Commento

Romanzo e schermo del Flaiano recensore

Curato da Anna Longoni, Chiuso per noia (Adelphi 2025) di Ennio Flaiano raccoglie le recensioni cinematografiche dello scrittore abruzzese. «Per anni ha scritto delle critiche sui giornali, senza cavarne altro che inimicizie ed errori tipografici» disse di sé nel 1946. In realtà, dopo aver imparato il mestiere sul campo, è stato un recensore cinematografico acuto, pacato, intransigente, raffinatissimo dietro lo schermo della nonchalance, sempre ostile a falsità ed insulsaggini. Spazio dunque a tutti quei film che «presuppongono, di regola, un pubblico eccessivamente tardo di comprendonio». O che «rendono confortevole l’esistenza, allo stesso titolo dei treni rapidi, delle automobili, dei termosifoni». La critica di Flaiano nasce da un rapporto intimo col cinema. «Mi domando spesso se il cinema sia ancora la fabbrica del “brivido”», scrive. «In questi ultimi tempi, confesso, due volte mi sono addormentato nella poltrona di un cinema e non ero affatto stanco».

La lettura di Flaiano è critica sin dal 1939 quando osservava che «uno dei rimproveri che più di frequente si possono fare al nostro cinema è di vedere la vita o le avventure sotto un aspetto inventato e di maniera». Parla di film comici, documentari, western con discussioni tecniche ed estetiche, mai moraliste e quasi sempre beffarde. La sua prosa è elegante e tagliente, capace di cogliere i difetti del cinema italiano con l’ironia che lo caratterizza. A suscitare l’entusiasmo di chi conosceva intimamente il lavoro di soggettista e sceneggiatore. E andava al cinema per sgranchirsi «l’immaginazione e la visione morale del mondo», erano piuttosto i film internazionali di qualità. La peculiarità del Flaiano recensore sta nella fusione, sempre riuscita, della letteratura col cinema, della critica d’esordio con la critica sociale. Sempre benevola nel tono, implacabile nel giudizio, in un continuo dialogo tra romanzo e schermo.

Con la verve e lo stile polemicamente acculturato, Ennio Flaiano si fa recensore del cinematografo. Ma condisce il tutto con ampi riferimenti alla letteratura. Scorrono nelle sue pagine, come in un’ideale galleria, i noti personaggi quali Totò, Jean Renoir, Walt Disney, Frank Capra, Mario Camerini, Luchino Visconti, Buster Keaton, Mario Soldati, Pietro Germi, Vittorio De Sica, René Clair, Roberto Rossellini. E accanto a loro, quelli della letteratura: Cesare Zavattini, Anatole France, Edgar Allan Poe, Alessandro Manzoni, Émile Zola, Agatha Christie, Ralph Waldo Emerson, Walter Scott, Edgar Lee Masters, Jean Cocteau, Graham Greene, Julien Green. Una delle sue riflessioni più acute riguarda la natura stessa del cinema: «Il cinema è la più darwiniana delle arti, riserva l’avvenire e la felicità soltanto ai personaggi giovani e pieni di fiducia, li nega a quelli di una certa età o rovinati dalle letture».

Un’osservazione che coglie nel segno la superficialità di un’industria che privilegia l’apparenza alla sostanza. Nei suoi giudizi si alternano entusiasmi e stroncature. Plauso incondizionato per Ombre rosse di John Ford: un film in cui l’ombra di Guy de Maupassant si sposa a quella di Friedrich Murnau. Plauso anche per Ossessione e i film con Shirley Temple e Deanna Durbin. Complimenti a Il segreto del medaglione di John Brahm. Durissimo invece il giudizio su Margaret Mitchell e Via col vento. «Per scrivere un romanzo bisogna essere spinti dalla noia; […] occorre quella fiduciosa caparbietà che soltanto certe signore posseggono». La frase, tagliente come una lama, rivela tutta la sua insofferenza per la letteratura e i suoi adattamenti cinematografici. Un’altra recensione critica è dedicata al Cagliostro di Gregory Ratoff con Orson Welles.

Positiva invece quella per Il terzo uomo di Carol Reed. Severo, ma non negativo, il giudizio su Stanley Kubrick e 2001: Odissea nello spazio. Non mancano, come sempre con Flaiano, le polemiche aperte qua e là, le riflessioni amare sul panorama culturale italiano. «Di un brutto film, l’autore vi dirà per consolarsi che “va bene per la provincia”: che l’arte non è sempre necessaria per il successo economico di un’opera». Riflessioni che rivelano la sua consapevolezza dei meccanismi commerciali che governano l’industria cinematografica. In un paese dove è lecito essere anticonformisti solo «nel modo giusto, approvato», Flaiano ha saputo esserlo sino in fondo, mantenendo sempre una posizione indipendente e coraggiosa. Lo dimostra l’irresistibile giudizio riservato a Welles. «I suoi personaggi appartengono a quella categoria che mangia il pollo con le mani non per maleducazione, ma per eccesso di carattere, per prepotenza di immaginazione e di volontà!».

Amedeo Gasparini

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