Commento

Sempre colpa dell’Occidente: Caracciolo contro Fukuyama, Kalergi e l’America

Il libro di Lucio Caracciolo La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa (Feltrinelli 2022) inizia dall’invasione russa (aggettivo spesso omesso dall’autore) del 24 febbraio 2022. Ci si aspetterebbe un briciolo di analisi nei confronti dell’aggressione del Cremlino nei confronti dell’Ucraina. E invece no: il libro è una requisitoria “antitutto”. Contro la tesi della “fine della storia” di Francis Fukuyama, l’utopismo di Richard Coubenhove-Kalergi, la NATO, gli Stati Uniti, l’Europa, l’Occidente. Insomma: un lettore poco attento e un lettore attento potrebbero giungere alla medesima conclusione. Cioè che i colpevoli dell’aggressione russa sono gli occidentali, l’alleanza atlantica, l’uomo bianco, eccetera. La Storia, per Caracciolo, finisce il 24 febbraio 2022. L’autore riprende polemicamente il famoso essay e poi libro di Fukuyama. Il quale non ha mai scritto che dopo il 1989 non ci sarebbero state più delle sfide per le democrazie liberali.

Dalla caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) all’unificazione tedesca (3 ottobre 1990), dallo scioglimento del patto di Varsavia (1 luglio 1991) alla fine dell’Unione Sovietica (25 dicembre 1991) sembra che l’autore giustifichi mosse e ragioni di Vladimir Putin oggi. George H. W. Bush preconizzava un nuovo ordine mondiale fondato sulla incontestata e incontrastata egemonia americana. L’impero sovietico si fermentava in quindici repubbliche che si diedero al fuggi-fuggi da Mosca, segnando il tramonto del vecchio ordine e la nascita di quello nuovo. Oggi, scrive Caracciolo, «viviamo il rovesciamento della fine della storia: le storie della fine. […] La storia universale dell’umanità, glorioso progetto kantiano, è archiviata. Pullulano storie particolari […], che regimi di vario tono erigono ad autolegittimazione». L’autore ha gioco facile nell’attaccare anche Thomas L. Friedman, preconizzatore del “mondo piatto”.

Al posto di esaminare come Putin abbia interrotto il processo di integrazione, globalizzazione e pace, Caracciolo contesta la tesi di Fukuyama. Accusa l’Occidente. «La fine della storia di Fukuyama e seguaci è benzina ideale per il motore della potenza imperiale americana in quanto strato sofisticato del soft power a stelle e strisce. […] The End of History, checché ne pensi il suo autore, è America in potenza e in atto. […] La fine della storia implica il trionfo dell’impero americano, sublimato in ordine ecumenico. […] e […] mette in questione l’egemonia americana, non il suo rango di prima potenza mondiale». La fine della storia voleva dire fine delle alternative credibili, percorribili e fruttuose dopo il crollo dei comunismi. Caracciolo non sembra aver capito la tesi del politologo americano.

L’America «non è più modello da imitare per popoli e paesi che trent’anni fa sembravano aspirare a riprodurne caratteri e istituzioni in casa propria. Il suicidio dell’unica alternativa globale, il comunismo come scienza della storia nelle sue contrastanti declinazioni di potenza, non significava affatto via libera alla liberaldemocrazia», sostiene Caracciolo. Con fantasiose ricostruzioni del saggio di Fukuyama, l’autore affrma che esso «eleva l’idea nazionale a imperiale, nel senso radicale e benevolo del termine: affermarne ovunque gli ideali, abbattendo i tiranni che imprigionano popoli naturalmente vocati alla libertà e alla democrazia». Poi il celebre “Whataboutism”: Caracciolo non dimentica i neocon, gli ex comunisti passati alla destra del GOP. Fa i nomi di Leo Strauss e Irving Kristoll, poi dei vari Paul Wolfowitz e Dick Cheney. «I neocons si formano nella “Nuova Gerusalemme” della diaspora ebraica a New York City». Della serie: la Russia cattiva, ma gli americani …

Caracciolo poi passa all’Europa. Che a differenza degli Stati Uniti non poggia su un soggetto geopolitico. La guarda quasi con altezzoso disprezzo. «Dal punto di vista degli europeisti, il senso della fine della storia era semplice: tenere vivo in veste pacifica e liberaldemocratica il proprio gene imperiale». L’autore sembra negare l’autonomismo europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dipinge l’Europa come un fantoccio al servizio di Washington. L’idea d’Europa ha perso, sostiene Caracciolo – forse perché, si dovrebbe dire, da vent’anni ad Est c’è qualcuno che la vuole distruggere dall’esterno e paga i partiti antisistema che la erodono dall’interno. E poi: «L’europeismo ideale è indifferente alle miserie dell’europeismo reale». Nel secondo capitolo, Kalergi e il suo Pan-Europa, classico di proto-geopolitica visionaria, finiscono nel mirino di Caracciolo.

«Gli Stati Uniti d’Europa sognati dal conte sono recupero e allargamento della radice imperialregia in chiave repubblicana, democratica e sociale». Kalergi sembra «anticipare il containment antisovietico allestito dagli USA nella Guerra fredda e fondato sulla riconciliazione fra le due rive del Reno. Ma senza Pan-Europa». Inoltre, «il conte nippo-boemo aveva inscritto gli Stati Uniti d’Europa in una cornice liberale e democratica, con accenti socialdemocratici, però seccamente anticomunista. Gli antifascisti italiani esprimono traiettorie più radicali, esplicitamente socialiste e libertarie. Sono rivoluzionari. Criticano i comunisti europei per l’asservimento a Mosca, ma a differenza di Coudenhove-Kalergi non li considerano parte del fronte nemico, bensì possibili alleati». Non alludendo per nulla al mostro sovietico che dominava l’Europa oltrecortina, Caracciolo spiega la permanenza statunitense in Europa come un disegno imperialistico americano.

«Il segno del nostro tempo è l’impossibilità dell’ordine mondiale. Trent’anni dopo la fine della storia, maschera del malinteso trionfo americano, […] nessuna combinazione di potenze è in grado di stabilire una qualsiasi forma di concerto internazionale. Né c’è dominio di “ultimo uomo” post-storico, immerso nella banalità della vita quotidiana, senza orizzonti, tantomeno sogni di gloria». Due punti. Primo: nessuno ha mai detto che l’ordine americano post-Guerra Fredda sarebbe durato per sempre. Secondo: l’ultimo uomo, ennesimo riferimento a Fukuyama, era un’allegoria che si riallacciava alla tesi della fine della Storia intenso come fine delle alternative dopo il crollo dei comunismi. Caracciolo sembra compiaciuto dalla sterzata dell’ordine liberale dopo l’invasione dell’Ucraina. «L’impero americano è in apnea. Come tutti gli imperi, s’è ammalato di superbia, anticamera della malinconia che ferisce chi sente di non avere i mezzi per confermarsi quel che di sé pensava: benevolo egemone».

Alla luce dell’invasione russa, è l’America che si è ammalata di superbia … Sarà … Caracciolo, che fino al 24 febbraio 2022 screditava le prove dell’intelligence statunitense sull’imminente invasione russa dell’Ucraina, identifica due possibili esiti della guerra. O una guerra mondiale o una grande tregua tra Washington, Pechino, Mosca. Dimentica, a parte l’Europa e l’Ucraina, che la prima non è in guerra con la terza. La quale invece vuole smantellare l’ordine liberale. Dopo aver criticato per tutto il libro gli spiriti illuministici animati dalla speranza e talvolta anche dall’utopia, Caracciolo si affida all’utopia. «La Grande Tregua è l’unico approdo capace di surrogare e forse avvicinare la Grande Pace, intesa nuova stabilità». Dimentica, che non può esserci nessun tipo di tregua con chi mette in discussione l’esistenza stessa della libertà dei popoli, della certezza dei confini, della democrazia, della legge internazionale.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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