Curato da Lucas Marco Gisi, Reto Sorg e Peter Stocker, il volume Microgrammi (Adelphi 2025) di Robert Walser nasconde una vicenda affascinante. Alla morte dello scrittore, avvenuta dopo vent’anni di ricovero nella clinica psichiatrica di Herisau, fu rinvenuta una vecchia scatola di scarpe. Al suo interno si trovavano lettere, cartoline, fogli sparsi, buste e ricevute, ricoperti da una scrittura minuscola tracciata a matita. Decifrati con pazienza e pubblicati per la prima volta in traduzione italiana, i microgrammi rivelano un universo letterario anarchico e sfuggente. Prosa e poesia, annotazione casuale e racconto fantastico si mescolano indistintamente. Ogni singola parola, ogni frase, ogni narrazione si confonde con il parlato quotidiano. Tuttavia, chi interpretasse questi minuscoli segni come manifestazione della sua pazzia comprenderebbe ben poco di Walser. La follia, semmai, è ciò che precede l’intera sua produzione letteraria.
La scrittura microscopica di Robert Walser, caratterizzata da una straordinaria e labirintica inventività linguistica, rimase un segreto custodito per tutta la sua esistenza. I 526 fogli a matita restarono inizialmente celati dietro le opere pubblicate. Carl Seelig osservò: «Questa scrittura segreta indecifrabile, inventata dal poeta negli anni Venti e utilizzata agli inizi della sua psicosi, va interpretata come una timida fuga dagli sguardi del pubblico e come un incantevole travestimento calligrafico volto a nascondere i propri pensieri». Lo stesso Walser confessò: «Mi aleggia sulle labbra qualcosa che in genere non si dovrebbe mai permettere alle labbra di pronunciare, sicché riconosco di appartenere al vastissimo gruppo di quei chiacchieroni che, oralmente o per iscritto, assicurano di essere discreti». Definito da W. G. Sebald «il più solitario fra tutti i poeti solitari», Walser scriveva ovunque e su qualsiasi supporto. Brevi racconti, teatro, poesie, saggi.
Annotava tutto ciò che osservava nelle sue innumerevoli passeggiate tra campagne e città. Non è però semplice leggere Walser. Appare ingenuo, ma in realtà è profondissimo, di difficile comprensione. Il rapporto tra poesia e prosa assume rilevanza in questa fase dell’opera walseriana, poiché nel Bleistiftgebiet (“territorio della matita”) l’autore ritorna alla poesia. Molti testi furono scritti sulle fascette in cui Walser riceveva le copie d’obbligo dei suoi articoli pubblicati sulle pagine culturali. A Praga, città da cui provenivano queste fascette affrancate, a metà degli anni Venti l’autore aveva due committenti – Prager Presse e Prager Tagblatt, ai quali fornì quasi trecento contributi fino agli anni Trenta, prevalentemente articoli satirici di viaggio destinati alle pagine culturali. Tipico della tarda produzione lirica walseriana è il modo ironico con cui spezza i toni elevati.
Dal 1925 fino all’inizio degli anni Trenta pubblicò poesie su riviste e giornali praghesi, dove poteva contare sull’appoggio dei redattori Otto Pick e Max Brod, il benefattore e amico di Franz Kafka, il quale tra gli scrittori contemporanei apprezzava figurava proprio Robert Walser. Lo stimolo derivante dalla lettura rappresenta un tema costante negli anni bernesi di Walser e procede parallelamente alle sue riflessioni sulla difficoltà, per uno scrittore, di inventare storie. Walser era legato al teatro in molteplici modi. Da giovane aspirava a diventare attore. Tra il 1925 e il 1928 riuscì a pubblicare più di venti testi sul popolare Simplicissimus. Fin dagli esordi, il fiabesco, il grottesco e il fantastico hanno costituito i fondamenti della scrittura walseriana. Nella raccolta dei microgrammi troviamo anche poesie che meditano sulla memoria e sul tempo, come quella che recita: «Il ricordo consuma se stesso. Alla fine, sembra quasi che niente sia accaduto».
L’identità svizzera è indagata: «Lo svizzero indossa una maschera nazionale che svariate esigenze gli hanno imposto». Zurigo è descritta con ironia come luogo inevitabile per chiunque abbia ambizioni: «Ogni persona eminente è stata prima o poi a Zurigo». Nelle riflessioni walseriane emerge una profonda saggezza sulla convivenza umana e sulla creatività. «Paesi o uomini che vogliono vivere in pace fra loro non devono mai e poi mai disprezzarsi, bensì hanno il bisogno e il desiderio e in un certo senso anche l’obbligo di rispettarsi». Sul processo creativo Walser rivela un’acuta ironia: «Tutti i non-creativi sanno alla perfezione come si crea, solo che gli artisti stessi fanno talvolta i preziosi al riguardo». La morte stessa non spaventa Walser, che vi scorge la continuità della vita: «La vita non si arresta dinanzi alle bare di gente che ha raggiunto la vetta. Sono convinto che qualcosa tornerà sempre a svettare».
Amedeo Gasparini
Curato da Lucas Marco Gisi, Reto Sorg e Peter Stocker, il volume Microgrammi (Adelphi 2025) di Robert Walser nasconde una vicenda affascinante. Alla morte dello scrittore, avvenuta dopo vent’anni di ricovero nella clinica psichiatrica di Herisau, fu rinvenuta una vecchia scatola di scarpe. Al suo interno si trovavano lettere, cartoline, fogli sparsi, buste e ricevute, ricoperti da una scrittura minuscola tracciata a matita. Decifrati con pazienza e pubblicati per la prima volta in traduzione italiana, i microgrammi rivelano un universo letterario anarchico e sfuggente. Prosa e poesia, annotazione casuale e racconto fantastico si mescolano indistintamente. Ogni singola parola, ogni frase, ogni narrazione si confonde con il parlato quotidiano. Tuttavia, chi interpretasse questi minuscoli segni come manifestazione della sua pazzia comprenderebbe ben poco di Walser. La follia, semmai, è ciò che precede l’intera sua produzione letteraria.
La scrittura microscopica di Robert Walser, caratterizzata da una straordinaria e labirintica inventività linguistica, rimase un segreto custodito per tutta la sua esistenza. I 526 fogli a matita restarono inizialmente celati dietro le opere pubblicate. Carl Seelig osservò: «Questa scrittura segreta indecifrabile, inventata dal poeta negli anni Venti e utilizzata agli inizi della sua psicosi, va interpretata come una timida fuga dagli sguardi del pubblico e come un incantevole travestimento calligrafico volto a nascondere i propri pensieri». Lo stesso Walser confessò: «Mi aleggia sulle labbra qualcosa che in genere non si dovrebbe mai permettere alle labbra di pronunciare, sicché riconosco di appartenere al vastissimo gruppo di quei chiacchieroni che, oralmente o per iscritto, assicurano di essere discreti». Definito da W. G. Sebald «il più solitario fra tutti i poeti solitari», Walser scriveva ovunque e su qualsiasi supporto. Brevi racconti, teatro, poesie, saggi.
Annotava tutto ciò che osservava nelle sue innumerevoli passeggiate tra campagne e città. Non è però semplice leggere Walser. Appare ingenuo, ma in realtà è profondissimo, di difficile comprensione. Il rapporto tra poesia e prosa assume rilevanza in questa fase dell’opera walseriana, poiché nel Bleistiftgebiet (“territorio della matita”) l’autore ritorna alla poesia. Molti testi furono scritti sulle fascette in cui Walser riceveva le copie d’obbligo dei suoi articoli pubblicati sulle pagine culturali. A Praga, città da cui provenivano queste fascette affrancate, a metà degli anni Venti l’autore aveva due committenti – Prager Presse e Prager Tagblatt, ai quali fornì quasi trecento contributi fino agli anni Trenta, prevalentemente articoli satirici di viaggio destinati alle pagine culturali. Tipico della tarda produzione lirica walseriana è il modo ironico con cui spezza i toni elevati.
Dal 1925 fino all’inizio degli anni Trenta pubblicò poesie su riviste e giornali praghesi, dove poteva contare sull’appoggio dei redattori Otto Pick e Max Brod, il benefattore e amico di Franz Kafka, il quale tra gli scrittori contemporanei apprezzava figurava proprio Robert Walser. Lo stimolo derivante dalla lettura rappresenta un tema costante negli anni bernesi di Walser e procede parallelamente alle sue riflessioni sulla difficoltà, per uno scrittore, di inventare storie. Walser era legato al teatro in molteplici modi. Da giovane aspirava a diventare attore. Tra il 1925 e il 1928 riuscì a pubblicare più di venti testi sul popolare Simplicissimus. Fin dagli esordi, il fiabesco, il grottesco e il fantastico hanno costituito i fondamenti della scrittura walseriana. Nella raccolta dei microgrammi troviamo anche poesie che meditano sulla memoria e sul tempo, come quella che recita: «Il ricordo consuma se stesso. Alla fine, sembra quasi che niente sia accaduto».
L’identità svizzera è indagata: «Lo svizzero indossa una maschera nazionale che svariate esigenze gli hanno imposto». Zurigo è descritta con ironia come luogo inevitabile per chiunque abbia ambizioni: «Ogni persona eminente è stata prima o poi a Zurigo». Nelle riflessioni walseriane emerge una profonda saggezza sulla convivenza umana e sulla creatività. «Paesi o uomini che vogliono vivere in pace fra loro non devono mai e poi mai disprezzarsi, bensì hanno il bisogno e il desiderio e in un certo senso anche l’obbligo di rispettarsi». Sul processo creativo Walser rivela un’acuta ironia: «Tutti i non-creativi sanno alla perfezione come si crea, solo che gli artisti stessi fanno talvolta i preziosi al riguardo». La morte stessa non spaventa Walser, che vi scorge la continuità della vita: «La vita non si arresta dinanzi alle bare di gente che ha raggiunto la vetta. Sono convinto che qualcosa tornerà sempre a svettare».
Amedeo Gasparini