Impreziosito dalla lunga prefazione di Lorenzo Castellani, Apologia di Margaret Thatcher (Luiss University Press 2025) di Niall Ferguson è soprattutto un essay appassionato, non tanto un classico volume di scienza politica o biografico. Passa in rassegna le principali riforme e le controversie attorno alla figura di Margaret Thatcher con uno stile asciutto – forse un po’ troppo. Poco argomentato e molto umorale. Il saggio offre un’analisi appassionata e profondamente personale del ruolo di Thatcher nella storia britannica da parte del grande storico scozzese. La tesi di fondo è netta: Thatcher fu, a tutti gli effetti, la salvatrice del suo Paese. Ferguson si posiziona come un sostenitore convinto di questa prospettiva, in contrasto con una generazione di storici educati a disprezzare la “teoria del grande uomo della storia”, con esempi che vanno dalla Riforma protestante alla Guerra Civile inglese. La “terapia d’urto” di Thatcher fu ricca di ambizione e rischi.
Abolì i controlli sui prezzi e sui cambi, aumentò i tassi di interesse e cercò di ridurre il fabbisogno di indebitamento pubblico, provocando inizialmente una forte recessione fondamentale per spezzare la spirale inflazionistica. Thatcher utilizzò in modo ampio i poteri governativi, ad esempio nel campo dell’ordine pubblico, della legislazione penale nella lotta all’IRA e della gestione degli eventi sportivi reprimendo il fenomeno degli hooligan. Riformare lo Stato significava ridurne il raggio d’azione. Mirava a un governo che costasse di meno e funzionasse meglio, oscillando tra l’economia libera e lo Stato forte. Il thatcherismo portò a una maggiore mobilità sociale per la working class che acquistava case e avviava attività. La riduzione degli iscritti ai sindacati e l’espansione dell’istruzione scardinarono il sistema di classe. Ci furono anche cambiamenti sociali non desiderati da Thatcher, come il declino della famiglia tradizionale, l’aumento delle nascite fuori dal matrimonio e dei divorzi.
Guerriera di inflessibilità diplomatica, si oppose al dispiegamento sovietico di missili nucleari e insisteva sul recupero dei soldi dalla CE, anticipando le critiche all’UE. Per Niall Ferguson, Thatcher aveva ragione sulla maggior parte delle cose. Sul potere eccessivo dei sindacati, sulla necessità di privatizzare le industrie nazionalizzate, sulle cause monetarie dell’inflazione. Aveva ragione sulla politica estera, dalle Falkland all’URSS e sull’Europa. Oggi sarebbe stata forse considerata populista, ma riuscì a risollevare il Regno Unito grazie alle proprie capacità di leadership e alla radicalità dell’offerta politica. È facile dimenticare com’era la Gran Bretagna quando, nel maggio 1979, divenne primo ministro. Non funzionava niente: cabine telefoniche vandalizzate, scioperi costanti dei portuali, spazzini, stampatori, minatori, netturbini. A questo Thatcher antepose la sua aggressività. Era ambiziosa e sapeva muoversi con scaltrezza. Se si fosse schierata con i personaggi più ideologizzati a destra di Edward Heath – come Enoch Powell – avrebbe sabotato la propria carriera.
Il thatcherismo rappresentò un doloroso quanto necessario cambiamento politico inteso a occuparsi, accanto alla disoccupazione, anche dell’inflazione cronica e dell’instabilità dell’industria. La Gran Bretagna del 1979 era polarizzata: destra-sinistra, ragazzi-ragazze, signori-cafoni, protestanti-cattolici. Sotto Thatcher si indebolì però quella Britishness che un tempo legava inglesi, gallesi, scozzesi e parte degli irlandesi. Gli scozzesi in particolare ripudiarono il thatcherismo. Poi la famosa frase sulla società. «Se i giovani hanno problemi, la gente dice che è colpa della società. Ma la società non esiste. Esiste un grande arazzo vivente, composto da uomini e donne. La bellezza di questo arazzo e la qualità delle nostre vite dipenderà da quanto saremo pronti a prenderci la responsabilità di noi stessi e da quanto saremo pronti a darci da fare per i meno fortunati». L’evento che più di ogni altro segnò il premierato fu la guerra delle Falkland, che fece diventare la nuova Britannia una guerriera.
I rapporti con Ronald Reagan erano ottimi, anche se Thatcher si sentì delusa dalla decisione del presidente di spodestare il regime marxista a Grenada nel 1983. Ferguson la definisce una “prima contra pares”, giacché per lei il consiglio dei ministri non era un ausilio per governare meglio, ma un ostacolo da scavalcare. Niall Ferguson conclude che l’elezione di Thatcher nel 1979 si inserì in una sequenza di eventi che nello stesso anno cambiarono il corso della storia. Fu l’anno della visita di Deng Xiaoping negli Stati Uniti, l’anno in cui Ruhollah Khomeyni andò al potere in Iran, l’anno in cui i sovietici invasero l’Afghanistan. Come molti grandi leader, compresa la sua reincarnazione laburista Tony Blair, Thatcher è molto più rispettata all’estero che a casa propria. Tutto considerato, conclude lo storico in modo forse davvero troppo elogiativo, è stata davvero la salvatrice del suo Paese.
Amedeo Gasparini
Impreziosito dalla lunga prefazione di Lorenzo Castellani, Apologia di Margaret Thatcher (Luiss University Press 2025) di Niall Ferguson è soprattutto un essay appassionato, non tanto un classico volume di scienza politica o biografico. Passa in rassegna le principali riforme e le controversie attorno alla figura di Margaret Thatcher con uno stile asciutto – forse un po’ troppo. Poco argomentato e molto umorale. Il saggio offre un’analisi appassionata e profondamente personale del ruolo di Thatcher nella storia britannica da parte del grande storico scozzese. La tesi di fondo è netta: Thatcher fu, a tutti gli effetti, la salvatrice del suo Paese. Ferguson si posiziona come un sostenitore convinto di questa prospettiva, in contrasto con una generazione di storici educati a disprezzare la “teoria del grande uomo della storia”, con esempi che vanno dalla Riforma protestante alla Guerra Civile inglese. La “terapia d’urto” di Thatcher fu ricca di ambizione e rischi.
Abolì i controlli sui prezzi e sui cambi, aumentò i tassi di interesse e cercò di ridurre il fabbisogno di indebitamento pubblico, provocando inizialmente una forte recessione fondamentale per spezzare la spirale inflazionistica. Thatcher utilizzò in modo ampio i poteri governativi, ad esempio nel campo dell’ordine pubblico, della legislazione penale nella lotta all’IRA e della gestione degli eventi sportivi reprimendo il fenomeno degli hooligan. Riformare lo Stato significava ridurne il raggio d’azione. Mirava a un governo che costasse di meno e funzionasse meglio, oscillando tra l’economia libera e lo Stato forte. Il thatcherismo portò a una maggiore mobilità sociale per la working class che acquistava case e avviava attività. La riduzione degli iscritti ai sindacati e l’espansione dell’istruzione scardinarono il sistema di classe. Ci furono anche cambiamenti sociali non desiderati da Thatcher, come il declino della famiglia tradizionale, l’aumento delle nascite fuori dal matrimonio e dei divorzi.
Guerriera di inflessibilità diplomatica, si oppose al dispiegamento sovietico di missili nucleari e insisteva sul recupero dei soldi dalla CE, anticipando le critiche all’UE. Per Niall Ferguson, Thatcher aveva ragione sulla maggior parte delle cose. Sul potere eccessivo dei sindacati, sulla necessità di privatizzare le industrie nazionalizzate, sulle cause monetarie dell’inflazione. Aveva ragione sulla politica estera, dalle Falkland all’URSS e sull’Europa. Oggi sarebbe stata forse considerata populista, ma riuscì a risollevare il Regno Unito grazie alle proprie capacità di leadership e alla radicalità dell’offerta politica. È facile dimenticare com’era la Gran Bretagna quando, nel maggio 1979, divenne primo ministro. Non funzionava niente: cabine telefoniche vandalizzate, scioperi costanti dei portuali, spazzini, stampatori, minatori, netturbini. A questo Thatcher antepose la sua aggressività. Era ambiziosa e sapeva muoversi con scaltrezza. Se si fosse schierata con i personaggi più ideologizzati a destra di Edward Heath – come Enoch Powell – avrebbe sabotato la propria carriera.
Il thatcherismo rappresentò un doloroso quanto necessario cambiamento politico inteso a occuparsi, accanto alla disoccupazione, anche dell’inflazione cronica e dell’instabilità dell’industria. La Gran Bretagna del 1979 era polarizzata: destra-sinistra, ragazzi-ragazze, signori-cafoni, protestanti-cattolici. Sotto Thatcher si indebolì però quella Britishness che un tempo legava inglesi, gallesi, scozzesi e parte degli irlandesi. Gli scozzesi in particolare ripudiarono il thatcherismo. Poi la famosa frase sulla società. «Se i giovani hanno problemi, la gente dice che è colpa della società. Ma la società non esiste. Esiste un grande arazzo vivente, composto da uomini e donne. La bellezza di questo arazzo e la qualità delle nostre vite dipenderà da quanto saremo pronti a prenderci la responsabilità di noi stessi e da quanto saremo pronti a darci da fare per i meno fortunati». L’evento che più di ogni altro segnò il premierato fu la guerra delle Falkland, che fece diventare la nuova Britannia una guerriera.
I rapporti con Ronald Reagan erano ottimi, anche se Thatcher si sentì delusa dalla decisione del presidente di spodestare il regime marxista a Grenada nel 1983. Ferguson la definisce una “prima contra pares”, giacché per lei il consiglio dei ministri non era un ausilio per governare meglio, ma un ostacolo da scavalcare. Niall Ferguson conclude che l’elezione di Thatcher nel 1979 si inserì in una sequenza di eventi che nello stesso anno cambiarono il corso della storia. Fu l’anno della visita di Deng Xiaoping negli Stati Uniti, l’anno in cui Ruhollah Khomeyni andò al potere in Iran, l’anno in cui i sovietici invasero l’Afghanistan. Come molti grandi leader, compresa la sua reincarnazione laburista Tony Blair, Thatcher è molto più rispettata all’estero che a casa propria. Tutto considerato, conclude lo storico in modo forse davvero troppo elogiativo, è stata davvero la salvatrice del suo Paese.
Amedeo Gasparini