corpi allungati, elementi floreali, volute ornamentali, colori attenuati. Seguirono “Lorenzaccio” e “Médée” che lo consacrarono in pochi mesi. I manifesti di Mucha erano così popolari che venivano rubati in massa quando erano affissi sui muri e sui tabelloni pubblicitari di Parigi.

Ma in questa sezione del museo si trovano anche illustrazioni per calendari, etichette, decorazioni murali, oggetti d’uso quotidiano. Importanti i quattro cicli con quattro donne-dee ciascuno. Il primo ciclo è quello delle arti; poi quello delle stagioni; dunque, quello delle quattro fasi del giorno; infine, quello delle fasi della notte. Esposti anche gli oggetti che legavano l’artista alla massoneria del Grande Oriente di Francia – proibita in Boemia dagli Asburgo alla fine del XVIII secolo. Nella sezione “Mucha il visionario”, il visitatore scopre l’uomo dietro lo stile. L’artista che a poco a poco decise di dedicarsi a un progetto più ampio: un’arte che fosse strumento di elevazione spirituale. Nel 1904, quando Mucha visitò gli Stati Uniti, fu acclamato come il più grande artista decorativo del mondo. Incontrò anche un uomo d’affari, Charles Crane, già sponsor dei viaggi “politici” del futuro fondatore dello Stato Cecoslovacco Tomáš G. Masaryk.

L’ultima sala è dominata dall’imponente “L’epopea slava” che ripercorre la monumentale serie di venti tele dedicate alla storia dei popoli slavi. Anche se le opere originali sono conservate nel castello di Moravský Krumlov, a duecento chilometri da Praga, al museo viene resa un’interpretazione fedele. Questo lavoro è l’apice della visione grandiosa e utopica di Mucha. Non più solo decorazione, ma un grande racconto identitario e umanista – l’autore avrebbe poi disegnato le banconote della nuova Repubblica Cecoslovacca. La serie fu donata alla città di Praga nel 1929. Dopo la morte di Mucha dieci anni dopo, il lavoro fu nascosto prima dai nazisti e poi dai comunisti. In mostra si trovano dipinti, manifesti, disegni, libri e fotografie, insieme a proiezioni immersive e digitali. Non mancano dettagli più intimi: fotografie scattate da Mucha stesso – anche abile fotografo. Quindi oggetti personali, lettere, documenti, che danno corpo alla figura pubblica – senza essere eccessivamente celebrativo.

La presenza della Mucha Foundation e della famiglia Mucha è tangibile. Fondata nel 1992 dal figlio Jiří Mucha e oggi diretta dal pronipote Marcus Mucha, la Fondazione preserva un’eredità che rischiava la dispersione, curando mostre in tutto il mondo e promuovendo nuove interpretazioni. Con l’apertura del museo a Palazzo Savarin, si completa un cerchio e l’opera di Mucha ritorna nel centro simbolico del Paese che lo ha visto nascere e soffrire. Sì, soffrire. Perché la storia personale di Alphonse Mucha si conclude in un momento tragico. Nel 1939, con l’invasione nazista della Cecoslovacchia, fu tra i primi a essere arrestato e interrogato dalla Gestapo. Colpito duramente nel fisico e nello spirito, morì pochi mesi dopo, il 14 luglio. Ai suoi funerali, nonostante i nazisti avessero ordinato che potessero partecipare solo i familiari, parteciparono centomila cechi. Un gesto spontaneo che confermava quanto Mucha fosse percepito dal suo popolo.

I lavori di Mucha influenzano il cinema, la moda, la grafica. Persino i tatuaggi, l’arte manga e la street art. Ma ciò che si respira nel museo non è nostalgia, quanto un ritorno a un’idea di arte al servizio di qualcosa di più grande: la memoria, l’ideale. Va notato, infine, che esiste anche un altro Mucha Museum a Praga, in Panská 7 dal 1998. Che espone originali di Mucha ed è più piccolo e focalizzato sui manifesti parigini. Il museo a Palazzo Savarin rappresenta invece una visione più ampia dell’eredità artistica di Mucha. Visitare questo museo non significa solo ammirare delle opere, quanto comprendere il contesto che le ha generate, l’uomo che le ha pensate e il tempo che le ha trasformate in patrimonio collettivo. Alphonse Mucha continuerà a godere di una fama internazionale, ben al di là della nomea da “artista di manifesti”, perché egli fu un visionario completo.

Amedeo Gasparini

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