I viaggi di Manuela

Ritorno nel Molise (Campobasso)

Non dirmi quanti anni hai, o quanto sei educato e colto, dimmi dove hai viaggiato e che cosa sai. (Maometto)

Non di soli luoghi lontani, esotici o gettonati dovrebbe vivere il vero viaggiatore. Ogni tanto è salutare recarsi in geografie più domestiche ma che, con l’andazzo dei tempi, finiscono per essere le più sconosciute o dimenticate. Forse una delle regioni d’Italia meno frequentate dal turismo è il Molise, dove ero stata molti anni or sono. Ho quindi deciso di tornarci, convinta alla partenza che la responsabilità maggiore sia dello snobismo imperante in questo campo, per cui non fa molto chic nei confronti degli amici, dovendo rispondere alla domanda: “dove sei stato di bello in vacanza?”, “nel Molise”! Guardate un po’ come suona… Eppure…
Intanto, se si parte in treno sembra più lontano di molte città europee, da Lugano ho cambiato a Milano e poi a Roma, attraverso la campagna ancora brulla, e parchi e montagne, colline con in cima villaggi arroccati. Uno sguardo all’Abbazia di Montecassino, tristemente legata alla Seconda Guerra Mondiale. Alla stazione Termini ho macinato un bel po’ di strada per raggiungere il regionale che si trovava alla fine di un lunghissimo binario, pure lui collocato discosto da tutto. Certe cose occorre conquistarsele. Alla fine, calcolando anche l’attesa per le coincidenze (ma io cerco di avere sempre un buon margine di tempo, per la famosa legge di Murphy: “Se il proprio treno è in ritardo, la coincidenza partirà in perfetto orario”), il tempo impiegato per scendere nel capoluogo è stato di circa otto ore. Come molte città più o meno storiche italiane è composto da una parte moderna (in basso) e la parte storica (in alto). Non ho prenotato, è febbraio, la settimana di carnevale (di solito evito di muovermi durante le vacanze da calendario, ma questa volta non ho potuto fare diversamente, del resto mica tutti vanno nel Molise, no? L’ho appena scritto).

Centro storico di Campobasso.

Quando tengo un luogo come base per poi muovermi nei dintorni preferisco trovare un albergo nelle vicinanze della stazione. È pomeriggio, ancora chiaro per fortuna, ma ecco la prima sorpresa: non vedo hotel di nessun tipo (scoprirò più avanti che un albergo di lusso c’è ma si trova dall’altra parte della stazione, non uscendo sulla strada principale, ma è stata una fortuna, dopo tutto, come sarà evidente). Salgo verso il centro storico per larghi viali, costeggiando l’imponente Cattedrale neoclassica e, continuando a non vedere alberghi, chiedo informazioni alle persone del luogo e così vengo a sapere che gli alberghi si trovano in periferia, nel paese vecchio invece (strutturato in una serie suggestiva di scalinate e intrico di vicoletti) ci sono molti B&B, mi dicono perché vogliono che gli ospiti si sentano come a casa. In effetti gli ambienti sono casalinghi ma con gli abitanti non è che ci sia sempre un gran rapporto, a volte si vedono solo al momento del primo incontro quando avviene la consegna delle chiavi e il pagamento.

Capisco allora che se non si è prenotato è un problema perché i proprietari di solito concordano l’arrivo con i clienti, non esiste normalmente un banco-ricevimento. Comunque provo una prima volta suonando dove c’è una targa e scopro che lì sono al completo, del resto questi posti hanno poche stanze a disposizione (non so chi possano essere gli ospiti, in giro di turisti ne vedrò pochissimi durante il mio soggiorno). Inizio a preoccuparmi, ma al secondo tentativo mi va bene e sono fortunata, si chiama “Il palazzo vecchio” ed è in effetti un’antica abitazione cinquecentesca, a due passi dalla chiesa di S. Leonardo dotata di una bella facciata romanica. Nell’omonima piazzetta mi siedo ad aspettare la proprietaria, dopo averle telefonato e fissato un appuntamento. Il centro storico mi sembra piuttosto desolato, poche persone in giro, diversi esercizi chiusi, pochissimi negozi, neanche un bar. Come vedrò poi, anche nella parte moderna sono tanti i cartelli di vendesi o affittasi, le vetrine in disarmo, le saracinesche abbassate… In compenso c’è un’assurda invasione di automobili, in ogni dove e anche qui come altrove, in molti centri storici italiani, in quelle strade strette, l’invadenza delle auto è una vera calamità, non c’è pace, né tranquillità per il pedone che deve infilarsi negli anfratti se non vuole essere investito e che, mentre tenta di passeggiare, si ritrova il fiato puzzolente sul collo di qualche rumoroso mezzo a motore! E non se ne vede la ragione, dato che le distanze sono ridotte. Comunque sia, alla sera riesco a entrare nella mia stanza che ha il nome della tinta dominante, camera “Rosa”, arredata in stile liberty, ma le scalinate, l’atrio oscuro, umido e tenebroso, ci parlano del passato più antico. Come la cucina, con oggetti d’epoca, accanto ad un kitsch domestico.

Chiesa di S. Bartolomeo.

Il giorno dopo (la colazione è un fai-da-te e già dovrò telefonare per capire come si usa il gas, diffuso pericolosamente in Italia, sia adoperando fiammiferi, sia, come in questo caso schiacciando un pulsante per far uscire la fiamma; l’avevo già visto ma anche dimenticato), salendo verso il castello visito la chiesa di San Bartolomeo sempre del XIII secolo con una croce in pietra, mentre ancora più in alto si trova San Giorgio ma è chiusa. Ed ecco il Castello Monforte, simbolo della città, che ha subito varie trasformazioni (questi sono anche luoghi continuamente devastati da terremoti). Quando perdette la sua funzione divenne carcere e poi anche cimitero. Non ci sono arredi, si può godere della vista sulla campagna e non dimenticare nel viale delle Rimembranze con ogni albero dedicato ad un caduto della Prima Guerra mondiale, a cui è riservata anche una sala diventata sacrario, con cimeli, fotografie, didascalie che narrano la storia eroica dei militari che si sono sacrificati.

Castello Monforte.

 

Il giorno successivo visiterò il Museo provinciale sannitico, interessante per capire l’evoluzione storica di questi luoghi, con reperti provenienti dagli scavi, tra cui l’impressionante sepoltura di un cavaliere con il suo cavallo.

Il cavaliere sepolto con il suo cavallo.

Ben organizzato didatticamente, per avere esperienze sensoriali alcuni oggetti sono riprodotti, accanto a quelli autentici disposti nelle vetrinette, perché si possano toccare, un gioiello, un’arma… E, oltre alla descrizione dei materiali, delle epoche, pannelli arricchiscono con citazioni di poeti dell’antichità, Omero, Archiloco, Ovidio… si spera che almeno le scolaresche visitino questa struttura, altrimenti deserta. Ma l’attrazione principale di Campobasso è costituita dal Museo dei Misteri e non si capisce il perché di un orario così ristretto: un paio d’ore nel pomeriggio, con una targa oltretutto che dà delle indicazioni inesatte. Allora cosa sono i Misteri?

Naturalmente siamo in ambito sacro, in particolare legato alla festa del Corpus Domini, a cui tutti qui m’invitano a partecipare. Ma mi bastano le immagini da ressa viste su Youtube. Una cerimonia a metà tra il folcloristico e la tradizione religiosa. Vengono da ogni parte del mondo per assistervi e hanno una partecipazione straordinaria di volontari, dai bambini agli anziani, che si fanno imbragare infilare, salendo in alto, su questi macchinari, portati a spalla da altri volontari che sopportano pesi varianti tra i 300 e i 600 chili circa. I personaggi, che sembrano sospesi in aria, arrivano fino agli ultimi piani dei palazzi dalle cui finestre si affaccia la gente per toccarli, stringere loro le mani. Queste strutture furono realizzate a metà del ‘700 da Paolo Saverio Di Zinno con una lega resistente e al tempo stesso flessibile, in tutto sono 13 a celebrare un mistero della Bibbia o di un santo. Ma più di ogni altra cosa vale vederne un video per rendersene conto. È il momento di assoluta gloria di una cittadina (meno di 50.000 abitanti) che prima e dopo ripiomba in un sonnolento abbandono.

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