Economia

Silvio Napoli: metà monaco e metà guerriero

 

Se l’ascensore sociale si è bloccato da anni, quello della Schindler funziona eccome: la sua ascesa continua in gloria. Nella gloria del fatturato, ma non solo. Ieri sera, tra aneddoti passati e progetti futuri, all’USI di Lugano Lino Terlizzi ha intervistato il Presidente del CdA di Schindler Group, Silvio Napoli, il primo manager in quell’incarico a non essere membro della storica famiglia. «L’ascensore non è un tema che suscita molto entusiasmo» esordisce scherzosamente Terlizzi davanti ad un colmo Auditorium. Ascensori, ma anche scale mobili: per Schindler, autentica eccellenza elvetica – diamante pregiato ticinese – mobilità è core business. Fondata nel 1874 (stessa data di nascita della Piaget, altro marchio di garanzia e pregio), l’azienda si spalma sull’arco di tre secoli, servendo su per giù – è il caso di dirlo – l’intero pianeta.

Iniziamo quindi con le cifre. Fatturati di oltre dieci miliardi di franchi; per i primi nove mesi del 2018 7,9 miliardi, più dell’otto per cento rispetto all’anno scorso. Schindler trasporta un miliardo di persone al mondo: all’aeroporto di Zurigo ottantamila, nella metropolitana di Pechino dieci milioni. Cifre da far venire il mal di testa, ma suggerite dall’incalzante Terlizzi, che da conduttore dell’intervista vis-à-vis inizia l’intervista dalle origini di Napoli. Un cognome italiano che tradisce, dal momento che Napoli è nato più a nord della capitale partenopea, a Roma. A Roma, «ma con formazione internazionale». Infatti, rivela l’intervistato, «il cuore è in Italia – paese che amo – ma devo molto anche alla Svizzera», dove Napoli ha conseguito in gioventù una laurea al Politecnico di Losanna, prima di giungere al Master in Business Administration negli Stati Uniti.  «E ventiquattro anni fa sono entrato in Schindler»: la scalata fino a diventare CEO, anche con «il pieno rispetto delle culture dei Paesi in cui ho imparato a vivere.» Insomma: «adattarsi, ma rimanere sempre se stessi»; formula necessaria per gli uomini di successo che vogliono conciliare fama e dignità.

Già nell’invito alla conferenza si accennavano ai diversi aneddoti che Napoli avrebbe raccontato sull’Asia, continente che – dopo quattordici anni trascorsi tra India, Cina e la striscia la terra dei samurai – conosce bene. «Convincere un’altra gran parte del pianeta ad adottare l’eccellenza svizzera non è stato facile», a maggior ragione se quella realtà – quella cinese in particolare – «appartiene ad un’altra cultura, con un’altra storia e altri abitudini.» Di ascensore e non solo. «Addirittura, in Giappone gli ascensori esistono già a partire dal decimo secolo!». Dopo due settennati nel grande continente dell’est, Silvio Napoli non ha dubbi: «l’esperienza in Asia è stata molto importante: la distruzione di certezze – per poi ricostruirle» (magari con Schindler).

Nel dibattito scende in campo – o, meglio, dalla scala mobile – la leggenda americana Mike Tyson. Non in carne ed ossa, ma metaforicamente. Napoli, per voce del grande pugile, spiega che «ognuno ha un piano finché non prende un pugno in faccia. Di pugni in faccia ne ho presi tanti nella mia carriera.» Ed ecco il principale aneddoto della serata. «In India arrivai con un business plan per costruire una nuova consociata. Ero atterrato a New Delhi con mia moglie e i miei figli. Non conoscevamo nessuno e avevamo 2 milioni di franchi in banca come capitale iniziale.» Una miseria, in Europa, un gruzzolo da re nell’India di quasi tre decenni fa. Durante le trattative «ero una preda in un bacino di squali.» Arrivò in soccorso l’amicizia elvetica: «l’obiettivo era convincere gli indiani a comprare gli ascensori Schindler.» Conclusa la prima bozza di contratto, bisognava portare l’infrastruttura d’acciaio nel Paese asiatico, ma «in India non funzionava niente. Alla fine, capii il perché: nella sala macchine c’era un’atmosfera di cinquanta gradi, mentre in Europa erano quindici meno.» L’avventura indiana «fu un momento di grande dubbio, ma per sopravviverci bisogna essere metà monaco e metà guerriero.» Altra atmosfera in Cina, dove «tutto va veloce e aspettare costa tanto. Convenzionalmente pensiamo che è il pesce grande a mangiare il pesce piccolo, ma in Cina non è così: il pesce rapido mangia il pesce lento.» La competizione è dura e «la Cina rappresenta per Schindler il cinquanta per cento della domanda di ascensori», spiega Napoli. In Cina ci sono quattro ascensori ogni mille persone (cinque anni fa erano solo uno). In Svizzera siamo a trenta su mille. L’Italia è a ventuno, dopo essere stata per tanti anni il primo “parco ascensoristico” del mondo.

Passando all’aspetto più finanziario della conferenza, Napoli spiega come Schindler vive e convive nella realtà dominata dal controllo famigliare e dalla quotazione in Borsa. Dopo la citazione di Tyson, egli si rifà ai cambiamenti costituzionali gollisti: «la Schindler è strutturata come la Quinta Repubblica Francese: il Presidente è eletto dall’assemblea degli azionisti. Il CEO è come il Primo Ministro, che deve portare a termine i piani del CdA. Certamente la presenza della famiglia è importante: sono presenti nel comitato di nomine e quello dell’audit.» Inevitabilmente gli eredi di Robert Schindler sono nella stanza dei bottoni, ma l’elezione di Napoli a Presidente del CdA è avvenuta per vie meritocratiche.

Per venire alla stretta attualità – dopo varie tendenze al rialzo con duecentoquaranta franchi a titolo nominativo – recentemente c’è stato un crollo del titolo, prima a duecentoquindici e poi, ieri, fino a centonovant’otto franchi. «La cultura Schindler», risponde Napoli, «non fa la priorità dell’azionista come priorità assoluta. La salute dell’azienda è la cosa più importante. Certamente c’è stato un calo, che tuttavia non ha creato particolari angosce.» La Borsa sale e scende come un ascensore: «fino agli anni Ottanta il valore della Schindler era duecentottanta milioni – oggi è di diversi miliardi di franchi. E se negli ultimi giorni è crollata un po’, vabbè: ci sta.» Fra le cause potrebbero esserci la politica protezionistica dell’attuale amministrazione americana, l’avvicinarsi della Brexit oppure l’incertezza economica italiana. Dopo anni di tassi a zero, gli stessi stanno pian piano salendo. Innescato il livello d’inflazione desiderato, con misure anche eccezionali come il QE europeo, ora le banche – specialmente quella centrale americana, ma non la BCE – chiedono più soldi per i prestiti. «Il nodo dei dazi rimane», dice Napoli, che non ha la palla di vetro per le prossime sedute di Borsa, viste le tre incognite già citate: «le prospettive non sono favorevoli.» Il rialzo dei tassi potrebbe essere indice di benessere o di imminente pericolo e in questi anni «molte aziende hanno ammassato debiti.» A farne le spese per l’aumento del costo del denaro «non saranno le banche – più ravvedute che nel pre-crisi – ma le aziende. Noi a Schindler abbiamo una cultura di zero debiti e molta cassa.» Anche qui, di qualche miliardo.

Silvio Napoli si ritiene «orgoglioso di poter continuare a lavorare in Ticino.» Non solo perché esso è il padre geografico della mega-ditta, ma perché è «un mercato importante. Senza dubbio una zona molto difficile, vista la forte concorrenza italiana.» Ma è a Locarno che nasce tutto: «la Silicon Valley del Ticino», come la chiama Napoli, quando, da metà monaco e metà guerriero, porta l’infrastruttura del su e giù per tutto il mondo.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

 

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